La crisi di governo
Conte: "Ho un patto con i responsabili". Ma non si fida di nessuno. A partire dal M5s
Per ora Pd e grillini sono pronti a riproporlo. Ma ci sono le incognite dei renziani e dei centristi. La scelta delle dimissioni dopo le faide interne su Bonafede
Il premier si dimette e punta al Ter. Mattarella: "Le consultazioni in 48 ore, l'Italia avrà bisogno un governo coeso"
La prima volta, era il 13 gennaio, appena sceso dal Colle ha improvvisato addirittura una conferenza stampa in pieno Corso, per strada, per “aprire a Matteo Renzi”. Assembramento finito malissimo. La seconda volta, giovedì scorso, sceso dal Colle non ha detto nulla. “Incontro interlocutorio, fase transitoria”. Era l’indomani dei 156 voti in Senato: maggioranza Ciampolillo. Martedì Giuseppe Conte salirà per la terza volta al Quirinale in tredici giorni. La strada dell’orto. La discesa sarà quella di un presidente del Consiglio dimissionario. Convinto che dalle consultazioni che si apriranno potrebbe uscirne fregato. Ma anche no: “Ho i costruttori, ma chissà”. Già, la storiella di chi entra papa nel conclave e ne esce da cardinale.
La prima volta, era il 13 gennaio, appena sceso dal Colle ha improvvisato addirittura una conferenza stampa in pieno Corso, per strada, per “aprire a Matteo Renzi”. Assembramento finito malissimo. La seconda volta, giovedì scorso, sceso dal Colle non ha detto nulla. “Incontro interlocutorio, fase transitoria”. Era l’indomani dei 156 voti in Senato: maggioranza Ciampolillo. Martedì Giuseppe Conte salirà per la terza volta al Quirinale in tredici giorni. La strada dell’orto. La discesa sarà quella di un presidente del Consiglio dimissionario. Convinto che dalle consultazioni che si apriranno potrebbe uscirne fregato. Ma anche no: “Ho i costruttori, ma chissà”. Già, la storiella di chi entra papa nel conclave e ne esce da cardinale.
Martedì mattina alle nove dunque il premier presiederà il suo ultimo Consiglio dei ministri da Conte 2, sperando in un ter, in un’altra puntata, come Rocky. La riscossa. Ma i segnali sono quelli che sono. Il Pd, o meglio Nicola Zingaretti, è pronto a riproporre il suo nome. Stessa cosa ha detto Vito Crimi, che è il capo del condominio del M5s di cui però non possiede le chiavi.
Il problema sono i costruttori o responsabili come dir si voglia. Ci sono per Conte o meglio per altri? Da Palazzo Chigi lunedì rilanciavano le assicurazioni di Gaetano Quagliariello e Paolo Romani: “Sono dei nostri!”. Ma quando in serata hanno letto il no di Giovanni Toti hanno capito che la linea di Cambiamo! potrebbe essere contenuta nel nome del partito: magari cambiamo premier. Panico. “Oddio”. E di nuovo i fantasmi, gli agguati e i possibili tradimenti hanno stropicciato la pochette del premier fino a creare la sesta punta. Quella velenosa.
La resa è maturata lunedì sera davanti al muro del M5s, quello che sulla carta dovrebbe essere il partito di Conte. In vista della relazione fatale di Alfonso Bonafede in Senato e davanti alla richiesta di aperture del Pd, Nicola Morra, che è il pasdaran dell’antimafia e non proprio il migliore amico del ministro della Giustizia, ha detto chiaro e tondo: “Se ci saranno aperture vedrete che combino”. Un tassello. L’ennesima goccia cinese e dello sconforto davanti alle più facili delle verità: su Bonafede, l’uomo che dall’università di Firenze lo portò per carambola a Palazzo Chigi, Conte sarebbe caduto. Da qui la chiusura nel bunker, le telefonate, Rocco Casalino che porta le agenzie al premier: “Nemmeno i centristri voteranno la relazione di Fofò”.
Davanti a questo scenario è scattata la telefonata a Beppe Grillo per fargli scrivere (o dettargli) una nota in puro politichese, indirizzata ai costruttori - che in altri tempi il comico avrebbe spernacchiato - affinché diano una mano al di là degli schieramenti politici. Teatro dell’assurdo: il profeta del vaffa e l’istigatore della rabbia contro i voltagabbana che si affaccia dal suo blog per lisciare il pelo a mondi da sempre vicini al Cav. Ma il Movimento questo è: tutto e il contrario di tutto. Lo sa benissimo anche Conte: il “siamo tutti con te”, come da nota firmata dai capigruppo di Camera e Senato, potrebbe trasformarsi in un benservito se la maggioranza intorno al premier non dovesse ricrearsi. Altro che Giuseppi o il voto, come da cantilena grillina degli ultimi giorni. Il paese ha bisogno di stabilità, rimarca da settimane Luigi Di Maio. E tutti i parlamentari sono pronti a venirgli dietro: da o-nes-tà a sta-bi-li-tà (sullo scranno) il passo sarà breve. Gira il nome come possibile premier di Stefano Patuanelli. Ma anche quello di Di Maio. Gira di tutto. Anche perché il Pd ha tolto dal tavolo in maniera chiara l’opzione elettorale: governo Franceschini o governo Guerini?
E qui ritornano gli incubi e il panico di Palazzo Chigi, che lunedì per tutta la giornata ha fatto trapelare un desiderio di salire al Colle per dimissioni imminenti. Tutto rimandato a domani. E il presidente della Repubblica? In quarantotto ore vuole chiudere le consultazioni. Forse aprendole già martedì. Con lo spirito di cercare di vedere se “è possibile trovare una maggioranza coesa, con un programma serio, che abbia la voglia e la capacità di farci uscire dalla pandemia e dalla crisi economica”. Altrimenti? “Ci sarà un governo da presentare alle Camere” trapela dalle vetrate del Quirinale. Un governo che potrebbe avere vita brevissima o lunga a seconda degli umori del Parlamento. “Certo non è pensabile votare a marzo o ad aprile in piena pandemia. Quindi bisognerà arrivare eventualmente alla tarda primavera-estate”. Pd e M5s rilanciano un governo di “salvezza nazionale” che potrebbe non salvare Conte, però.