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Le mille vite di Giuseppe Conte

Maurizio Stefanini

Palazzo Chigi, la crisi e tutto il resto. Chi è, come nasce, da dove arriva Giuseppe Conte. Chi lo ha voluto, chi lo appoggia e come ha fatto a imporre ai grillini la strada della quotidiana negazione del passato (fino ai responsabili). Una lunga storia, un lungo mistero, una cronaca di oggi

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Giuseppe Conte è come un cuculo, che ha trovato il nido creato da Beppe Grillo e lo ha riempito con le sue uova”. La definizione folgorante è di Francesco Bei, vicedirettore di Repubblica, che Maurizio Molinari ci ha indicato come massimo “contologo” del suo giornale. “Il partito dei No Vax che cerca di convincere gli italiani a vaccinarsi”, è un recente titolo del New York Times da cui siamo partiti, per spiegare come Conte abbia trasformato i Cinque stelle. Dall’anti Europa al Recovery, dal No Tav ai piani di infrastrutture, dalla allergia a ogni alleanza alla ricerca di “Responsabili”: insomma dal “Vaffa” a quell’“Insieme” che secondo varie indiscrezioni potrebbe essere il nome del nuovo partito di Conte in fieri. “Io penso che abbia delle qualità non banali”, commenta Bei. “Altrimenti non sarebbe arrivato, e soprattutto non sarebbe rimasto dove è rimasto, a dispetto di tutti i santi. Ha una capacità non comune di adattarsi alle situazioni, è un grandissimo incassatore, è un uomo che comunque ha una formazione politica che viene da lontano. C’è il suo lievito in questa trasformazione incredibile dei Cinque stelle in un qualcosa che è quasi l’opposto delle sue origini”.

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Giuseppe Conte è come un cuculo, che ha trovato il nido creato da Beppe Grillo e lo ha riempito con le sue uova”. La definizione folgorante è di Francesco Bei, vicedirettore di Repubblica, che Maurizio Molinari ci ha indicato come massimo “contologo” del suo giornale. “Il partito dei No Vax che cerca di convincere gli italiani a vaccinarsi”, è un recente titolo del New York Times da cui siamo partiti, per spiegare come Conte abbia trasformato i Cinque stelle. Dall’anti Europa al Recovery, dal No Tav ai piani di infrastrutture, dalla allergia a ogni alleanza alla ricerca di “Responsabili”: insomma dal “Vaffa” a quell’“Insieme” che secondo varie indiscrezioni potrebbe essere il nome del nuovo partito di Conte in fieri. “Io penso che abbia delle qualità non banali”, commenta Bei. “Altrimenti non sarebbe arrivato, e soprattutto non sarebbe rimasto dove è rimasto, a dispetto di tutti i santi. Ha una capacità non comune di adattarsi alle situazioni, è un grandissimo incassatore, è un uomo che comunque ha una formazione politica che viene da lontano. C’è il suo lievito in questa trasformazione incredibile dei Cinque stelle in un qualcosa che è quasi l’opposto delle sue origini”.

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Non tutti sono altrettanto fiduciosi su questa capacità di Grillo di innescare comportamenti virtuosi, ma nessuno contesta una capacità manovriera straordinaria. Insigne politologo e editorialista del Corriere della Sera, Angelo Panebianco, ad esempio, dubita che chi ha votato Cinque stelle possa effettivamente poi confluire in un possibile partito contiano neo-democristiano. “I Cinque stelle sono un partito allo stato gassoso e Conte ha acquisito una sua popolarità attraverso uno stile di governo che è l’opposto dello stile urlato dei Cinque stelle, e che può effettivamente piacere a chi rimpiange la vecchia Dc. Ma ognuno è prigioniero della sua storia, le persone come i movimenti politici.  Non lo vedo Conte come leader dei Cinque stelle in sede parlamentare”. In compenso, Panebianco non esclude la possibilità che Conte fondi un suo partito diverso dai Cinque stelle. “Magari potrebbe anche avere successo. Certo che è un po’ complicato, perché la popolarità in Italia è una cosa che in certi momenti si conquista, ma si perde anche con grande facilità. Molto dipenderà dalla legge elettorale”. Anche lui comunque riconosce che Conte “fin dall’inizio si  è mosso con una notevole abilità e con una notevole conoscenza delle regole informali del gioco politico nella capitale. Ha sfruttato in pieno le difficoltà di passare dalla poesia alla prosa di un movimento che, come i Cinque stelle, è passato dalla protesta al governo troppo presto”.   

 
Che ci sia invece una chiarissima “Opa di Conte sui Cinque stelle” è invece la sensazione di Lucia Annunziata, che a “Mezz’ora in più” il mondo della politica italiano lo incrocia in continuazione. “Quella stessa Opa che al figlio di Casaleggio hanno invece impedito di fare. Conte è bravo, all’interno di una evoluzione per cui da dieci anni non abbiamo più premier eletti. Un autentico kamasutra di elezioni atipiche. Non sono incostituzionali, perché comunque un voto di fiducia in Parlamento poi lo ottengono. Ma non sono più selezionati dal sistema dei partiti. La sorte di Conte è di essere un premier extraparlamentare in un momento in cui il parlamento sta affondando. Non è lui che convince i Cinque stelle, sono i Cinque stelle che stanno in crisi gravissima. Proprio perché ha il vantaggio di non essere stato eletto da un partito, adesso gli chiedono di fondare un partito”.

