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La destra che manca all'Italia

Annalisa Chirico

La pandemia che ha cambiato tutto e ora la crisi di governo. Il rapporto con l’Europa e la sconfitta di Trump. La leadership e il bisogno di parole e persone nuove. Idee e sfide per l’opposizione. Un girotondo

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Archiviato Trump, non il trumpismo, la destra italiana deve fare i conti con un mondo che cambia alla velocità di una pandemia apparentemente inarrestabile. Nelle ore di consultazioni febbrili, quando i giochi si fanno e si disfano, alle prese con scombiccherate acrobazie parlamentari, sullo sfondo si palesa una certezza: prima o poi, più poi che prima, si tornerà al voto, e allora i partiti di centrodestra dovranno misurarsi con la sfida del governo. Proprio quei leader che a Bruxelles provocano sorrisini e gomitate dovranno confrontarsi con l’Europa. “Ma ancora credete a questa storia? Il virus ha cambiato tutto”, Lucia Annunziata è spiazzante nella sua analisi. “Basta con questa storia dell’Europa ci chiede, l’Europa ci dice…ma noi che diciamo a questa Europa? Sui vaccini è emerso chiaramente che la solidarietà europea non esiste, ognuno fa per sé. I vaccini, oggi, sono le nuove testate nucleari, se guardi una mappa della distribuzione del vaccino nel mondo comprendi quali sono i nuovi equilibri tra un’area blu, gli Stati uniti, una rossa, la Cina, e una gialla, la Russia. Il discrimine è tra chi possiede il vaccino e chi no, tra chi lo produce e chi no.  In Europa i paesi membri si muovono in ordine sparso, la Merkel spinge l’Europa per negoziare direttamente con le aziende produttrici ma poi non ha alcuna remora a firmare contratti paralleli per garantire ai tedeschi l’approvvigionamento, la cancelliera si adopera in un gran numero di bilaterali, chiude un accordo per gli investimenti con la Cina, ancor prima dell’insediamento di Biden, e al suo fianco c’è solo Macron”.

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Archiviato Trump, non il trumpismo, la destra italiana deve fare i conti con un mondo che cambia alla velocità di una pandemia apparentemente inarrestabile. Nelle ore di consultazioni febbrili, quando i giochi si fanno e si disfano, alle prese con scombiccherate acrobazie parlamentari, sullo sfondo si palesa una certezza: prima o poi, più poi che prima, si tornerà al voto, e allora i partiti di centrodestra dovranno misurarsi con la sfida del governo. Proprio quei leader che a Bruxelles provocano sorrisini e gomitate dovranno confrontarsi con l’Europa. “Ma ancora credete a questa storia? Il virus ha cambiato tutto”, Lucia Annunziata è spiazzante nella sua analisi. “Basta con questa storia dell’Europa ci chiede, l’Europa ci dice…ma noi che diciamo a questa Europa? Sui vaccini è emerso chiaramente che la solidarietà europea non esiste, ognuno fa per sé. I vaccini, oggi, sono le nuove testate nucleari, se guardi una mappa della distribuzione del vaccino nel mondo comprendi quali sono i nuovi equilibri tra un’area blu, gli Stati uniti, una rossa, la Cina, e una gialla, la Russia. Il discrimine è tra chi possiede il vaccino e chi no, tra chi lo produce e chi no.  In Europa i paesi membri si muovono in ordine sparso, la Merkel spinge l’Europa per negoziare direttamente con le aziende produttrici ma poi non ha alcuna remora a firmare contratti paralleli per garantire ai tedeschi l’approvvigionamento, la cancelliera si adopera in un gran numero di bilaterali, chiude un accordo per gli investimenti con la Cina, ancor prima dell’insediamento di Biden, e al suo fianco c’è solo Macron”.

