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Geometrie al Colle

Tutte le strade che portano al TrisConte

Claudio Cerasa

Renzi trova al Quirinale alleati per avere discontinuità nell’agenda di governo (bene!), ma non per avere discontinuità sui nomi. La scommessa del nuovo incarico

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E’ il negoziato, bellezza. Alla fine della più importante tra le giornate di consultazioni al Quirinale, l’impressione che si ricava dall’incontro pomeridiano tra Matteo Renzi e Sergio Mattarella è riassumibile grosso modo così. Il leader di Italia viva, che ieri non ha posto veti sui nomi che potrebbero guidare il nuovo esecutivo, ha capito che il presidente della Repubblica potrebbe essere un alleato decisamente importante per provare a portare una dose di discontinuità nel governo che sarà. Ma allo stesso tempo ha capito che il capo dello stato non sarà invece un alleato altrettanto prezioso per provare a portare con rapidità una dose di discontinuità sul nome che potrebbe guidare il prossimo governo. E la ragione per cui Sergio Mattarella, a differenza di Matteo Renzi, non è mosso da un pregiudizio negativo nei confronti di Giuseppe Conte ha a che fare con almeno due dati di realtà. Il primo riguarda la semplice aritmetica, e una volta registrato che il presidente del Consiglio uscente, in vista di un nuovo potenziale governo, ha il sostegno di quattro forze parlamentari (M5s, Pd, Leu, il nuovo gruppo di scappati di casa europeisti) che insieme totalizzano la maggioranza assoluta alla Camera (324) e la maggioranza quasi assoluta al Senato (se si contano anche i due senatori a vita, Monti e Cattaneo, che più partecipano ai lavori parlamentari, l’asticella è a quota 158) sarà difficile per il presidente della Repubblica evitare di fare quello che Matteo Renzi si augura che non capiti: dare cioè un preincarico a Conte (non un incarico esplorativo a Roberto Fico come spera Renzi) offrendo così all’avvocato la possibilità di andare a cercare tra i gruppi parlamentari titubanti  i voti che mancano all’appello per raggiungere la maggioranza al Senato, trattando così con Italia viva da una posizione di debolezza relativa (telefonarsi di nuovo, please).

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E’ il negoziato, bellezza. Alla fine della più importante tra le giornate di consultazioni al Quirinale, l’impressione che si ricava dall’incontro pomeridiano tra Matteo Renzi e Sergio Mattarella è riassumibile grosso modo così. Il leader di Italia viva, che ieri non ha posto veti sui nomi che potrebbero guidare il nuovo esecutivo, ha capito che il presidente della Repubblica potrebbe essere un alleato decisamente importante per provare a portare una dose di discontinuità nel governo che sarà. Ma allo stesso tempo ha capito che il capo dello stato non sarà invece un alleato altrettanto prezioso per provare a portare con rapidità una dose di discontinuità sul nome che potrebbe guidare il prossimo governo. E la ragione per cui Sergio Mattarella, a differenza di Matteo Renzi, non è mosso da un pregiudizio negativo nei confronti di Giuseppe Conte ha a che fare con almeno due dati di realtà. Il primo riguarda la semplice aritmetica, e una volta registrato che il presidente del Consiglio uscente, in vista di un nuovo potenziale governo, ha il sostegno di quattro forze parlamentari (M5s, Pd, Leu, il nuovo gruppo di scappati di casa europeisti) che insieme totalizzano la maggioranza assoluta alla Camera (324) e la maggioranza quasi assoluta al Senato (se si contano anche i due senatori a vita, Monti e Cattaneo, che più partecipano ai lavori parlamentari, l’asticella è a quota 158) sarà difficile per il presidente della Repubblica evitare di fare quello che Matteo Renzi si augura che non capiti: dare cioè un preincarico a Conte (non un incarico esplorativo a Roberto Fico come spera Renzi) offrendo così all’avvocato la possibilità di andare a cercare tra i gruppi parlamentari titubanti  i voti che mancano all’appello per raggiungere la maggioranza al Senato, trattando così con Italia viva da una posizione di debolezza relativa (telefonarsi di nuovo, please).

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Per il capo dello stato, evitare di fare una mossa che possa, come si dice, bruciare Conte non è solo frutto di un ragionamento aritmetico ma è anche il frutto di una linea di condotta che negli ultimi anni si è affermata in modo graduale tra i principali consiglieri del capo dello stato, che sull’avvocato di Volturara Appula hanno fatto un investimento ambizioso: provare a scommettere su Conte per smussare il più possibile gli angoli del populismo grillino. In tre parole: romanizzare i barbari. Questa linea di condotta, negli anni, è stata suggerita con forza da due consiglieri importanti del capo dello stato come Simone Guerrini (amico di infanzia di Enrico Letta e un tempo responsabile nazionale dei giovani democristiani) e come Francesco Saverio Garofani (già direttore del Popolo ed ex deputato del Pd di rito franceschiniano). Ma è stata fatta propria, in modo  più sostanziale, da un altro importante consigliere che, come è noto, risponde al nome di Ugo Zampetti. Zampetti è il segretario generale del Quirinale. E’ stato colui che per primo  avvicinò Conte a Mattarella. E’ stato colui che per primo nel 2018 ricevette la lista dei potenziali ministri del governo grillino da parte di  Di Maio. E’ stato colui che nell’ottobre del 2019, poche settimane dopo l’insediamento del  Bis Conte, ha osservato con piacere la scelta fatta da Conte di mettere il ruolo di capo di gabinetto del presidente del Consiglio nelle mani di Alessandro Goracci, figlio di Carlo Goracci che per anni fu il vice di Zampetti negli anni in cui l’attuale segretario generale del Quirinale fu segretario generale della Camera. Ed è colui che da tempo, nei palazzi del potere, incarna una linea difficile da contestare: in questa legislatura, una maggioranza che preveda la presenza del M5s senza la presenza di Conte sarebbe una maggioranza che con ogni probabilità presenterebbe maggiori elementi di instabilità rispetto a quella che esiste oggi e che permetterebbe al grillismo minori compromessi con la realtà rispetto a quelli già faticosi registrati fino a oggi. 


Difficile dire questa piccola premessa a cosa porterà. Più facile immaginare che se Matteo Renzi confermerà nei prossimi giorni ciò che ha detto ieri al Quirinale (“attendiamo di capire nelle prossime ore se la valutazione delle forze politiche è di coinvolgere Italia viva”) è probabile che troverà in Sergio Mattarella un alleato prezioso per creare le condizioni giuste affinché vi sia un riavvicinamento tra Renzi e Conte (tra Renzi e il Pd e tra Renzi e il M5s il riavvicinamento c’è eccome) e affinché vi sia nella possibile maggioranza del futuro una maggiore flessibilità da parte del partito che sostiene Conte sui temi dell’agenda Renzi (squadra rinnovata, svolta sulla giustizia, nuovo passo sul Recovery, mentre sul Mes poi si vedrà). La responsabilità in fondo passa da qui: non dalla caccia all’ultimo autorevole responsabile scappato di casa ma dalla riconciliazione, dal compromesso, dalla capacità dei protagonisti della contesa, ovvero Renzi e Conte, di mettere la propria agenda un passo più indietro rispetto all’agenda del paese. E’ il negoziato, bellezza. 

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