  

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Né partito proprio, né Opa sui Cinque stelle è invece l’impressione di Luca Sofri, direttore del Post. “Non mi sembra che finora Conte abbia mostrato una grande capacità di aggregare e gestire persone intorno a sé. Si parla molto di questo partito di Conte, ma fino a questo momento Conte intorno a sé ha costruito soltanto Casalino”. Però ammette che stiamo parlando di un quadro difficilmente decifrabile e anche difficilmente prevedibile. “Quattro anni fa, chi avrebbe mai immaginato di dover discutere sulla possibilità di costruire un partito da parte di uno sconosciuto come Conte?”. E anche lui gli riconosce una straordinaria capacità di “costruire un grande consenso popolare. Ma un consenso senza intermediazione, mentre invece un partito è intermediazione”. Ma non è proprio questo consenso a spingere per la creazione di questa intermediazione? “Per ora lo spinge piuttosto a usarlo come capitale per trattare con interlocutori strutturati e continuare a vendere soltanto sé stesso e niente di più. Sicuramente Conte ha una qualità abbastanza rara e anomala di questi tempi: è un leader che non litiga. Io in linea di principio sono critico su un consenso popolare basato solo sulla capacità di un leader di essere elegante e a modo,  ma riconosco che in tempi in cui i leader emergono per la loro capacità di urlare, può essere una dote”. Soprattutto se di un leader selezionato dal partito che strillava più di tutti… “Infatti è un paradosso interessante, anche se è vero che i Cinque stelle non sono stati solo Vaffa. Di Maio ha molti difetti ma non l’aggressività dei modi, e in passato i Cinque stelle hanno sostenuto anche personaggi abituati a parlare a voce bassa, tipo Rodotà”.

 
Il segretario comunale d’Italia. Il governo, l’attenzione per regolamenti e finanze, le promesse (“Sarò  l’avvocato del popolo”). E oggi, malgrado le smentite, un progetto politico. Un ritratto a più voci

 

Chi invece pensa che Conte stia effettivamente cercando di costruire una sua forza politica, malgrado le smentite dello stesso Conte, è Giacinto della Cananea: ordinario di Diritto amministrativo a Tor Vergata e componente dal 2014 del consiglio di presidenza della Corte dei conti, che fu scelto da Di Maio come capo del comitato dei Cinque stelle per il contratto di governo, “nonostante con i Cinque stelle in realtà io c’entri poco”, tiene a chiarirci. “Io come formazione sono un liberale, addirittura di impianto ottocentesco secondo molti”.   Della Cananea di Conte è amico personale. “Lo conosco da una decina di anni, e siamo colleghi. Fu lui nel 2013 a contattarmi per chiedermi la disponibilità a mandare curriculum per l’incarico che il Parlamento doveva attribuire alla Corte di conti, mentre lui era interessato all’incarico omologo per la Giustizia amministrativa”. Per entrambi il curriculum fu sponsorizzato dai Cinque stelle. “Non so perché si siano rivolti a me, perché se c’è una cosa che emerge chiaramente dal mio curriculum di studioso è che con l’ideologia dell’uno vale uno non c’entro niente. Però nei miei confronti sono sempre stati molto rispettosi. Sicuramente Giuseppe ha una importante formazione di tipo cristiano-sociale, e sicuramente non è mai stato in armonia con due importanti caratteristiche iniziali dei Cinque stelle: l’ostilità a fare alleanze e l’ostilità all’Europa. Infatti poi è andato in tutt’altra direzione. In tutto questo tempo, poi, non si è mai iscritto, rimanendo un esterno. Ciò significa che si è conservato margini molto ampi”.  Della Cananea non sente più Conte da un paio d’anni: “Da quando sta a Palazzo Chigi”. Ma da sue fonti sa che Conte “ha legato a sé una serie di persone anche tratte dal Consiglio di stato, in parte dall’università. Sono persone che mi sembrano più dei giuristi. Che voglia fare un partito penso non solo che non si possa escludere, ma che farebbe anche una cosa con un certo livello di competitività”.

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“Inevitabile un suo pattito”

Un partito di Conte lo dà per inevitabile anche Mattia Feltri, direttore di HuffPost Italia. “In una politica dove non si fanno più congressi, si fanno però i congressi carnali di Conte-Isabella di Castiglia, che si concede a chi la piglia. I Cinque stelle sono passati dal disprezzo per le alleanze a costruire ammucchiate da decine e decine di partiti messi assieme, in cui l’ingresso di Mastella darebbe addirittura una nota di moralità. Lo trovo straordinario, meraviglioso”. Un eroe machiavellico?  “No: secondo me non ha un pensiero politico così strutturato. Piuttosto mi evoca Chance il Giardiniere. Però è vero che cardinali e chiesa si stanno muovendo per lui. Con una abilità tattica ammirevole, Conte sta sottraendo a Renzi quel Grande Centro che col ritorno al proporzionale torna ad avere un senso”.  