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Annunziata, così Matteo Salvini le conferisce una tessera leghista ad honorem. “Ma sai che m’importa, io dico quello che penso, non capisco a che serva continuare a commentare le cose con il paraocchi, stiamo ai fatti. La crisi pandemica ha dimostrato che l’Europa non è più un imperativo morale ed economico per nessuno, salvo forse per il centrosinistra italiano che continua con la solita solfa dell’Europa, l’Europa… Su questa storia dell’Europa abbiamo tenuto in piedi Giuseppe Conte, l’uomo che nel passaggio dai gialloverdi ai giallorossi ha fatto pubblica abiura dell’antieuropeismo fin lì professato. Oggi questa Europa non è in grado di produrre una politica comunitaria. L’europeismo italiano non sta più in piedi, perciò il centrodestra, se vuole fare un salto di qualità, deve ammettere che l’agenda antieuropea è stata svuotata dalla storia: la pandemia è globale, anzi è iperglobale. Nessuno può sostenere che se chiudi le frontiere ti salvi dal contagio. E poi l’Europa ha allentato i vincoli su debito e parametri di Maastricht, per la prima volta ha consentito di creare debito comune, insomma ha già smontato la costruzione europea. A questo punto i cosiddetti ‘sovranisti’ con chi se la vogliono prendere?”. Che deve inventarsi il centrodestra che verrà? “La Lega dica chiaramente: con la pandemia le condizioni sono cambiate, l’Europa non è più il nemico da abbattere, a questo punto potremmo anche starci dentro a pieno titolo. Il nazionalismo, del resto, è finito, Le Pen non tocca palla, Trump ha perso le elezioni a causa del virus”. Giuseppe Conte, che è stato il principale riferimento di Trump in Italia, adesso punta al terzo incarico: ce la farà? “Io dico che l’Italia non può diventare fanalino di coda a causa di governi troppo deboli. Diciamo la verità: il Conte-ter, con questi numeri, non sta in piedi. Dovranno trovare un’altra soluzione, altrimenti si vada a votare, io predicavo il voto anche dopo la caduta del Conte uno: se avessimo votato allora, adesso avremmo un governo regolarmente eletto. Nel 2021 si voterà in 27 paesi nel mondo”.  


Non la pensa così l’editorialista del Corriere della Sera Aldo Cazzullo per il quale invece il rapporto con Bruxelles resta un requisito fondamentale per il pedigree di un centrodestra istituzionale: “Nessuno pretende abiure dalla Lega ma è venuto il momento di prendere atto che gli interlocutori in Europa sono Merkel, von der Leyen, Lagarde, non certo Le Pen che, per quanto depositaria di un ampio consenso, non diventerà mai presidente della Repubblica francese. A volte ho l’impressione che Meloni e, ancor più, Salvini si comportino come se i rispettivi partiti raccogliessero il 3 o 4 percento di voti. Pensi al discorso in Senato del leader della Lega che, davanti alla presidente Casellati, ha detto che i senatori a vita muoiono sempre troppo tardi…D’accordo, citava Grillo ma che senso ha dire una tale castroneria davanti allo sguardo attonito di Liliana Segre e in diretta televisiva?  Oggi la Lega, con il 25 percento dei consensi, è il primo partito italiano, per Salvini non è più tempo di agire come un leaderino in cerca di visibilità, non ne ha bisogno”. Su euro ed Europa la Lega ha compiuto una evoluzione, non trova? “Certo, è innegabile, ma io credo che serva ancora un passo avanti. E’ normale che in un grande partito esistano anche pulsioni sovraniste ed antieuropeiste, ci sta in un grande partito ma adesso servono anche parole e persone nuove. Per farci rispettare in Europa dobbiamo saper coltivare un rapporto costruttivo. Ricordo che Forza Italia, agli inizi della sua storia, era percepita come un oggetto misterioso, difficile da catalogare, all’estero era osservata con sospetto, Berlusconi era guardato dall’alto al basso. Fu il cancelliere Kohl ad agevolare l’ingresso di FI nel Ppe, e lo stesso accreditamento potrebbe riguardare la Lega, senza che per questo rinunci ad alcune radicalità. Del resto, tra i popolari c’è persino Orban”. Il collocamento a Bruxelles è questione dibattuta anche in seno alla Lega. “I consigli di persone come Giorgetti nella Lega e Crosetto in FdI esprimono buon senso: non bisogna snaturarsi per riconoscere che gli interlocutori sono quelli che ho citato.  Se il campo di gioco è cambiato, non puoi continuare a giocare con gli schemi di prima. Se sarà capace di questa evoluzione, il centrodestra potrà non solo vincere le elezioni, cosa che reputo abbastanza scontata, ma anche durare e far bene al paese”. Un consiglio per Meloni? “Lei è la leader emergente, dovrebbe allargare la sua classe dirigente. Il centrodestra non governa dal novembre 2011 quando Berlusconi si dimise per agevolare l’insediamento del governo Monti. Se domani tornasse al governo, domando: chi sarà il ministro dell’Economia? E delle attività produttive? E della Cultura? La storia non è andata nella direzione auspicata da Borghi e Bagnai, c’è voluta la pandemia per indurre i tedeschi a cambiare linea e ad aprire una linea di credito europea. L’Europa una risposta l’ha data”. Come si risolve la crisi in corso? “Credo che si voterà al termine della legislatura. Perché il centrodestra possa dare un contributo in questa fase, è chiaro che dovrebbe cambiare il premier. In un momento drammatico come questo un paese deve saper mettere in campo le risorse migliori”. 

