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Le risposte che servono sui vaccini per disinnescare l’Italia degli apocalittici

Le dosi non dipendono dall’Italia, l’organizzazione sì. Chiacchiere con Giavazzi e Speranza

Claudio Cerasa

Crisi o non crisi, la resilienza dell’Italia passa prima di tutto da qui: dalla capacità non solo di scrivere un Recovery ambizioso (la strada è ancora lunga) ma di far arrivare sulle scrivanie degli italiani, e non solo quelli più a rischio, lo stesso bigliettino ricevuto dal collega tedesco del professor Giavazzi: l'ora e il luogo del vaccino, anche per i più giovani

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L’Italia, si sa, è un paese abituato a scommettere contro se stesso e la stagione della pandemia, se possibile, ha contribuito a evidenziare la tendenza inesorabile del polemista collettivo a trasformare ogni problema in un allarme, ogni guaio in un’emergenza e ogni difficoltà, magari passeggera, in un cedimento strutturale del nostro paese. Il ribassista italiano, la più pericolosa tra le varianti del polemista collettivo, è convinto da mesi che l’Italia sia un paese destinato a finire in malora e anche di fronte a questa crisi di governo, da giorni, è lì che ti sussurra nell’orecchio i più temibili tra gli scenari apocalittici: vedrai che l’Italia non saprà vaccinare i suoi cittadini, vedrai che la crisi di governo farà salire lo spread, vedrai che la lentezza sul Recovery plan farà agitare i mercati, vedrai che l’inconcludenza del governo sulla messa a terra dei fondi europei ci farà buttare nello sciacquone i molti miliardi che l’Europa ha stanziato per il progetto di resilienza del nostro paese.

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L’Italia, si sa, è un paese abituato a scommettere contro se stesso e la stagione della pandemia, se possibile, ha contribuito a evidenziare la tendenza inesorabile del polemista collettivo a trasformare ogni problema in un allarme, ogni guaio in un’emergenza e ogni difficoltà, magari passeggera, in un cedimento strutturale del nostro paese. Il ribassista italiano, la più pericolosa tra le varianti del polemista collettivo, è convinto da mesi che l’Italia sia un paese destinato a finire in malora e anche di fronte a questa crisi di governo, da giorni, è lì che ti sussurra nell’orecchio i più temibili tra gli scenari apocalittici: vedrai che l’Italia non saprà vaccinare i suoi cittadini, vedrai che la crisi di governo farà salire lo spread, vedrai che la lentezza sul Recovery plan farà agitare i mercati, vedrai che l’inconcludenza del governo sulla messa a terra dei fondi europei ci farà buttare nello sciacquone i molti miliardi che l’Europa ha stanziato per il progetto di resilienza del nostro paese.

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Le preoccupazioni del polemista collettivo partono spesso da premesse sensate (e ieri il commissario all’Economia Paolo Gentiloni ha lanciato un appello alle autorità italiane, affinché “siano consapevoli della necessità di rafforzare la proposta presentata finora, specialmente con due cose: un messaggio chiaro sulle riforme legate alle raccomandazioni Ue del 2019, e i dettagli sui tempi e gli obiettivi dei progetti”) ma sono preoccupazioni che il più delle volte non tengono conto di un affascinante mistero che è quello che consente al nostro stato di trovare, con frequenza, un punto di equilibrio utile a smussare anche i più spigolosi tra i problemi dell’Italia. E così, nei mesi, è rimasto deluso (a) chi aveva scommesso sull’inevitabilità dell’affermazione dell’anti europeismo, (b) chi aveva scommesso sull’inevitabilità del tracollo dell’Italia di fronte alla pandemia e (c) chi aveva scommesso sull’inevitabilità del collasso del paese di fronte a una crisi di governo.

 

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La nuova scommessa del ribassista collettivo, ora, è quella che riguarda l’incapacità dell’Italia di vaccinare con la dovuta velocità i suoi cittadini e in effetti oggi la partita della vaccinazione di massa è considerata, anche dagli operatori di Borsa, la vera sfida sulla quale si misurerà la capacità di ogni singolo paese di costruire il proprio percorso di resilienza. Come stanno le cose? “Oggi – ci dice Francesco Giavazzi, editorialista del Corriere della Sera e professore di Economia politica alla Bocconi – gli osservatori del mondo della finanza si concentrano in particolare su questo: non sul futuro dei governi, perché ormai c’è fiducia sul fatto che sarà difficile deragliare dal binario europei, e neppure sul futuro del Recovery fund, perché grazie ai paletti della Commissione europea sarà difficile scrivere un piano poco ambizioso, ma sul futuro dei vaccini. E su questo, per quanto mi riguarda, qualche preoccupazione ce l’ho”.