 
Molti dunque i pareri, ma certamente nel braccio di ferro con Renzi Conte sembra ridiventato protagonista. Riprendendosi dall’appannamento per  la seconda ondata del Covid (ma con il record di vaccinazioni in Unione europea: mica poco), a sua volta seguito a quello storico accordo sul   Recovery fund che mettendo per la prima volta il debito Ue in comune, era stato a sua volta percepito da molti come una sua vittoria. “Conte da sconosciuto a protagonista della Ue”, lo aveva celebrato El País. 

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Un leader inaspettato, improbabile

La storia di un leader inaspettato, improbabile, ma incredibilmente capace di risollevarsi  in continuazione inizia 56 anni fa a Volturara Appula, 408 abitanti su un colle a 489 metri sul livello del mare, nel Subappennino Dauno. In provincia di Foggia, ma all’estremo ovest, al confine con il Molise. Il nome che deriverebbe da un’antica forte presenza di avvoltoi.  

 
Le cronache locali ricordano che nel ‘500 la feudataria Beatrice Carafa la ripopolò con valdesi di lingua occitana, a cui concesse uno “Statuto”. Particolarità religiosa e linguistica si sono poi perse, ma qualcosa di questa effervescenza doveva essere rimasto, se nel primo ‘800 le autorità borboniche bollarono il paese come nota roccaforte di carbonari. Quando poi nel maggio del 2018 le troupe televisive accorsero da tutta Italia, non mancò chi tenne a ricordare che, benché piccola, Volturara Appula aveva già dato all’Italia “tre prefetti, un ispettore generale ai Lavori pubblici e un pezzo da 90 al ministero della Difesa”. 

 

     

Conte a Valturara Appula nacque l’8 agosto del 1964, in una casa di pietra bianca al vertice di una scalinata. La famiglia è però di Cerignola, e da Valturara Appula Giuseppe se ne andò quando aveva appena tre anni, anche se per molte estati ci tornò in vacanza. I genitori in un primo momento si trasferirono a Candela, dall’altra parte della provincia di Foggia. E lì Giuseppe iniziò le elementari. Ma poi finirono a San Giovanni Rotondo: cittadina di 27.000 abitanti, famosa per Padre Pio. 

 
In quegli  anni Sessanta in cui per il boom i campagnoli andavano in città, può sembrare strana la vicenda di una famiglia che invece si sposta da un piccolo centro all’altro della Daunia. Ma i genitori erano dipendenti pubblici. La mamma, Pasqualina Marina Roberti, era maestra elementare. Il papà, Nicola Conte, segretario comunale. Ovvio l’impatto dell’insegnante, in un paesino. Ma ancora più quello di un “organo monocratico” che specie in piccole realtà dove sindaco e consiglieri sono politici alla buona è quello che poi sa veramente come far funzionare la macchina amministrativa. 

  
Docente emerito di Storia contemporanea a Roma Tre, Carlo Felice Casula di Conte fu il primo mentore, e da allora è rimasto suo amico. Parlando col Foglio, tiene a sottolineare il peso che quel doppio modello può aver avuto nella sua formazione. “Al di là della condizione economica più che dignitosa della famiglia, entrambi i genitori svolgevano un lavoro che è a stretto contatto con le persone”. “Sia la maestra che il segretario comunale hanno nei confronti della gente una conoscenza e una sensibilità che non sono di tipo impiegatizio o burocratico. E’ difficile in questi casi fare delle deduzioni, ma ho sempre pensato che l’interesse e la sensibilità di Giuseppe Conte per i problemi reali delle persone  dipendano anche da queste sensibilità familiari”. L’Avvocato del Popolo? “Lo hanno deriso per questa etichetta”, si lamenta Casula. “In Italia ormai viviamo una deriva per cui basta aggiungere un ismo per banalizzare o deridere tutto. Ma un conto è avere attenzione per il popolo, un conto il populismo”. 

 
Si può anche osservare come soprattutto alla fine del suo primo governo la sua figura più che quella di un Avvocato del Popolo è stata quella di un Segretario Comunale d’Italia. Casula ci pensa un attimo, poi ci sembra innamorarsi anche lui dell’immagine.  “E’ vero. Il segretario comunale è quello che alla fine, dopo l’elezione del sindaco, conclusa la campagna elettorale e le sue promesse mirabolanti, ricorda alla nuova amministrazione le leggi, i regolamenti applicativi e le disponibilità finanziarie del Comune, e quindi si passa all’amministrazione possibilmente più corretta ed efficiente”. Ma insiste anche sull’esempio della madre. “La maestra è forse la figura professionale che, attraverso i bambini, ha maggiori possibilità di calarsi nelle difficoltà e nelle dinamiche delle famiglie”. E’ anche quella che bacchetta gli alunni discoli: anche se ormai in maniera metaforica, e non più materiale.  E’ stata una bacchettata in stile materno, quella che Conte ha rifilato a Salvini? “Nel parlare di Conte emerge anche la sua competenza professionale. La capacità dell’avvocato di costruire una bella arringa. Ma c’è anche il suo ruolo di professore”.