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Per il direttore di Repubblica Maurizio Molinari, “il centrodestra è apparso in ritardo rispetto alla crisi politica dimostrando carenza di iniziative e idee. La parte più interessante è stata quella fazione o quei deputati di provenienza di Forza Italia che hanno dimostrato la volontà di guardare alla possibilità della nascita di un governo di salvezza nazionale in una cornice europeista, capace di rispondere alle istanze di Mattarella guardando alle necessità del Recovery Fund, della ricostruzione e della sconfitta della pandemia. Sorprende che solamente alcune voci dentro FI – penso a Carfagna, penso a Toti – si siano in qualche maniera dimostrate sensibili a questa posizione mentre il resto di FI resta molto legato all’accordo elettorale con Salvini e Meloni. È un accordo elettorale che ha una sua giustificazione in chiave di battaglia politica in Italia ma che guardando alla nascita di un governo di salvezza nazionale è controproducente perché il vero problema della Lega nasce dalla presenza di un accordo nel Parlamento europeo tra la Lega, l’estrema destra tedesca e Le Pen in Francia, all’interno dello stesso gruppo. Essendo presente in questo gruppo, la Lega viene considerata in Francia e Germania, dai governi di Berlino e di Parigi, come un partner non spendibile in quanto alleato a forze considerate ‘appestate’ o poco più. Di conseguenza la crisi italiana manca di un attore che è il centrodestra europeista. Questo è l’elemento che manca: saranno i prossimi giorni a dire se la voce e l’identità di un centrodestra europeista possa in qualche maniera diventare parte di una dinamica tesa a creare un governo di salvezza nazionale, se non dovessero riuscire gli sforzi di Pd e 5 Stelle per la creazione di un Conte-ter”.


Sull’Europa torna pure il direttore del Tg2 Gennaro Sangiuliano, autore di memorabili biografie, l’ultima dedicata a “Reagan. Il presidente che cambiò la politica americana” (Mondadori, 2021). “Allo storico francese Rémond che sosteneva che le destre sono tre, Prezzolini replicò che le destre sono trentatré – esordisce Sangiuliano – E’ evidente che il centrodestra ha un’articolazione culturale perché per vincere deve avere uno spettro inclusivo che va dai postsocialisti riformisti fino alla destra più tradizionalista. Probabilmente, anche alla luce della sconfitta elettorale di Trump, e soprattutto alla luce di quanto è accaduto nel mondo con la pandemia, il target del sovranismo sta mostrando limiti e fiato corto. Io ritengo che, più che il populismo, si dovrebbe riportare in auge il popolarismo, la categoria cui faceva riferimento don Luigi Sturzo nel saggio ‘La Libertà’ intendendo, con questa parola, la capacità della politica di percepire le istanze provenienti dal basso e rielaborarle in una prospettiva programmatica. Il centrodestra deve collocarsi in un quadro pienamente europeo. Merkel, del resto, è un esponente del centrodestra, non del centrosinistra, lo stesso vale per von der Leyen e per la stessa Lagarde che ha fatto parte di un esecutivo guidato da Sarkozy”. L’accreditamento europeo, dunque, resta un nodo fondamentale? “Dal 1996 al 2001 Berlusconi realizzò quella che ebbe poi a definire la ‘traversata nel deserto’, l’ingresso nel Ppe fu un passaggio cruciale. Berlusconi ebbe pure la straordinaria capacità di tenere insieme nello stesso schieramento postmissini ed ex socialisti, tra i suoi ministri figuravano personalità come Gasparri, Movimento sociale, Pisanu, sinistra Dc, Martino, Partito liberale, Tremonti e Brunetta, area socialista”. Salvini deve entrare nel Ppe? “Probabilmente sì, per essere in un quadro coerente. E’ necessario passare dal sovranismo al conservatorismo, una delle più grandi famiglie culturali del pensiero occidentale. Sono conservatori De Gaulle, Churchill, Thatcher, Reagan.  Serve un’operazione di riaccreditamento culturale”. Ma la cultura è di destra? “Certo che sì, basta con questa vecchia solfa che la cultura sarebbe solo di sinistra, è una tesi priva di riscontro sostanziale. Pirandello era di destra, esattamente come tanti intellettuali gentiliani che, un giorno dopo la caduta del regime, diventarono comunisti ed entrarono nel Pci. La cultura non può essere irregimentata in steccati politici”. 


