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Tra ceti produttivi e sovranisti

Il dilemma di Salvini. Intervista a Luca Ricolfi

Il leader della Lega alla vigilia delle consultazioni con Draghi. Quali le tentazioni? Quali i possibili errori?

Marianna Rizzini

Quanto conterà nella decisione e nelle parole scelte il rapporto con gli imprenditori del Nord, base della sua constituency, e quanto conterà il rapporto con Giorgia Meloni

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Mario Draghi è entrato a Montecitorio, ieri, per avviare il giro di consultazioni. E per Matteo Salvini (che lo vedrà domani), l’attesa del colloquio sembra colorarsi di inquietudine. Il leader della Lega dice di voler “fare il bene del paese”, ma appare sospeso tra linea morbida e linea dura, in un centrodestra al momento su posizioni diverse. Chiediamo al politologo e sociologo Luca Ricolfi su che cosa poggi, a suo avviso, il dilemma salviniano, e quanto conti, nella titubanza, il rapporto con i ceti produttivi del Nord, favorevoli a Draghi.

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Mario Draghi è entrato a Montecitorio, ieri, per avviare il giro di consultazioni. E per Matteo Salvini (che lo vedrà domani), l’attesa del colloquio sembra colorarsi di inquietudine. Il leader della Lega dice di voler “fare il bene del paese”, ma appare sospeso tra linea morbida e linea dura, in un centrodestra al momento su posizioni diverse. Chiediamo al politologo e sociologo Luca Ricolfi su che cosa poggi, a suo avviso, il dilemma salviniano, e quanto conti, nella titubanza, il rapporto con i ceti produttivi del Nord, favorevoli a Draghi.

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“Credo  Salvini si renda conto che il mondo produttivo non gli perdonerebbe un mancato appoggio a Draghi, ma anche che Draghi qualche dispiacere alla Lega potrebbe darlo”, dice Ricolfi. “Penso a ‘quota 100’ (che potrebbe essere limata), ma soprattutto alla richiesta di rottamazione delle cartelle esattoriali, che difficilmente sarà accolta in toto. Il punto cruciale, però, a me pare il seguente. La società italiana è da tempo divisa in tre segmenti: la società dei garantiti (rappresentata dalla sinistra), la società degli esclusi (rappresentata dai Cinque stelle), la società del rischio (rappresentata dalla destra). Il governo precedente ha tutelato i primi due segmenti, non toccando i privilegi dei garantiti e moltiplicando i sussidi (peraltro non sempre andati a chi ne aveva davvero bisogno). Ora, con Draghi, si apre uno spiraglio anche per la società del rischio: imprenditori, professionisti, partite Iva, dipendenti delle piccole imprese, lavoratori precari delle imprese medio-grandi. E’ verosimile che Salvini non si faccia sfuggire l’occasione di correggere – se non ribaltare – una politica che, finora, ha completamente ignorato le istanze dei ceti produttivi, esposti ai rischi e alle turbolenze del mercato”.

 

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Ci si domanda però come (e se) Salvini, in questa fase, possa salvare il rapporto politico con l’alleata Giorgia Meloni. “Io questo problema della Meloni non lo vedo proprio. Il centrodestra, nelle situazioni complicate (con governi di emergenza) si è sempre diviso, ma questo non gli ha mai impedito di recuperare l’unità dopo, in vista del voto. Tra l’altro la Meloni ha pochi parlamentari, il che rende molto improbabile che possa risultare decisiva. Insomma secondo me il centrodestra non ha alcun bisogno di mantenere l’unità. Semmai il problema è che, a seconda di come andranno le cose durante il governo Draghi, gli equilibri interni alla coalizione potrebbero cambiare. Tendenzialmente, Lega e Fratelli d’Italia sono due partiti del 20 per cento, e sarà solo la rispettiva credibilità di Salvini e Meloni a fare la differenza”.

 

In caso Draghi riuscisse nell’impresa che gli è stata affidata, la Lega si troverebbe di fronte al rischio del vicolo cieco, rappresentato per Salvini da un governo di legislatura, quello che vorrebbe Matteo Renzi. E c’è chi nel partito teme che la situazione possa essere “lose-lose” – morire “draghiani” o morire “meloniani”. Oppure Salvini può ricavare un vantaggio in prospettiva? “Non so se Renzi vuole davvero un governo di legislatura”, dice Ricolfi, “tendo a pensare che a Renzi interessi solo arrivare al voto in una posizione che non lo faccia sparire dalla scena politica: e non è affatto detto che il momento ottimale per Renzi sia a fine della legislatura e non prima. Se con Draghi le cose migliorassero percettibilmente sia sul fronte economico sia su quello sanitario, sarebbe difficile non ascriverne il merito anche a Renzi, e a quel punto potrebbe essere Renzi stesso ad avere convenienza a tornare al voto prima della scadenza naturale. Quanto a Salvini, il rischio di dover cedere lo scettro a Giorgia Meloni c’è, ma dipenderà da tanti fattori, primo fra tutti la capacità di aumentare la credibilità dei rispettivi partiti. E un aiuto a Salvini, paradossalmente, potrebbe venire dalla rozzezza culturale dell’establishment di Fratelli d’Italia, con dichiarazioni e prese di posizione come quella dei giorni scorsi secondo cui Draghi rappresenterebbe ‘gli interessi dei banchieri’ (Fabio Rampelli dixit)”. E come e quanto peserà il rapporto con Luca Zaia, interprete dei suddetti ceti produttivi del Nord? “Peserà, ma non perché Luca Zaia conti nella Lega, ma perché senza il consenso dei ceti produttivi la Lega va sotto il 20 per cento”.

 

Alla vigilia del colloquio di domani con il presidente incaricato, che cosa dovrebbe chiedere Salvini a Draghi? “Di rendere l’Italia un paradiso imprenditoriale, con l’imposta societaria al 12.5 per cento (come in Irlanda) e un radicale disboscamento degli adempimenti fiscali e burocratici. Ma suppongo che farà la mossa sbagliata, e finirà per chiedere flat tax e rottamazione delle cartelle esattoriali”. 

 

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