 
La maturità a San Giovanni Rotondo

Se è Volturara Appula il luogo di nascita, è però San Giovanni Rotondo il luogo dove Conte è cresciuto. E la maturità classica, 60/60, l’ha conseguita presso il liceo classico Pietro Giannone di San Marco in Lamis: cittadina di 13.000 abitanti, confinante con San Giovanni Rotondo. “Io facevo il calciatore all’epoca e Giuseppe, di tanto in tanto, veniva a giocare a calcetto o calcio a 11 con noi”, ricordò l’amico di adolescenza Antonio Piacentino a “Un giorno da pecora”. “Era un regista, uno alla Fabio Capello, se la cavava abbastanza bene”. Conte stesso ha poi confermato in una intervista: “Mi piace segnare qualche gol, sono uno che vede la porta. E mi piace far giocare gli altri, che, come sa chi conosce il calcio, è la soddisfazione più grande in una squadra”.

  

Un altro suo compagno di liceo era Luigi Sabatelli, oggi agente della polizia municipale e segretario del Sulpm Puglia. Conferma al Foglio la passione per il calcio, e aggiunge: “Era un grande tifoso della Roma. Ma amava anche il tennis. E leggeva moltissimo. A scuola andava bene”.    
Sia Piacentino che Sabatelli concordano che Conte ià da allora teneva molto alle apparenze (intese come vestiario), e che di politica non parlava mai. In compenso faceva un’intensa vita di comitiva. Sabatelli ci testimonia che per il suo stile piaceva  alle ragazze. “Ma non credete a chi dice che era un playboy”. “Andava spesso al santuario di Padre Pio, è molto religioso”, ha raccontato Piacentino. ““Andava a messa tutte le domeniche: la famiglia è molto devota. D’altronde nel convento di San Giovanni Rotondo, quello di Padre Pio, ha uno zio frate”, conferma Sabatelli.

  

Una piccola storia a riprova di questa religiosità. La madre legge Famiglia Cristiana. E lì scopre di un collegio cattolico a Roma, dove si può accedere con concorso.  Dopo aver passato una vacanza in Inghilterra come premio per i 60/60 del voto alla maturità, Conte va appunto a tentare gli esami  a Villa Nazareth, creata per accogliere orfani e figli di famiglie numerose e povere. Anche Casula, classe 1947 e figlio di un pastore sardo, fu uno dei “ragazzi” di Villa Nazareth, prima di diventare presidente di quel Comitato scientifico della Fondazione in cui sta anche Conte. In effetti il ragazzotto pugliese partecipò al concorso e lo superò.  Ma il suo posto fu preso da un candidato che aveva più bisogno di lui. Andò dunque alla Sapienza, dove si laureò nel 1988,  votazione 110/110 cum laude. Titolo della tesi: “Inadempimento prima del termine”, che considerando la futura querelle con Salvini (e quella di oggi con Renzi) può sembrare profetico. Relatore: l’ordinario di Diritto privato Giovanni Battista Ferri, di cui diventa assistente. 

  
Pur iscrivendosi alla Sapienza, Conte decise comunque di restare in contatto con Villa Nazareth, lavorandoci come volontario. Cosa non facile: solo all’ultimo momento trovò infatti una sistemazione, “con altri ragazzi di San Giovanni Rotondo che in paese dicevano ‘abbiamo preso casa a Roma’”. Lui stesso scherza sul fatto che in realtà l’appartamento si trovava alla Rustica, all’estrema periferia est. “Ogni mattina uscivo alle sei, prendevo due o tre mezzi per arrivare all’università in tempo per le otto: non esattamente la vita universitaria che avevo immaginato”. “Ero sempre bloccato nel traffico, o per strada, o in ritardo cronico. Raggiungevo aule in cui c’erano 800 o 1000 persone e restavo fuori perché non trovavo posto: per i primi due mesi non ci capii nulla”.

  

San Giovanni Rotondo e il rapporto con la fede. L’università alla Sapienza e l’esperienza a Villa Nazareth, con un viaggio in America. La carriera da docente. La collaborazione con l’avvocato  Alpa, la polemica sul curriculum quando diventerà presidente del Consiglio. “Un dandy fissato con la moda inglese”

   
Allievi e colleghi raccontano che lo stile di correre e arrivare in ritardo che aveva da studente a Conte è rimasto anche da professore. Ma il futuro presidente del Consiglio alle prese con vincoli di bilancio europei e manie spenderecce di leghisti e pentastellati ha forse appreso qualche trucco per venirne a capo attraverso il modo in cui i genitori gli davano “i soldi contati per via di una teoria tutta loro”. Durante l’università Conte cercò anche di fare lavori “di ogni tipo”: “escluso il cameriere”. Ma nel vestire era sempre inoppugnabile. E il riuscire a trovare anche il tempo per Villa Nazareth fu proficuo, dal momento che a quattro anni dalla prova di ingresso ricevette una telefonata dalla direttrice. “Conte, tutto bene? Si è laureato?”. “Effettivamente mi ero appena laureato e avevo appena iniziato a fare l’assistente all’università”, ha raccontato. “E mi propose di collaborare”.  “Con l’istituto andammo persino in America, in missione. Fu una delle esperienze più belle e utili della mia vita”.