Per il politologo Angelo Panebianco, “con il ritorno alla proporzionale non sappiamo se esisteranno ancora il centrodestra e il centrosinistra. Com’è noto, il centrodestra è una invenzione di Berlusconi dopo la nascita del maggioritario. Se si abbandona definitivamente tale sistema, le parole destra e sinistra centro perderanno valore sul piano nazionale, ogni partito si muoverà in un modo del tutto autonomo, esattamente com’è accaduto nel 2018 quando la Lega, pur essendosi presentata alle elezioni con FdI e FI, ha rotto l’alleanza per siglare un accordo di governo con il M5s. Nel proporzionale vale la legge dei numeri. Inoltre, io vedo una frattura profonda tra partiti del centro destra su un tema decisivo come il rapporto con l’Europa. Possono governare così insieme? Quando Meloni parla dell’Europa sembra riferirsi ad una potenza coloniale in procinto di invadere il nostro paese. Diverso il caso della Lega dove Salvini mantiene una posizione antieuropea ma poi, se si va a scavare nel tessuto profondo del partito, nel suo insediamento sociale, chi vota Lega è tutt’altro che antieuropeo. Il nord produttivo e industriale ha bisogno dell’Europa e dell’euro per ragioni anzitutto economiche, dal rapporto con l’Europa dipende l’economia di quelle zone. Al momento le posizioni più moderate di Giorgetti appaiono minoritarie ma nel lungo periodo potrebbero imporsi, tanto più se Salvini si renderà conto che lo sfondamento al Sud è un progetto fallimentare, meglio allora tornare coerenti con gli interessi delle zone del nord che non abboccano certamente alle tesi no-euro”. 
Per Vittorio Feltri, che ha vissuto cento vite in una vita, “il problema non è l’Europa, o meglio è l’Europa”. In che senso, direttore? “L’Europa è in mano a Germania e Francia, gli altri paesi non contano niente. Hai visto con la Brexit? Doveva essere l’Apocalisse, invece il Regno unito non ci ha perso niente. E poi vogliamo parlare della confusione sui vaccini? Da quando in qua l’Europa si occupa di vaccini? Anziché acquistarli sul mercato dove chi offre più soldi compra, ci siamo affidati all’Europa e così adesso mancano le dosi, e io che sono vecchio, non anziano, non so quando potrò vaccinarmi per tornare a vivere”. Ma il centrodestra italiano come se la passa? “Boh, direi che non esiste una destra vera in Italia, se non forse quella di Meloni. FI ha perso parecchi voti, ormai è un partito figurante. Anche la Lega, ultimamente, perde un po’ di colpi. E’ troppo difficile che si riesca a costituire un denominatore comune tra le tre forze del centrodestra, francamente non vedo una concreta possibilità di adesione ad un programma unico da presentare agli elettori. Certo è che in questa fase, con questo Parlamento, la destra non ha i numeri per governare e, in caso di improbabili elezioni, si potrebbero forse conquistare i numeri ma mancherebbe in ogni caso un programma comune. La politica disgiunta dalla matematica si riduce a chiacchiere da bar”.

