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Ragionare, non chiacchierare

Giornali, editoria e talk. Il reset di Draghi vale per la politica, ma vale anche per chi la politica la racconta

Le intese molto larghe sono un’occasione d’oro per scegliere: servono nuove ragioni di indignazione o servono finalmente nuovi modelli di informazione?

Claudio Cerasa

In assenza di veline, di spin, di tweet, di post, di like, di scazzi, di divisioni, di scissioni e probabilmente di polemiche, i protagonisti della piazza mediatica almeno per un po’ dovranno trovare un modo per reinventare se stessi e per cambiare schema.

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Non ha Whatsapp. Non ha Twitter. Non ha Facebook. Non ha Instagram. Non ha Clubhouse. Non fa dirette social. Non mette like. Non fa interviste. Non ha uno staff ufficiale – ma uno ufficioso sì. Non ha uno spin doctor – ma un consigliere sì. Non fa trapelare nulla di quello che pensa – tranne a pochi eletti. Non risponde a quasi nessuno dei numeri che non conosce – nel caso, meglio dialogare su Telegram. E da giorni, Mario Draghi, che stasera scioglierà la sua riserva al Quirinale offrendo al presidente della Repubblica la sua lista dei ministri, fa girare a vuoto non solo la politica ma anche buona parte del giornalismo italiano. Che a poco a poco, studiando lo stile del presidente incaricato, la sua prudenza, i suoi silenzi, la sua distanza, la sua cautela, la sua circospezione, si sta rendendo conto di una rivoluzione copernicana con cui, grazie a Draghi, dovrà fare presto i conti buona parte dell’informazione del nostro paese.

 

Una rivoluzione copernicana ancora difficile da mettere a fuoco ma che con ogni probabilità costringerà l’Italia dei media a passare improvvisamente da un’epoca pettegola dominata dai retroscena a una meno chiassosa dominata dalla scena. E in assenza di veline, di spin, di tweet, di post, di like, di scazzi, di divisioni, di scissioni e probabilmente di polemiche, i protagonisti della piazza mediatica almeno per un po’ dovranno trovare un modo per reinventare se stessi, per cambiare schema, per ripensare alla propria identità e per superare la stagione del ring – scazzotto dunque sono – provando semplicemente a fare l’opposto di quanto fatto nel 2011 subito dopo la nascita del governo Monti. Il 2011, naturalmente, rappresentò una fase molto diversa e non è un particolare irrilevante che il governo Monti fu un governo che, per quanto potesse essere unitario, si rivelò molto divisivo (fu in quegli anni che iniziò a prendere forma il populismo del M5s e della Lega).

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Ma una delle conseguenze principali di quella stagione, sul fronte dei media, fu la progressiva affermazione di una generazione di giornalisti, osservatori e opinionisti tarata su un unico principale spartito: la declinazione universale del verbo dell’anti politica. Dieci anni dopo, il mondo dell’informazione ha la possibilità di fare la scelta che non ha voluto fare nella stagione di Monti: utilizzare l’opportunità del reset imposto alla politica (e dalle larghe intese) per portare avanti una stagione di reset anche nel mondo dei giornali, dell’editoria e dei talk-show. Non si tratta di cambiare nomi. Si tratta di osare, di cambiare schema,  di fare esperimenti, di trovare un modo per emanciparsi dalla stagione del populismo televisivo per provare a fare in piccolo quello che in grande stanno facendo i partiti: cercare non nuovi argomenti per combattere la battaglia anti casta (agenda Dibba), ma una scusa per combattere finalmente una battaglia diversa (ragionare, non chiacchierare).

 

Mario Draghi, come ha scritto su Twitter Ferdinando Giugliano, riportando per un po’ il silenzio nella politica italiana ha costretto negli ultimi giorni gli opinionisti a passare dalla polemica alla discussione, e se lo stile che ha caratterizzato la vita pubblica dell’ex governatore della Bce verrà confermato anche nella sua nuova vita politica – non abusare delle parole per dare un peso quasi ipnotico alle poche parole utilizzate – chi si occupa di editoria avrà una ragione in più per non scegliere la strada sbagliata quando di fronte a tutti noi si porrà un bivio: le intese molto larghe dei partiti sono un’occasione d’oro per cercare nuove ragioni di indignazione o per cercare finalmente nuovi modelli di informazione? Il reset di Draghi vale per la politica ma vale anche per chi la politica la racconta. Ci sarà da divertirsi. 

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