  
“Essendo Conte uno che da laureato si è via via indirizzato alla carriera, al lavoro e alla professione universitaria, il mio rapporto con lui è stato più intenso”, ci conferma Casula. “Io e Conte in particolare abbiamo fatto alcuni viaggi negli Stati Uniti assieme al cardinale Silvestrini apposta per stabilire e rafforzare rapporti con istituzioni universitarie”. L’idea era di creare una Villa Nazareth a stelle e a strisce, “e Conte era molto prezioso. Sia per le sue competenze giuridiche, sia per la sua conoscenza dell’inglese. Gli americani invece l’italiano non lo masticavano, e lo chiamavano tutti Giuseppi”. Ah, allora non è stata una gaffe originale di Donald Trump? “Macché! Dal momento in cui arrivavamo in America cominciavamo tutti a chiamarlo scherzosamente Giuseppi”. 

  
Quando nel maggio del 2018 il nome di Giuseppe Conte emerge come incaricato da Mattarella per formare il nuovo governo, oltre che a Volturara Appula e a Villa Nazareth cronisti e troupe televisive fanno ressa anche all’Università di Firenze, dove il neo presidente del Consiglio ha una cattedra di Diritto privato. La gran parte dei colleghi non ne sa niente, al di fuori del dipartimento di Scienze giuridiche. Molti dei suoi studenti invece parlano.

 

Alcuni ricordi sono positivi: “Conte come professore è impeccabile: un buon professore, lo si vede subito”. “Non annoia ed è molto coinvolgente. A lezione fa molti esempi e ripercorre le sue esperienze personali. Sono lezioni molto partecipate che portano al confronto diretto. Anche se è molto assente per via degli impegni, perciò demanda molto agli assistenti”. 

  
Altri lo sono meno. E quando arriva a Palazzo Chigi, su Facebook, vengono fuori anche ricordi astiosi. In effetti il suo problema è che insegna pure alla Luiss oltre che a Firenze, quindi corre spesso fra treni e aule, e il suo look oscilla tra l’elegante e l’assonnato. Alcuni dunque lo tacciano di disorganizzazione e spocchia; altri riconoscono che il lavoro non gli impedisce di essere disponibile. Chiari e scuri.  

 
Patrizia Giunti è la docente di Diritto romano che come direttrice del dipartimento di Studi giuridici è stata all’Università di Firenze colei che con Conte ha lavorato a più stretto contatto.  “Facendo lezione negli stessi giorni, lui aveva l’ora dopo di me, quindi io uscivo dall’aula, lui entrava”. Entrava in tempo? Corrispondono al vero quelle descrizioni di un professore di corsa e trafelato? A Patrizia Giunti scappa una risata. “Sì, era lui! Sempre carico di borse, su e giù dai treni”. 

 
Insomma, uno che si perde tra le cose che deve fare. In effetti, il curriculum che presenta il 17 settembre 2013 alla Camera dei deputati quando è candidato al Consiglio di presidenza della Giustizia amministrativa va avanti per 11 pagine. Sul momento, resta un documento sepolto tra le montagne di scartoffie di Montecitorio. Ma nel maggio 2018  Conte è designato a presidente del Consiglio, e allora sul documento si butta la stampa. Qualcuno è impressionato da tutte quelle referenze. Altri parlano di bulimia dell’apparire tipica di un piccolo borghese meridionale che vuole dimostrare che ce l’ha fatta. Tra quelle undici pagine ce ne sono  una e mezza di attività scientifica e didattica; due di principali incarichi scientifici; mezza di principali incarichi professionali svolti; cinque di principali convegni e conferenze cui ha preso parte in qualità di relatore o di presidente di sessione; tre di principali pubblicazioni. Nel curriculum però, come svelato su questo giornale nel 2018 da Luciano Capone, ci sono anche delle falsità: “Dal 2002  ha aperto con il prof. avv. Guido Alpa un nuovo studio legale dedicandosi al diritto civile, al diritto societario e fallimentare”. Questo fatto, però, non è mai stato confermato. 

 
Se la carriera di docente è iniziata come assistente di Ferri, quella di avvocato si aggrappa invece in un primo momento a  Scognamiglio: un principe del foro che ha lavorato anche all’Iri, al ministero del Tesoro e all’Acquedotto pugliese. Nel suo studio Conte riceve una piccola stanza strapiena di fascicoli, che lo coprono fin sopra al ciuffo. Lavora come un matto dalla mattina alla sera, salvo concedersi ogni tanto una partita di calcetto in un circolo sul Tevere. Ma nel 1998 entra in contatto con Alpa. E da allora Ferri e Scognamiglio scompaiono dalla sua vita.   

