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Le cinque idee per cambiare il paese

Viva il governo dell'ottimismo

I vincoli europei cruciali per la crescita, il giustizialismo nemico della resilienza, la cultura del no come primo vizio del paese. Perché le consultazioni di Draghi mostrano ai partiti sei anni da sogno

Claudio Cerasa

La vera rivoluzione del metodo Draghi va individuata concentrando l’attenzione non su quanto durerà il governo (il retroscenismo avrà vita difficile con questo esecutivo), ma su cosa vuol dire per un paese come l’Italia iniziare a mettere da parte le discussioni sul vincolo esterno (ovvero l’Europa) e cominciare così a occuparsi del più urgente vincolo interno (i vizi del paese)

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In attesa di capire se quello che verrà sarà davvero il governo degli ottimati, la giornata politica di ieri ci ha offerto molte ragioni per credere che la stagione di Mario Draghi sarà certamente la stagione dell’ottimismo, e forse persino del buon umore. Lo sarà per le ovvie questioni politiche, per gli splendidi incroci tra Beppe Grillo e Silvio Berlusconi, per i favolosi intrecci tra Nicola Zingaretti e Matteo Salvini e lo sarà perché avere la stragrande maggioranza delle forze politiche italiane pronta a rinunciare a qualcosa per far fare un passo avanti al proprio paese è uno spettacolo unico che in questo momento storico nessun’altra nazione europea è forse in grado di rivendicare.

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In attesa di capire se quello che verrà sarà davvero il governo degli ottimati, la giornata politica di ieri ci ha offerto molte ragioni per credere che la stagione di Mario Draghi sarà certamente la stagione dell’ottimismo, e forse persino del buon umore. Lo sarà per le ovvie questioni politiche, per gli splendidi incroci tra Beppe Grillo e Silvio Berlusconi, per i favolosi intrecci tra Nicola Zingaretti e Matteo Salvini e lo sarà perché avere la stragrande maggioranza delle forze politiche italiane pronta a rinunciare a qualcosa per far fare un passo avanti al proprio paese è uno spettacolo unico che in questo momento storico nessun’altra nazione europea è forse in grado di rivendicare.

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Mette di buon umore vedere Grillo e Berlusconi lottare per lo stesso presidente del Consiglio. Mette di buon umore vedere Zingaretti e Salvini ritrovarsi sulla stessa agenda europeista. Mette di buon umore ascoltare Salvini dire che sulle politiche migratorie l’Italia deve seguire un approccio europeista e non nazionalista. Ma ciò che mette ancora più di buon umore è ascoltare dalla voce viva di coloro che ieri hanno partecipato alle consultazioni con Draghi ciò che il presidente incaricato ha detto alle varie delegazioni che ha ricevuto a Montecitorio. Un programma di governo riassumibile in cinque punti. Primo: un’urgente riforma della Pubblica amministrazione che permetta di contrastare il potere di interdizione costituito dai mille colli di bottiglia che tengono in ostaggio il paese – e dunque Tar, veti delle soprintendenze, vincoli ambientali. Secondo: una riforma della giustizia che permetta non di allungare ma di accorciare i tempi dei processi – e dunque probabilmente riforma della prescrizione da rivedere. Terzo: una riforma del fisco progressiva costruita rimodulando le imposte ideata non per aggiungere nuove tasse ma per combattere la giungla fiscale – e dunque più ordine e meno agevolazioni e niente flat tax. Quarto: un nuovo piano vaccinale ideato per mettere al centro della ricostruzione del paese i giovani e la scuola – e dunque dopo le categorie a rischio vaccinare subito i docenti. Quinto: lo sblocco dei cantieri sul modello Genova, modello espressamente citato ieri da Draghi nei colloqui con alcune delegazioni, per riuscire a spendere, oltre ai 209 miliardi del Recovery plan, i famosi 130 miliardi già stanziati in giro per l’Italia su progetti cantierabili derogando, a partire dal codice degli appalti, tutte le norme dell’ordinamento italiano, a esclusione di quelle penali, e ponendo come unico paletto i princìpi inderogabili dell’Unione europea e quelli costituzionali.

 

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Punti del programma a parte la vera rivoluzione del metodo Draghi va individuata concentrando l’attenzione non su quanto durerà il governo (il retroscenismo avrà vita difficile con questo esecutivo), ma su cosa vuol dire per un paese come l’Italia iniziare a mettere da parte le discussioni sul vincolo esterno (ovvero l’Europa) e cominciare così a occuparsi del più urgente vincolo interno (i vizi del paese). Il combinato disposto generato dall’europeizzazione improvvisa del sistema politico italiano (Lega e M5s fino a quattro anni fa volevano uscire dall’euro, oggi difendono l’uomo che ha salvato l’euro) e dalla necessità del nostro paese di scrivere entro fine aprile un piano per il Recovery che varrà per i prossimi sei anni (e che come spiega oggi David Carretta non potrà essere cambiato dai governi futuri) proietta l’Italia in una dimensione del tutto inedita e persino eccitante. L’Europa diventa per tutti un alleato per lo sviluppo, la crisi diventa per tutti un’opportunità per la crescita, il giustizialismo diventa per tutti un nemico della resilienza, l’efficienza diventa per tutti un obiettivo per la rinascita, la lotta contro la cultura del no diventa finalmente per tutti una priorità per l’Italia.


E per quanto il nostro sia un paese non abituato alle riforme, per quanto sia un paese non abituato a decidere, per quanto sia un paese non abituato a spendere i soldi europei e per quanto i partiti senza una adeguata responsabilizzazione all’interno dell’esecutivo possano essere tentati nei prossimi mesi di trasformare il governo di tutti nel governo di nessuno, ci sono molte ragioni oggi per essere ottimisti, per guardare al futuro senza troppa diffidenza e per sperare persino che si realizzi esattamente quello che Matteo Salvini disse qualche mese fa, a luglio, quando motivò con queste parole il no della Lega al piano del Recovery, oggi diventato un sì. Salvini ammise che dire sì al Recovery plan avrebbe costretto l’Italia, per i prossimi sette anni, a dover governare trasformando in realtà “le riforme richieste dall’Europa su pensioni, lavoro giustizia, sanità e istruzione”. Salvini aveva ragione e il fatto che il primo partito italiano abbia scelto di cambiare schema accettando di mettere l’Italia nelle mani dell’Europa per i prossimi sette anni è una notizia che contribuisce a fare del governo Draghi il governo dell’ottimismo, in attesa degli ottimati che saranno. Ottimismo, riforme e buon umore. Incrociamo le dita, intanto cin cin.

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