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L’insonnia di Conte (e dei responsabili)

Carmelo Caruso

Il discorso del premier, l'attenzione (meno alta di ieri) dell'Aula. Ancora contro Renzi. E il Senato sembra un centro scommesse

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Giuseppe Conte ha dormito? Quanto erano larghe le borse sotto i suoi occhi profondi. Cosa contenevano? Il suo prossimo partito? Il suo nuovo gruppo? Quante occhiaie, quanti visi senza sonno si incontravano in Senato. Che notte terribile è stata. Si è portava via anche quel vecchio bastone del comunismo che era Emanuele Macaluso.

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Giuseppe Conte ha dormito? Quanto erano larghe le borse sotto i suoi occhi profondi. Cosa contenevano? Il suo prossimo partito? Il suo nuovo gruppo? Quante occhiaie, quanti visi senza sonno si incontravano in Senato. Che notte terribile è stata. Si è portava via anche quel vecchio bastone del comunismo che era Emanuele Macaluso.

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Daniela Conzatti, senatrice di Italia viva, data ogni giorno dai quotidiani come “costruttrice” (“non lo sono”) è stata svegliata alle 7 da un giornalista. Paola Binetti che ormai si definisce una “vecchia donna imbiancata” era la sola che alla buvette riusciva già alle 9 di mattina a pianificare una strategia. La sua: “Il mio voto oggi sarà no. Ne parleremo da domani”.  Cosa si poteva fare se non scommettere già all’alba? Roberto Calderoli, che è giustamente ritenuto il presidente emerito della Camera alta, dava i numeri: “Conte arriverà a 155. Deve svuotare i sarcofagi se ne vuole altri”. Avreste dovuto vedere come i costruttori per Conte si lasciavano corteggiare, come gli piaceva essere desiderati e spiegare a Conte come si fa il presidente Conte. Gregorio De Falco (“torni a bordo cazzo”) faceva il prezioso: “Non ho ancora deciso se votare la fiducia. Valuterò”.

 

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Sapete come si è presentato Conte, come ha esordito? Con questa frase: “Non chiedo una estrinseca adesione”. Erano le 9,45. Ha immediatamente mescolato “geopolitica internazionale” e  “sviluppo della persona umana”. Nuovo umanesimo insomma. Ha tagliazzuto il testo di ieri e dunque ha ripetuto che nel suo programma “c’era visione” e che la pandemia è stata “un uragano”. Questa volta appoggiava il palmo della mano sul banco come se avesse bisogno di un sostegno (appunto i costruttori), come se stesse perdendo l’equilibrio. È da giorni che fa il trapezista. Vito Crimi che gli stava davanti ne copriva in parte l’immagine. Conte era più gonfio rispetto al passato. Ha preso peso in ogni senso. Non ce l’ha fatta neppure oggi a dimenticare. Si è difeso ancora dalle accuse che più lo fanno soffrire, quelle sulle restrizioni della libertà, di aver schiacciato e compresso poteri. Ha tirato fuori l’aggettivo “indefesso”. Una novità. Se qualcuno vuole fare un ritratto, se qualcuno, un disegnatore, un giorno proverà a restituire con la matita il senso delle cose, ebbene deve partire dai ciuffi. Quello di Conte era saturo di lacca. Quello di Dario Franceschini era scomposto. Si intravedeva la fronte. Alle 10,20, con la mano lo ha abbassato. Si è pettinato. C’era troppa fatica ed erano faticose le frasi di Conte. “Siamo nel campo dell’opinabile”. E che vuol dire? Matteo Renzi intanto dove era? Twittava. Conte teneva in mano quasi una risma di carta e a differenza di ieri alternava delle pause. Alfonso Bonafede che ha il merito (?) di averlo scoperto, strappato alla cattedra di Diritto, sembrava tenesse un rosario e recitasse orazioni. Pregava. E dispiace dirlo ma i giornalisti non erano attenti come ieri. Conte si ripeteva. È vero. Ha offerto nuovamente l’assegno unico. Ricordava che lui ha introdotto “robuste” risorse, la decontribuzione totale per le donne assunte. Nunzia Catalfo che era ministra del Lavoro, e che di queste materie se ne occupa, era perplessa. Simona Malpezzi, che le era a fianco, aveva l’unico tocco di colore: una maglia rossa.  

 

Stamattina Conte era convinto che “si sono rafforzate le ragioni dello stare insieme”. Non la sua maggioranza però. E’ sicuro di essere ormai un rigo della grande storia. E infatti ha detto che “dopo aver attraversato questo tornante della storia umana, nulla sarà come prima”. E deve piacergli la frase “attacchi mediatici aspri a tratti scomposti da parte di Iv”. Anche oggi non ha resistito dal dirlo. E di nuovo ha ripetuto che “avverte un certo disagio”, per i “continui rilanci”. Alle 10,09 si è però acceso. Una piccola modifica al testo di ieri era questa: “E’ complicato governare con chi piazza “mine” sul percorso . In pratica ha dato a Renzi del “bombarolo”. E ancora: “La crisi ha provocato sgomento. Non si può cancellare e recuperare quel clima di fiducia. Quindi adesso bisogna voltar pagina”.  

 

Franceschini socchiudeva gli occhi quando Conte ha spiegato che la modifica della legge elettorale non è una astuzia ma serve “a stabilizzare il quadro frantumato”. C’era una cosa che ieri non aveva amabilmente piazzato. Era la modifica del Titolo V. Ha recuperato oggi. È pronto a modificarlo. È chiaramente una affettuosità alla sinistra che da sempre chiede di rivedere quella riforma. Ha chiesto l’appoggio “limpido e trasparente”. Lo ha ammesso: “I numeri sono importanti e oggi ancora di più ma conta anche la qualità”. E se qualcuno non lo ha notato , dovrebbe rivedere la sua smorfia quando ha alzato la testa e precisato che ai servizi indicherà “una persona di mia fiducia”. Da tempo non si sentiva un “mio” tanto lungo. Quando Conte ha finito il suo intervento lo hanno applaudito i ministri del M5S. Era logorato in un’aula di logorati.

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