 

Il professor Giavazzi ci racconta una storia interessante. “Mi piacerebbe capire, per esempio, per quale ragione nell’università in cui lavoro, la Bocconi, io, che ho 71 anni, non ho ancora idea di quando verrò vaccinati, e lo stesso vale per mia suocera, che ha 91 anni e non ha idea di quando dovrà essere vaccinata, mentre un mio bravissimo collega, che ha 36 anni, che è tedesco e che è residente a Berlino, mi ha fatto vedere un foglietto, che ha poggiato sulla sua scrivania, che la Asl della sua città gli ha inviato per convocarlo il 19 aprile a Berlino per vaccinarsi. E allora io mi chiedo, semplicemente, perché?”. Il punto del professor Giavazzi è importante, anche se l’Italia in Europa è stata uno dei paesi che ha vaccinato con maggiore velocità i suoi cittadini, e ci porta ad affrontare un tema cruciale che riguarda un dubbio che va oltre la gnagnera del polemista collettivo: che succede con i vaccini? E in che misura i ritardi di Pfizer potranno avere un impatto sulla campagna di vaccinazione?

 

Il ministro della Salute, Roberto Speranza, gentilmente ci risponde al telefono, si assicura che non si voglia parlare di crisi di governo e dopo avergli raccontato la storia del professor Giavazzi ci offre qualche elemento (e una notizia) per ragionare intorno al tema della vaccinazione dell’Italia.

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“Onestamente – dice Speranza – credo sia impossibile a oggi sapere cosa succederà il 19 aprile e tutto dipenderà da quante saranno le dosi di vaccino che arriveranno in Europa e già oggi siamo stati costretti a stare ben al di sotto delle potenzialità che ha l’Italia per vaccinare: avremmo potuto fare circa 130 mila vaccinazioni al giorno, siamo stati costretti a scendere in questi giorni intorno alle 20-30 mila per garantire le seconde dosi. Sulla carta, noi avremmo dovuto avere entro il 31 marzo una decina di milioni di dosi tra quelle ordinate da Pfizer e quelle ordinate da Moderna e invece purtroppo sia Pfizer sia Moderna come sappiamo sono in ritardo. A queste avremmo dovuto aggiungere anche le 8 milioni ordinate da AstraZeneca. Le dosi di AstraZeneca, che dovevano arrivare già a dicembre e che non sappiamo ancora se l’Ema le consiglierà per gli under 65, arriveranno invece solo il prossimo mese, dopo il via libera dell’Ema che dovrebbe arrivare il 29 gennaio, e non abbiamo ancora la certezza sul fatto che le 8 milioni di dosi arriveranno subito. Se le dosi di Moderna, di cui a gennaio abbiamo ricevuto appena 100 mila dosi, a fronte dell’1,3 milioni di dosi ordinate, e quelle di Pfizer fossero arrivate nei tempi prestabiliti saremmo stati in grado, entro il 31 marzo, di vaccinare con una prima e una seconda dose circa nove milioni di persone. Oggi c’è un ritardo ma è un ritardo che dipende da problemi non legati all’Italia. E una volta che quel ritardo verrà riassorbito ci sarà una novità”.

 

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E quale? “I dati epidemiologici ci dicono che l’85 per cento delle morti per Covid ha riguardato persone con un’età superiore ai 70 anni. Una volta che riusciremo a vaccinare i circa 9 milioni di over 70 sarà possibile cambiare anche i parametri con cui oggi calcoliamo l’Rt. A oggi, l’Rt viene calcolato sulla base dei contagiati di cui si conoscono i sintomi ma nel momento in cui la parte più fragile della popolazione verrà vaccinata sarà possibile calcolare l’Rt in modo più flessibile considerando cioè soltanto il numero di sintomatici ospedalizzati. Il traguardo non è lontano: è ora di lavorare senza farci del male”.

 

Crisi o non crisi, la resilienza dell’Italia passa prima di tutto da qui: dalla capacità non solo di scrivere un Recovery ambizioso (la strada è ancora lunga) ma di far arrivare sulle scrivanie degli italiani, e non solo quelli più a rischio, lo stesso bigliettino ricevuto dal collega tedesco del professor Giavazzi. Le dosi non dipendono dall’Italia, ma l’organizzazione sì.

  

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