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Il lungo addio di Conte

Salvatore Merlo

Silenzio e speranza non sono serviti a nulla. L’avvocato del popolo lascia Palazzo Chigi

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In un Palazzo Chigi trasformato nella rocca del silenzio, ieri sera Giuseppe Conte assaporava in solitudine la forma stessa di un’unica parola: “Reincarico”. Come un frutto tra le labbra. Ma pian piano, l’attesa muta veniva sostituita da una specie di insidia dei nervi. Un brivido del pensiero. Fino al botto. Il fallimento di Roberto Fico, della mediazione, del “tavolo degli improbabili”. E ora?, si chiedeva Conte. Il sogno delle elezioni. Lo spettro dei tecnici. La silhouette di un altro premier, il tanto temuto Mario Draghi, che sarà incaricato dal Quirinale. E con lui la certezza, per Conte, di aver perso definitivamente Palazzo Chigi.

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In un Palazzo Chigi trasformato nella rocca del silenzio, ieri sera Giuseppe Conte assaporava in solitudine la forma stessa di un’unica parola: “Reincarico”. Come un frutto tra le labbra. Ma pian piano, l’attesa muta veniva sostituita da una specie di insidia dei nervi. Un brivido del pensiero. Fino al botto. Il fallimento di Roberto Fico, della mediazione, del “tavolo degli improbabili”. E ora?, si chiedeva Conte. Il sogno delle elezioni. Lo spettro dei tecnici. La silhouette di un altro premier, il tanto temuto Mario Draghi, che sarà incaricato dal Quirinale. E con lui la certezza, per Conte, di aver perso definitivamente Palazzo Chigi.

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Timori, sospetti, retropensieri. La difficoltà di riordinare le idee, di rielaborare una strategia di fronte a un quadro liquido, inafferrabile. Meglio tacere, scomparire, attendere  un po’.   E così Giuseppe Conte,  ieri sera, mentre il disastro di Roberto Fico avanzava a passi caracollanti verso il Quirinale, si affidava ancora una volta alla strategia del silenzio e dell’assenza, estrema risorsa della comunicazione. “Il presidente del Consiglio ha ritenuto di non dover assumere alcun ruolo o posizione pubblica”, faceva sapere il suo portavoce Rocco Casalino, mentre ancora il presidente della Repubblica non aveva pronunciato le sue parole più irrevocabili: il governo è finito. “Mario Draghi convocato al Quirinale”

    
Ma era da giorni, d’altra parte, che Conte era scomparso. Enzo Amendola, che è ministro degli Affari europei, non  lo vedeva da sabato scorso. Stefano Patuanelli, che è il ministro dello Sviluppo economico, si trovava ad ammettere, con amici, che in effetti “in queste situazioni è meglio sparire”. Almeno finché il negoziato è possibile. Finché forse non escluso un rientro dalla finestra. Anche sotto altre forme, non più da capo del governo. Chissà. Dunque: shhh. Nella bocca chiusa non entrano le mosche. 

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“Ma c’è ancora un presidente del Consiglio?”, già scherzavano gli amici di Di Maio ringalluzziti ieri pomeriggio a Montecitorio, ché ancora non avevano capito quanto grave fosse la situazione anche per loro. Un silenzio cercato, quello dell’Avvocato, che non solo non parlava ma smentiva persino i pensieri che i giornali tentavano di attribuirgli. Mentre al contrario, era (ed è)  un silenzio subìto quello del suo febbrile portavoce e scudiero, Rocco. Uno frenava, l’altro scalpitava. Ancora ieri sera. Nel marasma di una crisi sempre più avvitata.   E infatti Casalino fino a pochi giorni fa inviava ai telegiornali le immagini del presidente iperattivo - Conte che fende di gran passo i corridoi di Palazzo Chigi. Sempre lo stesso  Casalino che ieri ha  però dovuto rinunciare (momentaneamente, pare) alla pubblicazione di un suo libro autobiografico dal titolo evocativo: “Memorie di un portavoce”. Forse non sarebbe stato nemmeno di buon augurio. Scaramanzia. E dunque mutismo. Assenza. Richiesta da Conte.   

    
Eppure c’era stato un tempo, non dissimile dall’attuale, durante la crisi con Matteo Salvini, che Conte presenziava, facondo. Così onnipresente da sembrava lui stesso un salottino ambulante. C’era la crisi, ma lui compariva. Perché non temeva. Si mostrava persino al fianco - come dimenticarlo - della figlia di Alcide De Gasperi, proponendo, neanche troppo sottilmente, un parallelo acrobatico tra sé il grande leader della Dc. E invece adesso arriva Draghi. E il premier lo intuiva, anche se ancora sperava nei negoziatori. Nell’impossibile.  

     
Ma quel silenzio era un segnale. Veniva quasi da dire che il silenzio del premier, l’uomo che aveva ingaggiato un duello pubblico e sonoro con Matteo Renzi (“mai più con Italia viva”), stesse accentuando l’aspetto mimico e teatrale d’una crisi che si accartocciava senza pietà su sé stessa. Quasi il rito apotropaico di un potere che si è perso e non si ritrova più, o che comunque si consumava trepidante nell’attesa  a mani giunte di una decisione del Quirinale. Nella speranza. Accarezzando, chissà, l’immaginetta di Padre Pio.
      

E fino all’ultimo c’è stata infatti a Palazzo Chigi una doppia linea. Condotta e orchestrata con furbizia, neanche troppo coperta. Il silenzio pubblico del presidente del Consiglio, e l’attivismo privato del suo portavoce. Perché Rocco, al contrario del premier superstizioso, voleva romperlo del tutto, questo silenzio. Per glorificare il suo Giuseppe e inquinare i pozzi, uccidere i nemici  e mandarli in confusione. Già ieri notte, nelle chat, nei messaggi con i cronisti che crede più amici, Rocco inviava ancora veline. Le intenzioni vere, presunte e completamente false di Conte. Una diversa per ogni quotidiano amico. Governare il caos, in pratica. Eppure Conte, che non parlava sul serio, sembrava deciso a sparire. Almeno per adesso. Lo scriveva Pirandello, “io mi salvo, nel mio silenzio, col mio silenzio, che m’ha reso così come sono: perfetto”. Ma non è servito. Ora anche Rocco fa le valige. Offriva maliziosamente un lavoro ai giornalisti dei quotidiani che non gli piacevano e che pensava dovessero andare chiusi. Ora chissà che quel lavoro quegli stessi giornali non pensino di offrirlo a lui. 
  

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