  
Classe 1947, nato a Ovada nell’Alessandrino ma formatosi a Genova, Guido Alpa è stato allievo di Stefano Rodotà, e a sua volta maestro di una importante scuola giuridica. Avvocato dal 1974, presidente del potente Consiglio nazionale forense dal 2004 al 2015, ordinario di Diritto civile presso la Facoltà di Giurisprudenza della Sapienza, come molti giuristi di vaglia ha avuto una serie sterminata di incarichi. “Ho aiutato Conte perché era bravo” ha detto. Alpa è a sua volta di umili origini, figlio di un ferroviere. E non ha figli suoi. Qualcuno ha dunque ricamato che nel giovane pugliese avrebbe rivisto sé stesso, e un figlio adottivo. E’ Alpa il direttore del corso pilota di Istituzioni di Diritto privato via internet destinato a studenti selezionati dell’ultimo anno delle scuole secondarie superiori che col patrocinio del Cnr Conte cura nel  1998-99. Segno che la sua carriera sta decollando, nel 1999 Conte si può comprare a via Giulia una casa da 450 milioni di lire. Anche il suo curriculum di docenze inizia a scalare, e nel luglio 2002 vince l’idoneità a professore ordinario di Diritto privato in un concorso bandito dalla Seconda Università di Napoli, Facoltà di Giurisprudenza: “Riportando l’unanime giudizio favorevole di tutti i membri della commissione di concorso”.

  
Così a Firenze può passare ordinario: ma la cosa innescherà una polemica quando diventerà presidente del Consiglio.  Repubblica denuncia infatti che nella commissione che lo ha giudicato e promosso all’unanimità assieme ad altri quattro docenti universitari italiani c’è appunto Alpa. Appena nel gennaio 2002 Conte e Alpa avevano difeso assieme il Garante della Privacy contro la Rai che aveva impugnato un suo regolamento. E secondo l’articolo 51 del codice di procedura civile la collaborazione professionale sarebbe elemento di incompatibilità tra esaminante e esaminato. Alpa spiega allora che lui e Conte a piazza Benedetto Cairoli 8  non hanno uno studio in comune, ma sono “soltanto coinquilini”. All’albo degli avvocati i due risultano però avere lo stesso numero di telefono, e il Pd lancia l’hashtag “#concorsopoli”. Alla fine, però, la stessa Repubblica ammette che nel concorso del 2002 non c’era nulla di irregolare rispetto alle leggi in vigore all’epoca. E’ oggi che non si potrebbe fare. 

  
“Dandy fissato con la moda inglese e le camicie su misura, appassionato di auto d’epoca (una Jaguar, pagata pochi soldi, è spesso in garage perché sempre rotta) e di vecchi orologi a corda di valore modesto”: così è stato descritto Conte. E Salvini, nel suo acido discorso al Senato alla presentazione del Conte bis, ha riservato una stilettata velenosa allo “stile” che “non si può ricondurre solo alla cravatta, alla pochette o al capello ben tagliato”. “Non è una posa”, ci dice Patrizia Giunti. “Il suo era un atteggiamento sempre molto familiare, ma anche fortemente rispettoso del ruolo e dell’interlocutore”. “Con una persona  così garbata, è stato facile anche entrare in sintonia e quindi condividere momenti conviviali e sociali insieme”. “Anche a tavola fa di tutto per dimostrare di non avere eccessi. Un suo classico a fine pasto: Giuseppe un dessert? Lui: no, a fine pasto frutta. Giuseppe, c’è il tiramisù! Lui: ma per me non ci sarebbe una mela? E allora volavano i tovaglioli”. E nella conversazione? “Parlavamo praticamente solo di due argomenti: o il lavoro, o la Roma. Soprattutto del lavoro, ovviamente”. In molti insistono sulla sua religiosità “In realtà non ne abbiamo mai parlato, ma l’ho sempre percepita”.  E il pallone? “Lo sanno tutti che tifa Roma, e cercava di prendermi in castagna”.

  
Malgrado il ricordo di un compagno di liceo secondo cui Conte era romanista già da adolescente, lui in un’intervista alla Gazzetta dello Sport ha invece spiegato che il suo tifo giallorosso sarebbe sbocciato “molto lentamente”. “Mi trasferii a Roma per gli studi universitari, ma i primi anni rimasi tiepido rispetto alle squadre romane. Mi portavo appresso il tifo per il Foggia dell’epopea zemaniana e ancora conservavo il ricordo della Fiorentina di Antognoni… mi piaceva il suo modo di stare in campo, a testa alta, la sua visione di gioco, quei suoi lanci lunghi”. E abbiamo già riferito che a Conte piaceva giocare da regista e su questo dettaglio Conte  ci ha ovviamente spesso ricamato. Lui stesso in quell’intervista, alla domanda se il ruolo di un presidente del Consiglio corrispondesse più a quello di un allenatore o di un arbitro, puntualizzò: “Né allenatore, né arbitro, come qualcuno a volte ha provato a definirmi. Io scendo in campo tutti i giorni. Insieme a Di Maio e a Salvini formiamo un bel tridente d’attacco. A me spetta anche il compito di coordinare l’intera squadra poiché, per rimanere alla metafora calcistica, le partite si vincono tutti insieme, con il contributo di tutta la squadra”. 