 

E dei leader in campo che mi dice? “Meloni è leader di un partito che è cresciuto nei sondaggi ma rimane in ogni caso minoritario, il primus inter pares resta la Lega. Berlusconi aveva promesso la rivoluzione liberale ma poi non è riuscito neanche ad abrogare il valore legale del titolo di studio o ad eliminare gli ordini professionali. Per il resto, non posso imputargli alcunché, è stato un grande imprenditore e il mio migliore editore: mai una pressione, mai una interferenza, in compenso mi ha strapagato. Aveva ragione Bettino Craxi che di lui diceva: è bravo a regnare, non a governare”. Ma nella Lega ci sarà qualcuno che le piace? “Giorgetti è un democristiano, Zaia ha una energia niente male, una vitalità che Giorgetti non ha. Il suo Veneto poi funziona bene ma non credo che abbia interesse a salire sul carro nazionale”. E sull’immigrazione? “Ah, su quello il centrodestra ha ragione da vendere. Ormai siamo al paradosso che noi non possiamo uscire di casa mentre ogni giorno sbarcano, in totale tranquillità, tre o quattrocento immigrati”. Alla fine decideranno gli elettori… “Io dell’elettorato non mi fido neanche un po’. Alle ultime politiche il M5s ha ottenuto il 33 percento dei consensi, quindi 33 elettori su 100 sono delle teste di c... Ci affidiamo a Grillo che ha fondato un partito sul vaffanculo?! Tra i grillini c’è una ignoranza contagiosa che sta dilagando anche negli altri partiti. Da Mani pulite in poi, si è consolidata la mediocrità al potere”. 

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Per Pietro Senaldi, direttore di Libero, “in giro ci sono troppi leader e poca classe dirigente. Io penso che la destra non debba commettere l’errore di crogiolarsi sui disastri dell’avversario. Il centrosinistra non ha una proposta per il paese, il che dà un vantaggio competitivo al centrodestra che dovrebbe elaborare un’idea del futuro dell’Italia e delle cose da fare che abbia un respiro di lungo periodo. Bisogna passare dalla fase della critica a quella della proposizione. Perciò, nella crisi di governo in corso, il centrodestra sbaglierebbe ad avallare eventuali soluzioni tecniche che sono sempre, inevitabilmente, l’autocertificazione dell’incapacità e del fallimento della politica. Si trovi una idea condivisa di paese e la si proponga ai cittadini. 

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 In secondo luogo, poi, è necessario allargare la squadra: attualmente il centrodestra non ha un leader ma ne ha tre, mentre manca una classe dirigente ampia”. E sull’Europa? “E’ scontato dire che noi stiamo in Europa, abbiamo capito che è praticamente impossibile uscire dall’euro, lo trovo perciò un dibattito superato. Tu devi essere tu, poi se tu sei te stesso  puoi sperare di contare anche in Europa. Lo dimostra il caso inglese: il Regno unito è stato membro dell’Unione europea senza mai conformarsi o rendersi omogeneo al mainstream, eppure ha esercitato molta più influenza dell’Italia che pure ha espresso un commissario europeo, Prodi, in una fase importante come la transizione all’euro”. 

