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Rinaldi al Foglio: “Mai detto che volevamo uscire dall’euro”

Annalisa Chirico

Il fondatore della corrente no euro della Lega, Antonio Rinaldi, spiega che “era solo una speculazione accademica”. Dall’euro non si esce, ma “non siamo noi a esserci avvicinati all’Europa. È l’Europa che si è avvicinata a noi”

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C’è un filo rosso che tiene insieme quel che accade a Roma e a Bruxelles. Quando in mattinata l’europarlamentare della Lega Antonio Rinaldi interviene in plenaria al Parlamento europeo, il suo discorso, ben calibrato, non anticipa l’orientamento di voto della Lega: a favore o contro il regolamento istitutivo della Recovery and Resilience Facility? “Decideremo in seguito all’incontro che si terrà nel pomeriggio tra il presidente incaricato Mario Draghi e la nostra delegazione guidata da Matteo Salvini”, spiega al telefono Rinaldi.

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C’è un filo rosso che tiene insieme quel che accade a Roma e a Bruxelles. Quando in mattinata l’europarlamentare della Lega Antonio Rinaldi interviene in plenaria al Parlamento europeo, il suo discorso, ben calibrato, non anticipa l’orientamento di voto della Lega: a favore o contro il regolamento istitutivo della Recovery and Resilience Facility? “Decideremo in seguito all’incontro che si terrà nel pomeriggio tra il presidente incaricato Mario Draghi e la nostra delegazione guidata da Matteo Salvini”, spiega al telefono Rinaldi.

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In aula, onorevole, lei ha rivolto un appello a tutte le forze politiche per modificare la governance europea concepita trent’anni or sono. “Parliamo di regole inadeguate alle esigenze attuali di crescita e coesione sociale”. Lei ha citato espressamente il “debito buono” di Draghi: quanto vi piace l’ex presidente della Bce? “E’ mille anni luce più avanti di tutti noi, è la persona che serve all’Italia in questa fase di emergenza, ha la credibilità internazionale che può renderci più forti a Bruxelles. Senza un’Italia forte anche l’Europa è debole”. Le priorità del futuro governo Draghi? “Bisogna presentare entro il 30 aprile il Piano nazionale di ripresa, quello abbozzato va riscritto di sana pianta, serve una regia economica che rimedi agli errori compiuti dal passato governo dove c’era un professore di storia, Gualtieri, brava persona ma del tutto incapace di fornire le risposte che servono”. E poi? “Ristori, cantieri e vaccini. Dobbiamo accelerare, mancano i decreti attuativi e le persone non ce la fanno più”.

 

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Tornando a Draghi, lo avete difeso dagli attacchi dell’ultradestra tedesca di Afd, ora siete pronti a sostenere un esecutivo da lui guidato e potreste votare a favore del Recovery plan. Che succede? “In realtà, noi lo abbiamo sempre difeso dalle critiche dei tedeschi che, anche ai tempi della Bce, lo accusavano di sperperare i soldi europei a favore dell’Italia, una balla colossale dal momento che siamo il terzo contributore netto e in questi anni, con oltre 160 miliardi conferiti all’Europa, abbiamo certamente più dato che ricevuto”. Ma lei, che vagheggiava l’Italexit, che c’azzecca con l’uomo del “whatever it takes”? “Noi non abbiamo mai pensato di uscire dall’euro, non scherziamo. Abbiamo posto il tema sul piano accademico, anche per far notare che l’Italia era l’unico paese sprovvisto di un piano B. Le dirò di più: noi non ci siamo avvicinati all’Europa, è l’Europa che si è avvicinata a noi”.

 

In che senso? “Se Draghi non avesse attuato il quantitative easing, trasformando di fatto la Bce in una prestatrice di ultima istanza, l’euro sarebbe saltato. Finalmente la Bce agisce come la Fed americana, lo chiedevamo da anni. Per non parlare dei parametri di Maastricht, sinonimo di un rigore incompatibile con la realtà economica attuale: il Patto di stabilità è sospeso, e noi siamo contenti. Quanto a Draghi poi lo conosco dai tempi in cui era direttore generale al ministero del Tesoro mentre io amministravo la capogruppo finanziaria di Eni. E’ un tecnico sopraffino, un talento vero”. In passato, sul Recovery plan vi siete astenuti: che cosa è cambiato adesso? “Purtroppo le condizionalità, ancorate a meccanismi pre-Covid, sono ancora presenti, per questo chiederemo a Draghi le garanzie necessarie per tutelare l’interesse italiano”. Per il capogruppo del Ppe Manfred Weber, la svolta di Salvini è un segnale “positivo”: si cambia collocazione a Bruxelles? “Io sono un semplice soldato che esegue gli ordini del capo”.

 

Lei si sente a suo agio con lepenisti e ultradestra tedesca? “Io parlo con tutti, e sono grato alla Lega di Salvini che mi ha permesso di fare un’esperienza politica superati i sessanta. Quando c’è da votare, scelgo sempre in base all’interesse del mio paese, non mi curo molto del coordinamento con le delegazioni degli altri paesi. In ogni caso farò quel che dirà Salvini”. La resipiscenza sull’Europa è funzionale a una Lega di governo? “Indubbiamente c’è anche questo, perché negarlo? La Lega si candida a guidare il paese. Detto ciò, l’adorazione acritica dell’Europa è un atteggiamento dogmatico profondamente sbagliato, anzitutto sul piano intellettuale. Chi osa esprimere una minima critica alla costruzione europea viene immediatamente tacciato di antieuropeismo. Io non sono antieuropeo, noi l’Europa la vogliamo cambiare con spirito costruttivo. Sono invece nemici dell’Europa quanti vengono qui con il taccuino in mano per prendere ordini. Hanno costruito una nave senza scialuppe, e noi non vogliamo che affondi”.  

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