  

     

Patrizia Giunti racconta anche di aver conosciuto la moglie. Valentina Fico, 46 anni, è la madre del 13enne Niccolò Conte. Proprio per l’estremo riserbo di Conte, personaggio molto misterioso. Addirittura, per vari mesi dopo l’arrivo dell’ex marito a Palazzo Chigi non si è saputo neanche quale fosse il cognome della ex moglie. Tuttora non si sa né la data del matrimonio, né quella della separazione, né quella del divorzio, né i motivi. Si sa in compenso che anche lei ha una preparazione giuridica: fa parte  dell’Avvocatura dello stato, in quella VII sezione che si occupa di Istruzione, Ricerca e Infrastrutture. 

  
L’attuale compagna di Conte è invece Olivia Paladino, 40 anni. Si sono conosciuti perché Niccolò Conte e la figlia di lei Eva frequentavano la stessa scuola. Il padre di lei è il 77enne Cesare Paladino: costruttore, e proprietario dell’Hotel Plaza di via del Corso, che Olivia gestisce. Cesare ha avuto un problema con 2 milioni di euro di tasse di soggiorno non pagate tra il 2014 e il 2018, e ha patteggiato un anno, due mesi e sette giorni di carcere, con sospensione della pena concordata. La madre è Ewa Aulin, nome come la nipote ma scritto alla svedese: biondissima attrice classe 1950, che dopo essere stata a 15 anni Miss Teen Svezia e a 16 Miss Teen International arrivò in Italia, a recitare con Alberto Lattuada e Tinto Brass. Ebbe una nominaton al Golden Globe e fece una cosa in tv con i Monty Python, ma perse la sua grande occasione quando Zeffirelli le preferì Olivia Hussey per il ruolo di Giulietta, e a 23 anni, già divorziata e con un figlio,  lasciò il cinema per mettersi con Palladino, con cui fece altre due figlie. Olivia le assomiglia in modo impressionante. 

  
Secondo Patrizia Giunti, una cosa di cui invece Conte non parlava mai era la politica. “Ma un giorno mi telefonò e mi disse: guarda la tivù. Era la trasmissione in cui veniva presentata la futura squadra del possibile governo Cinque stelle, e lui compariva come potenziale ministro della Pubblica istruzione”. Insomma, una sorpresa. Casula conferma che “non ha mai dimostrato un interesse o una passione per la politica. E’ molto più concentrato sul suo percorso professionale e accademico”. Però insiste con forza che la sua formazione è di tipo “cristiano-democratica e cristiano-sociale”. Anche a Casula Conte telefonò, nel momento in cui ricevette la prima proposta per diventare ministro. Come mai fu contattato? Qua bisogna ricordare la storia di Sofia. Sofia era una bambina con una malattia neurodegenerativa non curabile (che nella forma infantile porta alla morte a circa cinque anni di distanza dalla comparsa dei primi sintomi), che secondo i suoi genitori avrebbe tratto giovamento dal “metodo” Stamina: una soluzione che prevede la somministrazione di un “cocktail” di cellule staminali ideato da Davide Vannoni, fondatore della Stamina Foundation. Con un appello alle Iene, nel 2013 la madre chiese aiuto per consentire alla figlia di proseguire le cure, dopo la decisione del ministero della Salute di sospenderle. Mentre Grillo cavalcava la battaglia, Conte difese gratis la famiglia nel ricorso. Alcune dichiarazioni dell’epoca sembrarono indicare che Conte fosse a sua volta convinto della bontà del metodo Stamina (metodo che in realtà era una truffa), ma in interviste successive i genitori di Sofia lo esclusero. Alla fine una commissione del ministero della Salute bocciò il metodo, e nel 2015 Vannoni dovette patteggiare una condanna a 22 mesi per associazione a delinquere. Quando Sofia morì, nel 2017, i genitori ammisero: non era stato che un millantatore. 

  
Quando il nome di Conte arrivò alla ribalta della politica, risaltò fuori anche quella storia. Nel 2018 fu il Manifesto a ipotizzare che avessero preso in simpatia Conte proprio a partire da quella convergenza. Certamente i Cinque stelle lo votarono   come  componente del Consiglio di presidenza della Giustizia amministrativa. “Mi hanno telefonato e mi hanno chiesto la disponibilità a farmi nominare come membro dell’organo di autogoverno della Giustizia amministrativa. Io per onestà intellettuale dissi che non li avevo votati e che non ero un simpatizzante”, avrebbe raccontato nel 2018. 
Prima ancora di Stamina, però, c’era stato il contatto con Alfonso Bonafede: avvocato civilista di origine siciliana che nel 2006 era entrato a far parte del gruppo degli “Amici di Beppe Grillo” del Meet-up di Firenze, nel 2009 era stato candidato dal M5s a sindaco di Firenze ottenendo l’1,82 per cento, e nel 2013 era diventato deputato. Casula ci conferma, per sua informazione personale, che la proposta di entrare nel governo venne a Conte proprio da Bonafede. “Si era laureato con lui, e credo che con lui abbia anche collaborato”.

