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Consultazioni: cercasi maggioranza contro il circo mediatico-giudiziario

Claudio Cerasa

Non è la prima volta che un governo entra in crisi sui temi della Giustizia. Questa volta però chi soffia da sempre sul fuoco del giustizialismo ha bisogno dell’aiuto di chi ha  sputtanato per anni

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Nel grande romanzo della scazzottata tra Giuseppe Conte e Matteo Renzi, c’è una storia nella storia che merita di essere raccontata e che riguarda un tassello non irrilevante del mosaico della crisi di governo. In Italia ormai ci siamo abituati e quasi non ci facciamo più caso ma la verità è che ancora una volta il nostro paese si ritrova a fare i conti con una classe politica sballottata in modo violento da un mostro chiamato circo mediatico-giudiziario. La Giustizia è entrata in queste consultazioni attraverso l’avviso di garanzia ricevuto dal segretario di uno dei partiti corteggiati da Giuseppe Conte per allargare la sua maggioranza (il pm che ha indagato Lorenzo Cesa, Nicola Gratteri, ha respinto l’accusa di aver avviato un’inchiesta a orologeria affermando che “fino all’altra sera gli ho sentito dire in tv che lui e l’Udc non sarebbero entrati nella maggioranza, quindi questo problema non si è posto. Se ora qualcuno vuole sostenere il contrario lo faccia, ma io l’ho sentito con le mie orecchie”, dimostrando che lo sconfinamento della magistratura nell’ambito della politica è diventato ormai così naturale al punto che un pm considera normale giustificare le tempistiche della propria iniziativa giudiziaria facendo riferimento alla situazione politica del paese). 

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Nel grande romanzo della scazzottata tra Giuseppe Conte e Matteo Renzi, c’è una storia nella storia che merita di essere raccontata e che riguarda un tassello non irrilevante del mosaico della crisi di governo. In Italia ormai ci siamo abituati e quasi non ci facciamo più caso ma la verità è che ancora una volta il nostro paese si ritrova a fare i conti con una classe politica sballottata in modo violento da un mostro chiamato circo mediatico-giudiziario. La Giustizia è entrata in queste consultazioni attraverso l’avviso di garanzia ricevuto dal segretario di uno dei partiti corteggiati da Giuseppe Conte per allargare la sua maggioranza (il pm che ha indagato Lorenzo Cesa, Nicola Gratteri, ha respinto l’accusa di aver avviato un’inchiesta a orologeria affermando che “fino all’altra sera gli ho sentito dire in tv che lui e l’Udc non sarebbero entrati nella maggioranza, quindi questo problema non si è posto. Se ora qualcuno vuole sostenere il contrario lo faccia, ma io l’ho sentito con le mie orecchie”, dimostrando che lo sconfinamento della magistratura nell’ambito della politica è diventato ormai così naturale al punto che un pm considera normale giustificare le tempistiche della propria iniziativa giudiziaria facendo riferimento alla situazione politica del paese). 

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C’è entrata attraverso l’avviso di garanzia ricevuto da Nicola Zingaretti (il governatore del Lazio, e segretario del Pd, è indagato per abuso d’ufficio, nell’ambito di un’indagine relativa ad alcune nomine nelle Asl, a seguito di un esposto di un consigliere regionale di Forza Italia). Ma c’è entrata soprattutto attraverso il detonatore finale della crisi che ha coinciso con la scelta di Giuseppe Conte di dimettersi per evitare di essere sfiduciato con il voto alla relazione sulla Giustizia che avrebbe dovuto portare in Parlamento alla fine della scorsa settimana il ministro Alfonso Bonafede, che anche grazie alla riforma fortissimamente voluta dal M5s che ha abolito la prescrizione dopo il primo grado di giudizio, nel corso dei mesi è diventato uno dei simboli del nuovo giustizialismo italiano.

