PUBBLICITÁ

Riaprire, ma come?

Passa la fiducia con 156 voti. L’ultimo azzardo di Renzi

Salvatore Merlo

In Senato il leader di Italia viva scommette su tutti i cavalli, ma forse ha finito le fiches

PUBBLICITÁ

Mentre parla al Senato, in un silenzio teso, sotto lo sguardo insonne di Giuseppe Conte, Matteo Renzi si tiene su con gli spilli di un rischioso equilibrio. Non apre, ma nemmeno chiude. E infatti a Conte rinfaccia Trump e Salvini, Casalino e le gaffe su Facebook, le profferte di posti di governo. Poi però guarda il premier e aggiunge, incoraggiante: “Faccia un passo in più”. Dunque  attacca (“questo non è il governo più bello del mondo”), ma pure esorta (“da mesi chiediamo una svolta, presidente. Ora o mai più”). Governato da un fluido che è la sorte pura, l’azzardo, Renzi tenta di spremere l’occasione insperata. Circondato da vibrazioni ostili nel Pd, sempre più solo anche tra i suoi parlamentari terrorizzati dall’incognito, gioca l’ultima fiche. E mentre ancora non conosce l’esito del voto di fiducia — poi raccolto da Conte — punta su tutti i cavalli, su tutte le ipotesi, tutte insieme. Senza escludere niente, senza precludersi una strada, quale che sia: la caduta del governo, una fiducia precaria, un Conte ter. Al punto, martedì, di aver deciso di votare in Senato solo alla seconda chiama. Dopo aver visto i voti degli altri. Per tenersi aperta, fino all’ultimo istante,  la possibilità di colpire.  La vita politica è una faccenda interstiziale, per lui, da sempre, si sa: bisogna saltare sull’attimo fuggente. Ma forse, stavolta, Renzi, cioè l’uomo di cui a suo tempo fu anche decantata la fortuna,  ha finito i soldi per le puntate.

ABBONATI PER CONTINUARE A LEGGERE
Se hai già un abbonamento:

Altrimenti


Mentre parla al Senato, in un silenzio teso, sotto lo sguardo insonne di Giuseppe Conte, Matteo Renzi si tiene su con gli spilli di un rischioso equilibrio. Non apre, ma nemmeno chiude. E infatti a Conte rinfaccia Trump e Salvini, Casalino e le gaffe su Facebook, le profferte di posti di governo. Poi però guarda il premier e aggiunge, incoraggiante: “Faccia un passo in più”. Dunque  attacca (“questo non è il governo più bello del mondo”), ma pure esorta (“da mesi chiediamo una svolta, presidente. Ora o mai più”). Governato da un fluido che è la sorte pura, l’azzardo, Renzi tenta di spremere l’occasione insperata. Circondato da vibrazioni ostili nel Pd, sempre più solo anche tra i suoi parlamentari terrorizzati dall’incognito, gioca l’ultima fiche. E mentre ancora non conosce l’esito del voto di fiducia — poi raccolto da Conte — punta su tutti i cavalli, su tutte le ipotesi, tutte insieme. Senza escludere niente, senza precludersi una strada, quale che sia: la caduta del governo, una fiducia precaria, un Conte ter. Al punto, martedì, di aver deciso di votare in Senato solo alla seconda chiama. Dopo aver visto i voti degli altri. Per tenersi aperta, fino all’ultimo istante,  la possibilità di colpire.  La vita politica è una faccenda interstiziale, per lui, da sempre, si sa: bisogna saltare sull’attimo fuggente. Ma forse, stavolta, Renzi, cioè l’uomo di cui a suo tempo fu anche decantata la fortuna,  ha finito i soldi per le puntate.

PUBBLICITÁ

    

Andrea Marcucci, che è il capogruppo del Pd ma è anche un renziano della prima ora, glielo aveva ripetuto a telefono. In tono di supplica, persino. “Vota sì alla fiducia. Fai l’ultima mossa. Spiazza tutti”. Ma niente. Italia viva si è astenuta. Un pezzo del Pd ora è intenzionato a fargliela pagare, così come Conte (“rottura insanabile”). E per questo Dario Franceschini tiene i fili di un negoziato diretto con quel Riccardo Nencini che al Senato ha le chiavi del gruppo parlamentare renziano: può portare il gruppo a Conte o polverizzarlo ritirando il simbolo. Quanto valgono, in alternativa, l’una o l’altra operazione? Si può portare Iv a Conte, senza Renzi? Fantasie, trame, sospetti, minacce.  E mercato. Ovviamente.  Infatti nei corridoi del Palazzo, in un brevissimo spazio si scontrano e si sfogano gli affetti più disordinati. Cupe collere e disordinate lusinghe. Tiziana Drago, ex grillina in bilico,  entra ed esce dall’Aula scortata dai leghisti Candiani e Pillon. Sembrano i due carabinieri con Pinocchio. Chi tira di qua e chi tira di là. Destra e sinistra, Conte e Salvini.    In un angolo, Davide Faraone, il capogruppo di Renzi, ha un’aria disfatta mentre dice che “siamo un vascello in mare aperto”. Spizzichi di discorsi, tipo: “Siamo caduti in una buca”. Arriva il senatore Cucca. Parla di un ritorno forse impossibile: “Vedrete che  ci richiameranno”. E quasi gli trema la voce: “Avranno bisogno di noi”. Così, Gelsomina Vono, con disperazione: “Dobbiamo riparlare col Pd. Con quella parte del Pd che ragiona”. Possibile? Ma Leonardo Grimani, peones umbro, sembra aver già deciso: “Non ci sono più spazi. Così dove andiamo? Nei prossimi giorni farò una riflessione per il bene del paese”. Insomma ciaone. O quasi. 

   
Per sapienza del destino, nell’esatto momento in cui Grimani pronuncia il suo  ciaone, ecco che a Palazzo Madama entra Ernesto Carbone. Lui, come il fedelissimo Francesco Bonifazi, sta accanto  a Renzi. Consumando così l’ultimo atto di fedeltà. Una difficile ginnastica da praticare, sull’orlo del baratro.  Fuori dalla maggioranza. E’ infatti durissimo lo scontro tra l’ambizione, quella di sopravvivere, e l’affetto. Ma il Rottamatore fa spallucce. Ancora una volta, come sempre, conta su se stesso. Sull’audacia. Sulla sfrontatezza.  Sull’intuito. Ma l’ultimo azzardo  stavolta forse non è coperto dal banco.

PUBBLICITÁ

        

Di più su questi argomenti:
PUBBLICITÁ