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Più duro il giudizio del direttore di Huffington Post Italia Mattia Feltri che, pur non essendo mai stato di sinistra, dice che tra il Pd e la destra italiana voterebbe il primo: “Purtroppo non vedo una cultura liberale, non vedo moderatezza, non vedo un sapore di responsabilità gaullista. Non sono certo che Lega o FdI abbiano una via meditata, sono certo invece che non abbiano una via repubblicana e pienamente costituzionale”. Addirittura? “Quando, in seguito all’arresto per droga dei genitori della famosa citofonata di Bologna, Salvini afferma che il tempo è stato galantuomo dimostra di non capire. Chi come me lo ha criticato per quel gesto non intendeva certo affermare che quelle persone fossero innocenti ma che citofonare a favore di telecamera, tra la folla aizzante, era un atto eversivo in tempi in cui si manganella via web. Quando io ero ragazzino, la destra italiana era la Dc, quando ero al ginnasio c’era un mio compagno di classe rigorosamente di sinistra che considerava la Dc fascista. Nella Seconda repubblica Berlusconi è stato sempre un uomo delle istituzioni: ha cambiato il modo di fare politica ed è stato descritto malamente come un sovversivo sebbene non lo fosse affatto, come dimostrano le dimissioni volontarie nel 2011. Nella mia vita ho votato spesso a destra ma questa destra è troppo a destra per me. Meloni e Salvini possono fare quel che ritengono ma di questo passo non riusciranno ad attrarre un elettorato di area liberale e repubblicana, faticheranno ad acquisire una appetibilità europea. La mia impressione è che Meloni sia restia all’idea di andare al governo perché è consapevole del veto che in Europa grava su Salvini mentre lei una credibilità, per quanto limitata, se l’è creata”. E sull’immigrazione? “Prevale un atteggiamento giustizialista, grave in sé e che per giunta spaventa una larga porzione del popolo italiano, al pari delle simpatie esibite per Orban e Putin. Così lasciano intravedere spettri che forse non sono pienamente nelle loro corde ma li fanno intravedere ugualmente”. 


Per Alessandro Campi, professore ordinario di Scienza politica all’Università degli studi di Perugia e direttore della Rivista di Politica, “i partiti del centrodestra dovrebbero agire con maggiore tatticismo. Prima o poi si andrà a votare, nel 2023 il centrodestra vincerà e il mio primo consiglio è di non crogiolarsi in questa ipotesi, bisogna attrezzarsi sul piano tattico e propagandistico. Riscontro, in particolare, la difficoltà a stabilire una interlocuzione con i livelli istituzionali, non solo europei. Se parti dall’idea che il cosiddetto ‘deep state’ non è un luogo corrotto ma è la nervatura di qualunque stato moderno, comprendi bene che devi interloquire con quei mondi, con la burocrazia, con i ministeri, e devi farlo anzitutto per ragioni politiche prima ancora che di interesse. Tradizionalmente la pubblica amministrazione è una realtà autoconservativa che tende a respingere gli elementi estranei o quelli portatori di idee non sintoniche. Il centrodestra non può ripetere gli errori del passato, e a tale scopo deve costruire una interlocuzione con un pezzo dell’articolazione pubblico-statale che va conosciuta anzitutto sul piano personale, di relazione diretta, per poi conquistarne i gangli principali e portarli a sé”. Secondo consiglio? “Sul piano culturale, dell’immagine, serve un lavoro di ripulitura complessiva. Con la caduta di Trump e la fine del grande disegno sovranista, serve un riposizionamento, il che non significa rinunciare alle proprie idee ma adattarle in un contesto mutato. Oggi invece la destra sembra talvolta inchiodata ad una immagine caricaturale del sovranismo. Non basta agitare il tricolore, non servono proclami enfatici. Il mio suggerimento è: si passi dal sovranismo declamatorio a quello politico in senso pieno, si affrontino questioni concrete come il declino demografico, un problema strutturale per la società italiana. Il resto verrà da sé perché l’onda della storia, ne sono convinto, va in quella direzione: la riscoperta delle identità, delle tradizioni, la difesa del peculiare nazionale”. E sull’Europa? “La destra deve uscire dall’antieuropeismo, peraltro estraneo alla sua storia. Negli anni Settanta le frange della destra giovanile sono cresciute nel mito della riunificazione degli stati europei per creare una vera alternativa al potere dei due grandi imperi, sovietico e americano. L’Italia è inserita in un quadro di alleanze e relazioni politiche sostanzialmente irreversibili: è nel quadro di quei rapporti che dobbiamo contare di più. Si caldeggi allora una visione di Europa che non porterà mai al superamento degli stati nazionali che ne sono invece l’essenza storica, spirituale e politica. Non servono abiure speciali, lo dimostra la conversione all’europeismo del M5s, un fatto abbastanza semplice. In questo modo la destra potrà uscire dall’attuale schizofrenia e da quella posizione scomoda in cui prendi insulti da tutti e sei con le spalle al muro”.
 

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