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Il governo che verrà

Quale ruolo potrà avere Rivera al Tesoro nell’èra Draghi

Marco Cecchini

Le tracce del suo lavoro da direttore generale dell'Economia si trovano su tutti i dossier più importanti degli ultimi anni, per qualcuno sarà lui il nuovo ministro. E c'è già chi lo definisce il mattatore della rivincita dei tecnici

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Dicono che nel luglio 2018, quando il M5s lo attaccava per impedirne la nomina a direttore generale del Tesoro al posto di Vincenzo La Via, Alessandro Rivera si rilassasse andando a correre la mattina presto e quando possibile rifugiandosi a L’Aquila dove la famiglia possiede un cinquecentesco palazzo barocco. L’estate si annunciava calda sotto molti punti di vista. Il governo gialloverde si era formato da poco, dopo lunga gestazione, leghisti e grillini erano ansiosi di dimostrare che il loro era l’esecutivo del cambiamento e la scelta dell’uomo che sarebbe andato a occupare la cruciale poltrona che era stata di Mario Draghi era un passaggio di importanza non solo simbolica per dimostrarlo. Tanto più che Lega e M5s avevano dovuto ingoiare la bocciatura di Paolo Savona per il ministero dell’Economia e accettare al suo posto l’economista Giovanni Tria, invece accettato dal Quirinale. 

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Dicono che nel luglio 2018, quando il M5s lo attaccava per impedirne la nomina a direttore generale del Tesoro al posto di Vincenzo La Via, Alessandro Rivera si rilassasse andando a correre la mattina presto e quando possibile rifugiandosi a L’Aquila dove la famiglia possiede un cinquecentesco palazzo barocco. L’estate si annunciava calda sotto molti punti di vista. Il governo gialloverde si era formato da poco, dopo lunga gestazione, leghisti e grillini erano ansiosi di dimostrare che il loro era l’esecutivo del cambiamento e la scelta dell’uomo che sarebbe andato a occupare la cruciale poltrona che era stata di Mario Draghi era un passaggio di importanza non solo simbolica per dimostrarlo. Tanto più che Lega e M5s avevano dovuto ingoiare la bocciatura di Paolo Savona per il ministero dell’Economia e accettare al suo posto l’economista Giovanni Tria, invece accettato dal Quirinale. 

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Per Luigi Di Maio Rivera era un “burocrate” cresciuto in quel Dipartimento del Tesoro dove si annidavano i tecnocrati che “prendevano ordini” da Bruxelles. I media fiancheggiatori lo dipingevano come la “quinta colonna” dell’Europa e in alternativa facevano circolare i nomi di Angelo Guglielmi, dirigente di Mediobanca vicino ai Cinque stelle, e di Marcello Minenna, discusso dirigente della Consob, che per un breve periodo aveva coperto il ruolo di assessore al Bilancio della giunta Raggi. La diga alzata da Tria con l’appoggio discreto del Quirinale tuttavia resse l’urto e oggi si può dire che dopo quella di Tria la nomina di Rivera ha consentito al fronte dei tecnici e degli europeisti di passare indenne due snodi chiave come la manovra dell’autunno 2018 che fissò il deficit al famoso 2,04 per cento e il negoziato sulla riforma del Mes nel 2020. 
Il cinquantenne Rivera non è quello che in senso stretto si direbbe un “Draghi boy”.

 

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Quando entrò al ministero alla fine degli novanta Draghi era sulla via dell’uscita e Rivera era un giovane funzionario che non faceva parte del Consiglio degli esperti, la macchina da guerra di SuperMario. Ma degli allievi di Draghi ha lo stesso stile sobrio ed essenziale, la stessa riservatezza, la stessa considerazione per il valore della competenza. Come loro si è costruito una carriera da civil servant ed è molto apprezzato anche in Europa, dove come direttore generale ha sostituito il ministro di turno (dopo Tria, Roberto Gualtieri) nelle riunioni preparatorie del G7 e degli altri numerosi organismi multilaterali. L’uomo si è sempre astenuto dall’assumere posizioni che potessero collocarlo politicamente, anche se nella famiglia, di nobile lignaggio, ci sono ascendenti liberal democratici, come Vincenzo, intellettuale e firmatario del manifesto antifascista del 1925, quindi parlamentare e rettore dell’Università dell’Aquila e il fratello, consigliere comunale dem e poi capo di gabinetto del presidente della regione Ottaviano Del Turco. 

 

Qualcuno ora afferma che Rivera, il cui mandato scade il prossimo agosto, potrebbe diventare ministro in virtù della buona prova data alla guida del Dipartimento del Tesoro. Altri ritengono che la sua predominante caratura tecnica e la sua formazione marcatamente giuridica ne consiglino la permanenza nell’attuale casella per un secondo mandato. Certamente le tracce del suo lavoro, in questi anni nei quali si sono succedute al governo coalizioni di segno opposto il cui elemento di continuità era dato dalla figura del premier, si trovano su tutti i dossier più importanti: due soprattutto a cominciare dalla manovra dell’autunno 2018. Chi lo conosce bene e ha raccolto i suoi sfoghi all’epoca, quando dal M5S e dalla Lega arrivavano pressioni “fortissime” per aprire i cordoni della spesa pubblica in conflitto con le indicazioni della Ue, ricorda come Rivera insieme al ministro Tria abbia resistito rivendicando l’indipendenza dell’istituzione. Se l’asticella del deficit si è fermata al 2,04 per cento evitando all’Italia una umiliante procedura d’infrazione lo si deve a loro. Ancora nel 2020 quando, succeduto Roberto Gualtieri a Giovanni Tria, si doveva negoziare la riforma del Fondo Salva stati (Mes) Rivera ha tenuto una posizione rigorosa sul fronte delle condizionalità in contrasto con il ministro e il premier Giuseppe Conte che secondo i retroscena giornalistici accusavano Rivera di “ostruzionismo”. Per questo c’è chi definisce Rivera il mattatore della rivincita dei tecnici.

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