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Le lezioni di Macaluso alla sinistra per vincere il populismo

Marco Bentivogli

Dalla giustizia al lavoro. La centralità del vero sindacato. E poi gli antidoti al luogocomunismo. Viva Em.Ma.

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Ci ha lasciati una delle personalità più libere e disincantate della sinistra italiana, nella cui storia ha avuto un ruolo importante. Emanuele Macaluso era tante cose, ma la sua identità più peculiare era quella di un comunista libertario e anticonformista in un ambiente, quello comunista appunto, non esente dalle spinte conformiste. Da giovane la mafia gli aveva tirato una bomba durante un comizio. La sua formazione politica si era irrobustita vicino a Leonardo Sciascia, Elio Vittorini e molti altri. Difendeva anche le cose che non condivideva, come ad esempio i processi decisionali del centralismo democratico del Pci da lui ritenenuti poco autentici e opachi. Non vi è nulla da rimpiangere delle dinamiche interne al Pci, ma si trattava di lotta politica, non paragonabile alla caporalizzazione che anche il Partito Democratico vive oggi, con articolazioni non sostanziate da idee diverse che sarebbero la sola linfa vitale capace di stimolare un’indispensabile dialettica tra idee diverse.

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Ci ha lasciati una delle personalità più libere e disincantate della sinistra italiana, nella cui storia ha avuto un ruolo importante. Emanuele Macaluso era tante cose, ma la sua identità più peculiare era quella di un comunista libertario e anticonformista in un ambiente, quello comunista appunto, non esente dalle spinte conformiste. Da giovane la mafia gli aveva tirato una bomba durante un comizio. La sua formazione politica si era irrobustita vicino a Leonardo Sciascia, Elio Vittorini e molti altri. Difendeva anche le cose che non condivideva, come ad esempio i processi decisionali del centralismo democratico del Pci da lui ritenenuti poco autentici e opachi. Non vi è nulla da rimpiangere delle dinamiche interne al Pci, ma si trattava di lotta politica, non paragonabile alla caporalizzazione che anche il Partito Democratico vive oggi, con articolazioni non sostanziate da idee diverse che sarebbero la sola linfa vitale capace di stimolare un’indispensabile dialettica tra idee diverse.

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Macaluso era un vero garantista, non amava le derive giustizialiste forcaiole che avevano suggestionato una parte della sinistra. In fondo, come tutte le persone di fede riformista le considerava retaggio della destra reazionaria. Si era infuriato per l’abolizione della prescrizione e la considerava un cedimento proprio a quella cultura. Faceva parte della corrente migliorista, il cui leader era Giorgio Napolitano, l’area del Pci che cercava di tenere aperto il dialogo con i socialisti e per questo era talvolta bersagliata dall’ala massimalista come se fosse stata composta da “infiltrati”, non fedeli all’ortodossia di partito. Quell’area che già 40 anni fa credeva che servisse un fronte rifomista europeo.

 

Eppure proprio alla fine degli anni’70 questo paese avrebbe accelerato la propria transizione politica se ci fossero stati più Macaluso nel Pci. A differenza di molti, ancora in sala comandi, lui sapeva che nell’arco di una vita c’è un tempo per ogni cosa. Lo disse lui stesso ai funerali di Rossana Rossanda: il compito di noi vecchi è trasmettere alle nuove generazioni quello che era stata la lotta politica, le sue vicissitudini, le vicende politiche e culturali che caratterizzarono la storia politica del paese. Soprattutto oggi, che la lotta politica è delegittimata a schermaglia tra interessi personali in cui i contenuti sono derubricati a paravento del potere per il potere. Centrava la questione e l’attribuiva alla mediocrazia e all’assenza di cultura politica. Scrisse su Il Manifesto: "quando la sinistra era del popolo un bracciante siciliano aveva una cultura politica più alta di quella che può avere oggi un dirigente politico dell’attuale centro-sinistra". Lavoratori con una “fame di sapere” oggi mortificati da un paese in cui l’unica mobilità sociale che si scorge è quella di chi vince il biglietto della lotteria delle parlamentarie.

