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Effetto Draghi sulle città. Il nuovo schema e le amministrative

Roma, Milano, Napoli e Torino. Come l'arrivo dell'ex presidente Bce può cambiare equilibri (e nomi)

Marianna Rizzini

Il caso Calenda e il caso Bertolaso. Beppe Sala e i Cinque stelle. Torino senza nomi. Napoli e Roberto Fico (con Cinque stelle non concordi)

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Scorrevano lenti (si fa per dire), i partiti, verso l’appuntamento: le amministrative del 2021. Scorrevano ancora più lenti, in alcuni casi, mettendo in conto il rinvio per Covid. Invece è arrivata la variabile Mario Draghi, e la questione del voto in alcune grandi città è apparsa immediatamente non più ascrivibile alla categoria delle “cose a cui pensare dopo”. Effetto Draghi, lo chiamano, sui famosi “assetti” (candidati, alleanze, piani per il futuro). E insomma per esempio a Roma, la città dove la sindaca uscente Virginia Raggi ha mostrato da tempo di voler correre per il bis, la variabile rappresentata dall’entrata in scena dell’ex presidente Bce prende la duplice forma dell’avvertimento al Pd, ancora indietro sul tema.

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Scorrevano lenti (si fa per dire), i partiti, verso l’appuntamento: le amministrative del 2021. Scorrevano ancora più lenti, in alcuni casi, mettendo in conto il rinvio per Covid. Invece è arrivata la variabile Mario Draghi, e la questione del voto in alcune grandi città è apparsa immediatamente non più ascrivibile alla categoria delle “cose a cui pensare dopo”. Effetto Draghi, lo chiamano, sui famosi “assetti” (candidati, alleanze, piani per il futuro). E insomma per esempio a Roma, la città dove la sindaca uscente Virginia Raggi ha mostrato da tempo di voler correre per il bis, la variabile rappresentata dall’entrata in scena dell’ex presidente Bce prende la duplice forma dell’avvertimento al Pd, ancora indietro sul tema.

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Non c’è soltanto, infatti, la questione Carlo Calenda: il nome dell’ex ministro dello Sviluppo che ha deciso di correre a Roma con Azione è infatti apparso, in questi giorni, tra i papabili per incarichi ministeriali nel governo prossimo venturo. In tal caso si libererebbe una casella (e si scioglierebbe il dilemma per il Pd, che non vuole appoggiarlo ma sa che non appoggiandolo deve avere un candidato capace di pescare anche al centro). Chi far correre, è il punto, salvando l’alleanza con il M5s senza appoggiare Virginia Raggi, d’altronde pronta anche a presentarsi alla testa di una lista civica? Due giorni fa, poi, era spuntata la carta incredibile a dirsi: Giuseppe Conte, per replicare lo schema “grande intesa” in nome del bene (della città come del paese). E però ieri il premier uscente ha detto “no grazie”.

 

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C’è poi la questione Roberto Gualtieri: non dovesse continuare a essere Ministro dell’Economia, potrebbe essere un nome adatto a compattare l’elettorato di centrosinistra? Dice un esponente del Pd: “Servirebbe uno schema allargato”. Consolazione momentanea, per la sinistra: a destra non ci sono certezze. Ma la fretta c’è, viste le parole del “nuovo Salvini”, quello che parla con toni non sovranisti: si sperava in Guido Bertolaso per tenere unita la coalizione divisa sull’appoggio a Draghi, e però Bertolaso al momento è impegnato sui vaccini in Lombardia, sempre che non vada a ricoprire un ruolo tecnico nel nuovo governo. E nella stessa Lombardia l’effetto Draghi si esplica lungo un doppio fronte: comunale e regionale. A livello comunale c’è, sì, il sindaco Beppe Sala ricandidato, da tempo sponsor di Mario Draghi (da lui definito “fuoriclasse”) e c’è chi, a Milano, nei giorni scorsi, ragionava con un misto di terrore e speranza: e se Sala venisse chiamato a Roma? Sala però al momento sembra determinato a procedere per il bis. Piuttosto nel suo inner circle si domandano “se l’effetto Draghi possa spazzare via i residui dubbi del M5s” sull’appoggio al sindaco (a metà gennaio i Cinque stelle locali si erano attestati su un possibilista “no al candidato unico, ma gli equilibri cambiano”).

 

Ma l’attenzione si concentra ora su Forza Italia: che atteggiamento avrà, a Milano, adesso che a livello nazionale i forzisti si apprestano a sostenere Draghi senza se e senza ma? “Da un lato questo rimescola i rapporti locali anche con Salvini, nella scelta dei candidati”, dice un consigliere comunale di centrodestra. Ma c’è chi, dall’area riformista del Pd milanese, sogna “una grande coalizione pro-Sala”. Sulla Regione, intanto, in prospettiva, oltre il 2021, si riflette. E c’è chi, nella serenità (presto riconquistata, si spera, via Draghi), vorrebbe puntare, per il post Fontana, su Emilio Del Bono, sindaco della Brescia sofferente in pandemia.

 

A Napoli, intanto, la caduta del governo Conte bis ha dapprima gettato nell’inquietudine e poi rinvigorito chi sperava in un tavolo comune Pd-Cinque stelle. Il tutto attorno al nome del presidente della Camera del M5s, già incaricato della fallita esplorazione per il Conte ter: cioè Roberto Fico. Ed è qui che l’arrivo di Draghi si immette in un precedente presunto schema, quello che vedeva il ministro dei Beni Culturali Dario Franceschini spingere per Fico candidato a Napoli (si libererebbe la poltrona di presidente della Camera, ruolo istituzionale considerato buon punto di partenza per altre e più alte partite, vedi il Colle).

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Ma se nel M5s campano non c’era finora unanimità di vedute sull’asse con il Pd e la candidatura di Fico, ora, con l’accordo pro Draghi a livello nazionale (e al netto del prossimo voto su Rousseau), “gli oppositori di Fico potrebbero arretrare”, dice un esponente del Pd locale. A Torino, intanto, hanno fatto pensare le parole dette da Beppe Sala giorni fa: “Torino ancora senza candidati a sinistra è un problema”. 
  

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