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lì dove nasce il degrado politico italiano

Erosa e bistrattata: fenomenologia della fiducia, pilastro della tenuta sociale

Sergio Belardinelli

La fiducia al governo è stata solo la punta di un iceberg concettuale che coinvolge tutti: dalle istituzioni ai cittadini, fino alle relazioni personali. E guai a perderlo di vista

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In questi tempi di pandemia uno dei temi che vengono maggiormente evocati nel dibattito pubblico italiano è quello della tenuta sociale. Di solito chi lo evoca pensa prevalentemente all’inadeguatezza del Sistema sanitario, alla crisi economica, alle difficoltà progettuali per ricevere i soldi del Recovery fund, ai disordini che potrebbero verificarsi una volta che scadrà il blocco dei licenziamenti, magari paventando (o auspicando) lo spauracchio di quei cittadini che poche settimane fa hanno dato l’assalto al Parlamento degli Stati Uniti d’America. Ma non è soltanto questo. Non è soltanto questione di tenuta del Sistema sanitario nazionale, del sistema economico produttivo o del sistema politico. E’ soprattutto una questione che riguarda la trama preziosa e labilissima che tiene insieme questi sistemi, forse il più importante dei capitali sociali di una comunità, in una parola, è una questione di fiducia.

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In questi tempi di pandemia uno dei temi che vengono maggiormente evocati nel dibattito pubblico italiano è quello della tenuta sociale. Di solito chi lo evoca pensa prevalentemente all’inadeguatezza del Sistema sanitario, alla crisi economica, alle difficoltà progettuali per ricevere i soldi del Recovery fund, ai disordini che potrebbero verificarsi una volta che scadrà il blocco dei licenziamenti, magari paventando (o auspicando) lo spauracchio di quei cittadini che poche settimane fa hanno dato l’assalto al Parlamento degli Stati Uniti d’America. Ma non è soltanto questo. Non è soltanto questione di tenuta del Sistema sanitario nazionale, del sistema economico produttivo o del sistema politico. E’ soprattutto una questione che riguarda la trama preziosa e labilissima che tiene insieme questi sistemi, forse il più importante dei capitali sociali di una comunità, in una parola, è una questione di fiducia.

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Nell’indifferenza pressoché generale, sono anni che nel nostro paese registriamo un’erosione crescente sia della fiducia dei cittadini nelle istituzioni, sia della fiducia interpersonale, sia della fiducia dei rappresentanti istituzionali nei confronti dei cittadini. Ma è precisamente in questa mancanza di fiducia che si riflette il degrado politico istituzionale italiano, fatto di contrapposizione ideologica, chiacchiera, trasformismo, ostilità alla decisione politica, immobilismo, accettazione di fondo di uno stato sempre più debole, arrogante e pervasivo, e che la pandemia sembra destinata ad accentuare. E’ solo la fiducia che rende la libertà delle persone e il pluralismo una grande risorsa sociale; è la fiducia che sta alla base dell’accettazione dei risultati di una campagna elettorale da parte di tutti i contendenti, tutti ugualmente convinti che chiunque vinca rispetterà la libertà dell’avversario; è la fiducia che sta a fondamento dei princìpi di bilanciamento delle nostre istituzioni, nonché di quella “polarizzazione limitata”, senza la quale, specialmente quando sono in gioco questioni spinose, è difficile il dispiegarsi di una normale dialettica democratica; è la fiducia infine che fa sì che le istituzioni siano in grado di offrire una garanzia di attendibilità alle aspettative dei cittadini, fiduciosi, appunto, che i loro diritti saranno difesi e rispettati.

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Da qualsiasi prospettiva lo si osservi, lo scenario socio-politico rinvia, come si vede, alla fiducia. Sempre ovviamente che si tratti di uno scenario di tipo liberaldemocratico. I regimi autoritari non ne hanno infatti bisogno, meno che mai ne hanno bisogno quelli totalitari, la cui principale risorsa è la paura. Dalla fiducia che abbiamo in noi stessi, negli altri e nelle istituzioni (quella che i sociologi chiamano fiducia generalizzata) dipende in sostanza la qualità della nostra vita individuale, sociale e politica. Proprio per questo è importante conoscerla, coltivarla e preoccuparsi quando essa scarseggia. Conoscerla significa anzitutto essere consapevoli che non si tratta di una risorsa che può essere prodotta, diciamo così, a comando. La fiducia non è la risultante di azioni volte direttamente a produrre fiducia; è piuttosto una sorta di preziosissimo effetto collaterale di azioni che hanno in altro il loro fine specifico. Per fare un esempio, l’amore, l’amicizia, il senso di responsabilità, il lavoro fatto con passione, istituzioni pubbliche efficienti producono fiducia, ma in senso proprio nessuno dirà che la fiducia è il loro fine. Non daremmo mai la nostra fiducia a uno che, poniamo, la perseguisse come suo scopo primario; né la daremmo mai a qualcuno che ci ha rubato il portafogli o a istituzioni inefficienti e palesemente ingiuste.

  

La fiducia è una risorsa che favorisce il buon funzionamento delle relazioni tra le persone e tra le persone e le diverse istituzioni, e che cresce grazie a questo buon funzionamento. Anche per questo la fiducia cresce dove è già presente e fa fatica a crescere dove non lo è. La sua logica sembra essere quella dell’acqua che va al mare o, se si vuole, quella evangelica, secondo la quale “a chi ha sarà dato e a chi non ha sarà tolto anche quello che ha”. Esattamente quanto ci mostrano le nostre più elementari esperienze di vita sociale e individuale. A questo proposito faccio un solo esempio. Almeno a parole, il nostro assetto politico-istituzionale non piace a nessuno; tutti ne parlano malissimo; alle sue disastrose inefficienze ci si riferisce sovente per eccitare l’animo degli elettori; ma guai a chi osa provare a cambiarlo.

 

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Di conseguenza conviviamo ormai da decenni con una situazione, solo apparentemente paradossale, tale per cui, da un lato, in una fondamentale sfiducia nei confronti del mercato, della concorrenza e delle libertà dei cittadini, tendiamo a sovraccaricare lo stato di innumerevoli compiti di politica sociale ed economica che potrebbero essere svolti benissimo dai privati o dal cosiddetto “terzo settore”; dall’altro però la nostra fiducia non viene neanche riposta nelle istituzioni dello stato. Anche se le nostre politiche sociali, almeno fino a oggi, si sono ispirate perlopiù a concezioni universalistiche, la mancanza di uno stato universalistico, ossia di apparati pubblici capaci di autonomia e di efficienza, al riparo da appetiti di parte, ha fatto sì che il loro funzionamento fosse “particolaristico-clientelare”, incrementando così con slanci populistici e con una sostanziale sfiducia nelle istituzioni, la preoccupante miscela di inciviltà che caratterizza la nostra cultura politica. La fiducia è davvero una cosa seria.

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