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Normalità e anomalia di una crisi di governo

Giuliano Ferrara

Alla fine, se è la politica a decidere, Renzi e Conte faranno un accordo, a meno che non vincano gli istinti autolesionisti. Tutto normale, tranne circostanze e tempi come questi

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La crisi di governo in Italia è la cosa più normale che ci sia, infatti se ne sono fatte un numero colossale che non tutti ci invidiano. Di recente ci hanno fottuto il primato gli spagnoli e gli israeliani, però nella classifica dal dopoguerra non ci batte nessuno. Ma non è tanto la quantità, è la qualità che conta. Ci sono state crisi apocalittiche, ideologiche, puramente propagandistiche, semipolitiche, sornione, di mero rinnovamento del ceto ministeriale: tutte hanno qualcosa in comune e nell’insieme fanno modello, paradigma.

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La crisi di governo in Italia è la cosa più normale che ci sia, infatti se ne sono fatte un numero colossale che non tutti ci invidiano. Di recente ci hanno fottuto il primato gli spagnoli e gli israeliani, però nella classifica dal dopoguerra non ci batte nessuno. Ma non è tanto la quantità, è la qualità che conta. Ci sono state crisi apocalittiche, ideologiche, puramente propagandistiche, semipolitiche, sornione, di mero rinnovamento del ceto ministeriale: tutte hanno qualcosa in comune e nell’insieme fanno modello, paradigma.

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Un partner di maggioranza sente di contare ma non abbastanza, persegue legittimi scopi di vitalità politica, decide di far valere il suo peso nella coalizione, anche se sia numericamente marginale. “Senza di me, niente governo”. Questo all’osso. Naturalmente le ragioni esposte a suffragio sono sempre programmatiche, denunciano immobilismo e cattiva gestione. E’ il primo passo. Al quale segue un dilemma. “Tirerò la corda fino a far vincere gli avversari o comunque a sfasciare tutto nella prospettiva di elezioni a una data anticipata, non quella della fine di legislatura?”. La risposta a questo dilemma dipende dalla concreta convenienza di uno degli esiti, dalla plausibilità del comportamento crisaiolo che vi conduce, dal modo in cui i partner affrontano il tira e molla, dai fatti di contesto del tempo in cui il paese vive.  

       

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Sfidato a fare il bullo (errore di calcolo), Renzi ha fatto come le Bierre, senza bisogno di rapire Conte e menare una campagna insurrezionista: ha chiesto un pieno riconoscimento politico al suo gruppo. Gli è stato dato, dopo un breve momento in cui era sembrato ad alcuni di poter fare a meno di lui. Questo riconoscimento ha già un costo in termini di stabilità politica e di governabilità, perché i grillini non vogliono le elezioni e alcuni di loro vorrebbero rifarsi la faccia, un bel lifting semidefinitivo dopo l’orgia demagogica finita male con il Conte1 di Salvini e Di Maio, quando il presidente era il vice dei suoi vice, ma l’influente partito Travaglio-Dibba vigila rissosamente contro il suo nemico ideologico di Rignano. “Posso adesso spingere fino al cambio del capo del governo?”. Renzi sa che su questo punto si sfascia tutto, un bel Trisconte è nella normalità della crisi di questi tempi. Renzi sa benissimo che il suo avversario ha fatto il lockdown e il Recovery, mica poco, e sa anche che in caso di elezioni una sua lista anti alleanza Pd-grillini avrebbe dei concorrenti che la ridimensionerebbero nel suo potenziale spazio politico (Calenda per esempio si agita, e dà al competitore del traditore della democrazia per via di un’intervista neorinascimentale al macellaio-modernizzatore di Riad, il caro Bin Salman).

       

Siamo così alla solita fase finale, la ricerca di un punto di caduta nel negoziato, la soluzione che fa vincere tutti un poco e lascia le strade aperte per la prossima crisi o per una ordinaria fine del ciclo politico avviato con la cacciata di Salvini, fino alla scadenza costituzionale del Parlamento. In questo quadro i retroscenisti chiacchierano e presentano nomi diversi per governi diversi, esibiscono princìpi non negoziabili, fanno appello alla gravità dell’ora, irradiano bellurie, condotte etiche perfette, programmi traslucidi di riforma e trasformazione del paese alla radice, appesi a piccoli calcoli di altri vari gruppi di interesse. Alla fine, se è la politica a decidere, Renzi e Conte fanno un accordo. Se trionfa la psicologia, l’identità pura e dura, se vincono gli istinti autolesionisti, bè, allora nasce l’incidente non sanabile e si vota, magari con un itinerario barocco per decidere chi sta a Palazzo Chigi in campagna elettorale. Il tutto dimostra, visti i rischi per la salute e per il Recovery, che anche questa crisi è la cosa più normale che ci sia, tranne per il fatto, anormale, che è stata promossa di questi tempi e in queste delicatissime circostanze.

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