 

Non è la prima volta, come abbiamo detto, che un governo entra in fibrillazione sui temi della Giustizia e non è la prima volta che un governo collassa a causa delle infezioni generate dalle molte varianti di un virus chiamato circo mediatico-giudiziario. E’ successo nel novembre del 1994, quando l’allora presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, mentre si stava svolgendo a Napoli la Conferenza internazionale sulla criminalità organizzata, scoprì dalle pagine del Corriere della Sera di essere stato indagato nell’ambito di un’inchiesta sui diritti tv (pochi mesi dopo il governo sarebbe caduto, anche a causa di quell’inchiesta, andata in prescrizione con sentenza del 2004). E’ successo nel 2008, quando Alessandra Lonardo, moglie dell’allora ministro della Giustizia, Clemente Mastella, venne arrestata nell’ambito di un’inchiesta che coinvolse anche l’allora leader dell’Udeur, proprio nei giorni in cui il governo Prodi stava discutendo la riforma della Giustizia, e a seguito di quella vicenda Mastella decise di togliere la fiducia al governo Prodi (il processo ai Mastella si è chiuso in primo grado a settembre 2017 con una sentenza di assoluzione perché il fatto non costituisce reato). E’ successo anche ai tempi del governo Letta, nel 2014, quando l’allora ex vicesegretario del Pd, alla guida di un governo già debole di suo, venne ulteriormente indebolito da un’inchiesta a carico dell’allora ministro dell’Agricoltura Nunzia De Girolamo (De Girolamo assolta poi nel 2020). E’ successo anche ai tempi del governo Renzi, tra il 2014 e il 2016, quando diverse inchieste giudiziarie a carico di alcuni ministri (come Federica Guidi, che ha visto archiviare  l’indagine a suo carico tre anni dopo essere stata ricoperta di fango, e come Maurizio Lupi, che ha visto archiviare  l’indagine a suo carico tre anni dopo essere stato ricoperto di fango) ebbero come effetto non collaterale quello di indebolire il governo guidato dall’allora Rottamatore (governo che cadde poi nel 2016 quando una parte della magistratura togata chiese di fermare Renzi votando No al referendum costituzionale).

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L’elemento interessante di questa crisi, se ci si pensa, è che per la prima volta nella storia recente del nostro paese c’è un governo che cade non per una vittoria del giustizialismo ma per una triangolazione dei nemici del giustizialismo (“Prendiamo atto che in Parlamento non c’è più una maggioranza giustizialista, altrimenti oggi il ministro Bonafede avrebbe ottenuto i voti in Senato”, ha detto la scorsa settimana Matteo Renzi). E per una strana geometria della politica oggi sono proprio coloro che hanno soffiato per anni sul fuoco del giustizialismo (il M5s) ad avere bisogno dell’aiuto (e dei voti) degli stessi politici che hanno sistematicamente provato a sputtanare negli anni. Capita così che il M5s sia costretto a trovare un modo per far pace con lo stesso Matteo Renzi che negli anni ha contribuito a demonizzare. Capita così che il M5s sia costretto a trovare un modo per portare dalla parte della propria maggioranza i parlamentari provenienti dal partito del non più odiato Berlusconi (in attesa che sia proprio Forza Italia magari ad appoggiare un governo con il M5s). Capita così che il M5s sia costretto a trovare un modo per portare dalla propria parte gli ex compagni di partito di Nunzia De Girolamo (gulp), i senatori del partito di Cesa (gulp), i voti del partito di Lupi (gulp), i parlamentari vicini a Mastella compresa la moglie (gulp). Nelle prossime ore capiremo probabilmente quale sarà il destino della crisi di governo. Ma a prescindere da quello che sarà l’esito naturale della crisi è possibile trarre una lezione che sarà utile tenere a mente: fino a quando l’Italia non saprà scegliere tra il metodo Montesquieu (separazione dei poteri) e quello Rousseau (gogna modello Travaglio) l’Italia sarà un paese destinato a essere costantemente in ostaggio dei nuovi e vecchi professionisti del circo mediatico-giudiziario.

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