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Tra crisi e pm

Palazzo Chigi è diventato un porto di mare

Salvatore Merlo

Carabinieri che arrivano con i pm, Salvini che si fa i selfie in corridoio, senatori che entrano ed escono, responsabili e costruttori, Casalino che fa il vigile urbano davanti allo studio di Conte. Il Palazzo del governo sembra diventato una specie di affollatissima trattoria, un farsesco grand hotel con gente che vaga per i corridoi, o nei bagni

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Una specie di affollatissimo porto di mare, con la gente che vaga per i corridoi, o nei bagni. Veri e falsi responsabili,  messaggeri, carabinieri, magistrati. C’è pure Salvini  che si spara un selfie nella galleria dei presidenti,  tra il ritratto di Fanfani e quello di Giolitti.  Attende l’arrivo di Giuseppe Conte, il padrone di casa che non sa se sarà sfrattato ma intanto è testimone nel processo al suo ex ministro dell’Interno. Tutti a Palazzo Chigi. Alla fine i due restano soli per un attimo,  nel salone giallo, non distante dal salone delle galere (tranquilli: sono navi). “Perché non mi dai una mano?”, ci prova Conte, ridendo. L’altro non risponde.  

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Una specie di affollatissimo porto di mare, con la gente che vaga per i corridoi, o nei bagni. Veri e falsi responsabili,  messaggeri, carabinieri, magistrati. C’è pure Salvini  che si spara un selfie nella galleria dei presidenti,  tra il ritratto di Fanfani e quello di Giolitti.  Attende l’arrivo di Giuseppe Conte, il padrone di casa che non sa se sarà sfrattato ma intanto è testimone nel processo al suo ex ministro dell’Interno. Tutti a Palazzo Chigi. Alla fine i due restano soli per un attimo,  nel salone giallo, non distante dal salone delle galere (tranquilli: sono navi). “Perché non mi dai una mano?”, ci prova Conte, ridendo. L’altro non risponde.  

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Grand hotel  Chigi, dunque. Osteria o trattoria, imbuto in cui in un solo giorno sembrano precipitare roteando tutte le mattane d’Italia, politiche e giudiziarie.   Le  anticamere e i salottini sono pieni di svolazzanti individui. Echeggia lo stesso interrogativo (“dura o non dura?”). I valletti, appoggiati ai mobili rococò, gestiscono il traffico. Arriva il senatore Luigi Vitali, simpatico e tombolotto. Entra  contiano ed   esce  berlusconiano. E’ andata male. Ma che vi siete detti con Conte? (“Ci siamo spiegati... mi spiego?”). Non proprio. Arriva pure Bruno Tabacci. I poliziotti in alta uniforme all’ingresso lo vedono così spesso che ormai lo   scambiano per un ministro. E gli fanno il saluto.  Lui però  il  dicastero lo porta sotto lo zuccotto di lana,  dove custodisce a mente tutti i nomi dei responsabili. Più veri del vero, o forse più tarocchi di quegli arazzi che una volta  Sgarbi voleva far portare in discarica. 


Che giornata, ieri, a Palazzo Chigi. Una sarabanda. Un Maracanã. L’imbarcadero di Marsiglia. Rocco entra ed esce trafelato dalla stanza del suo Giuseppe. Trasmette inviti, proposte, richieste, qualche dispetto luccicante. “Ha chiamato Nicola”. “Non capisco perché non abbiamo ancora i numeri”. Crisi lampo? Governo ter? Reincarico? “Che dice Dario?”. Soprassalti, elisioni, rigurgiti. Il Palazzo è un ottovolante. Ecco i carabinieri arrivati da  Catania, con il giudice e il pubblico ministero, quello che dopo aver interrogato Conte  si mette pure  a rilasciare dichiarazioni alle telecamere davanti al portone. Come fosse il presidente del Consiglio (o Tabacci).  E lo fa sotto il famoso balcone, quello di quando fu abolita la povertà. Ci saranno sessanta microfoni. Sky, Rai, Mediaset. Un po’ testimoni e un po’ padroni. Aspettate Conte? “Ma de che”. Anche piazza Colonna  si configura come un incredibile scenario. Il Palazzo pare un casello autostradale ad agosto o la stazione Termini all’ora di punta. La piazza  pure. Al di là dalle transenne c’è un tipo senza mascherina. “Me voglio butta’ dentro la fontana de Conte. Fateme entra’”. Perché no? Entrano tutti. 


Quando  l’avvocato Giulia Bongiorno  sale pure lei   su al terzo piano,  viene riconosciuta dalle segretarie e dagli addetti. E’ stata ministro della Lega. “Che  piacere rivederla qua”, le dicono stringendole la mano. Con un calore che insospettisce lo staff di Conte.  Palazzo Chigi è d’altra parte una  gloria terminale.   Casa matta, oggetto di pensieri matti. Sembra quasi di vederli fisicamente  questi pensieri. Mescolati  a tutte le persone che oggi entrano ed escono.  Ecco  le ambizioni di Di Maio e quelle di Guerini, di Franceschini e  pure di Salvini. Tutti un po’ lo vogliono questo Palazzo,  sospetta Conte. Che infatti passa la giornata tra senatori ed elenchi di senatori. Preoccupato. Dei carabinieri poco gli importa. Torna utile un vecchio epigramma di Curzio Malaparte: “Nel cuoio antico della sua poltrona / Ciano a Palazzo Chigi aveva inciso / col temperino il profetico avviso: ‘Attenti al culo’”.

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