 

L’agenda della politica ha completamente derubricato la questione Lavoro, per lui era un faro per chi crede nella democrazia. Lui che era stato sindacalista della Cgil siciliana, riteneva che il sindacato avesse una funzione civile, di animatore della democrazia. Diede un giudizio negativo sull’introduzione negli anni ’70 delle norme sull’incompatibilità tra incarichi politici e incarichi sindacali perché credeva in un posizionamento più forte del sindacato con dei riferimenti diretti in parlamento come nella tradizione laburista. In realtà in Italia, ciò determinava spesso un ruolo del sindacato e in particolare proprio la Cgil di “cinghia di trasmissione” della politica. L'autonomia a mio avviso fu, specie in quella fase, una necessità per affrontare i decenni successivi di grandissimi cambiamenti. Recentemente, mentre diceva che la politica era sostanzialmente “morta”, incalzava la necessità di unità e di riformismo del movimento sindacale: “Badate che se il sindacato non si riunifica, non elabora un progetto proprio di riforma dello stato sociale e non ha una proposta di politica economica per il Paese, è morto”. Lo diceva confermando la necessità di sindacato, un sindacato forte, ricordando ai molti smemorati che la storia della sua organizzazione, la Cgil, non era mai stata “barricadera” ma guidata sempre da gruppi dirigenti provenienti sempre dall’area riformista.

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In politica, dai Ds in poi maturò, sempre più, disincanto verso il partito. A suo avviso, mettere insieme diverse culture come quella popolare, quella socialista ed ex comunista era un’operazione importante che tuttavia non si poteva fare con leggerezza. Vedeva nel Pd il tentativo ibrido di fare un partito governista “purché sia”, senza una identità chiara. E le ultime evoluzioni ripropongono oggi questa perplessità meno evidente nel momento della sua fondazione. Come ha ricordato Aldo Torchiaro, diceva cose irripetibili, a partire dal’alleanza Pd-M5s. Riteneva indispensabile una riflessione seria sul populismo che per lui altro non era che un sintomo della distanza crescente e incolmabile tra sinistra e popolo. E riprova della distanza tra politica e cittadini, con “la prima che deroga alla sua funzione di guida per interpretare quella di chi vellica la pancia dell’elettorato”. Sapeva essere pungente perché schietto. Recentemente aveva demolito il luogocomunismo pandemico e diceva: “Nulla sarà più come prima se ci saranno forze politiche e sociali che faranno sì che davvero nulla sarà più come prima. Non sarà la pandemia in sé a determinarlo. Se guarisci dalla malattia non è detto che per questo diventi una persona migliore. Una sinistra degna di questo nome non deve aver paura o incertezza nell’affermare che non siamo tutti uguali davanti al virus. Il miglioramento può avvenire solo da un attivismo sociale di forze che si muovono in un orizzonte di progresso. Ma che ciò accada, specie in Italia, è tutt’altro che scontato. In questo sfortunato Paese possono vincere anche forze di destra, e una destra reazionaria, della peggior specie. Sottovalutare questo pericolo sarebbe esiziale”.

 

Dopo la crisi del ’92, che segnò la fine dei partiti tradizionali, secondo Macaluso alla sinistra spettava il compito di riorganizzare la democrazia italiana, costruendo un partito sì diverso dal Pci e tanto più dal Psi, ma sinceramente popolare, dotato di una forte assonanza con i problemi della società italiana. “Questo non è stato fatto. C’è una grande responsabilità anche diffusa, sia chiaro. Basti pensare al ruolo giocato dagli intellettuali e dai grandi quotidiani, che hanno tutti sparato a zero su ciò che è stato”. Dai frantumi di questa crisi sono nati il populismo e il sovranismo, la cui dotazione valoriale ha contagiato gran parte delle forze politiche portando il nostro paese, come dice un amico, a scegliere in modo binario tra andare verso l’Ungheria o il Venezuela. O come chiedeva Macaluso a ricostruire un’alternativa popolare, legata alle risposte sulle grandi questioni dell’umanità. Corrisponde alla strategia necessaria anche alla crisi di questi giorni. Questa è la lezione di Macaluso per chi vuole andare oltre la retorica dell’inevitabile e crede a un orizzonte lungo dei progetti umani e politici, per un mondo che non finirà nel 2023.

 

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