  
A Firenze, però, Conte era entrato anche nel giro di Renzi, che fu tra i primi a lanciare la battaglia contro “concorsopoli”. Allora proprio Alpa rivelò a Repubblica: “Fu Conte a presentarmi Matteo Renzi. Ci siamo incontrati una volta a Roma. Renzi era con la Boschi e la conoscevamo perché era una ricercatrice a Firenze, tra l’altro molto brava”. La frequentazione Renzi-Boschi-Conte è confermata anche da molte altre fonti, che però suggeriscono come forse da quel contatto Conte sperasse di ottenere di più.  

  

   

Il 27 febbraio 2018, dunque, Conte è presentato da Luigi Di Maio come candidato al ministero della Pubblica amministrazione. La decisione dei Cinque stelle di indicare una squadra di governo prima del voto viene indicata come “surreale” dal presidente del Consiglio, Paolo Gentiloni, che poi il governo Conte bis indicherà come commissario europeo.  “Abbiamo scelto Giuseppe Conte per la sua grande capacità ed esperienza professionale”, è la motivazione di Di Maio. “Da giurista”, Conte sente però il bisogno di manifestare il suo rispetto per il ruolo di Sergio Mattarella, puntualizzando che la sua nomina a ministro è solo “simbolica”. Dopo che dal voto è uscito un Parlamento senza maggioranze e la inedita coalizione tra Cinque stelle e Lega emerge come unica alternativa praticabile, il 21 maggio 2018 Conte è proposto a Mattarella come presidente del Consiglio dalla coalizione Cinque stelle-Lega. Il 23 maggio il presidente gli dà l’incarico.

 

L’incarico al Quirinale e il giuramento. Il progetto di “radicale cambiamento” annunciato nel discorso in Parlamento. Gli “ottimi rapporti con Di Maio e Salvini”. La mina vagante dell’Alta velocità Torino-Lione. I porti chiusi. La rottura con Salvini e il nuovo incarico. E ora la sfida di Renzi

  

Lui, dopo essersi reso irreperibile per vari giorni, si presenta al Quirinale alle 17.30. In taxi, abito blu come al solito impeccabile e una cartellina sotto il braccio. Parla con Mattarella per due ore, poi esce e con un filo di incertezza che tradisce l’emozione e legge un intervento di quattro minuti in cui formula la famosa promessa: “Mi propongo di essere l’avvocato difensore del popolo italiano”. Da cui la battuta di Renzi: “Buon lavoro al presidente incaricato Conte. Egli si è proposto come l’avvocato difensore del popolo italiano: noi ci costituiamo parte civile. Parte civile per verificare se realizzeranno le promesse della campagna elettorale”.

 
L’accettazione, però, è con riserva. E il 27 maggio Conte rinuncia, dopo che il nodo ministri si è imbrogliato per il veto di Mattarella alla nomina all’Economia di Paolo Savona. Furibondo Di Maio, oltre a rendere nota la lista dei ministri proposti, chiede un impeachment del capo dello stato: appoggiato dalla Lega e anche da Fratelli d’Italia, ma con forti perplessità dei costituzionalisti. Un nuovo incarico è conferito all’economista Carlo Cottarelli, con la prospettiva di tornare al voto in autunno. Ma il 31 maggio anche Cottarelli rinuncia. Conte, di nuovo nominato, stavolta accetta senza riserva, e anzi presenta subito la lista dei ministri. Luigi di Maio e Matteo Salvini sono entrambi vicepresidenti del Consiglio, oltre che l’uno ministro del Lavoro e dello Sviluppo Economico, l’altro dell’Interno. Tra i ministri ce ne sono otto dei Cinque stelle più un indipendente di area; sei della Lega più un indipendente di area; due indipendenti.  Tra questi ultimi c’è agli Esteri Enzo Moavero Milanesi: un diplomatico che è già stato agli Affari europei con Monti e Letta. E Giovanni Tria: all’Economia al posto di Savona, dirottato agli Affari europei. 

 
Il primo giugno alle 16, dopo 88 giorni di crisi, il nuovo governo giura al Quirinale. Il 5 giugno Conte si presenta al Senato: ottiene 171 voti favorevoli, contro 117 contrari, e 29 astenuti. Il 6 giugno ottiene la fiducia anche alla Camera:  350 voti favorevoli, 236 contrari e 35 astenuti.

 
Quindici pagine è lungo, nel resoconto stenografico, il discorso con cui il 5 giugno 2018 Giuseppe Conte chiede la fiducia al Senato. Quasi a tagliar corto con le polemiche che hanno portato alla buriana sull’impeachment, inizia con “un saluto al presidente della Repubblica, che rappresenta l’unità nazionale e che ha accompagnato le prime non facili fasi di formazione di questo governo”. Ma rassicura anche i suoi azionisti di riferimento: “Se populismo è attitudine ad ascoltare i bisogni della gente, allora lo rivendichiamo”. Il progetto di “radicale cambiamento” va dai diritti sociali alla legittima difesa, passando per un fisco più equo, il Daspo ai corrotti, il carcere per i grandi evasori, il taglio delle pensioni d’oro  dei privilegi, il conflitto di interessi, la prescrizione.  “Ha ragione Kotler: occorre ripensare il capitalismo”.  Nel “governo ircocervo”, come lo chiama Berlusconi, in realtà i due partner si fidano talmente poco l’uno dell’altro che il 18 maggio Salvini e Di Maio si sono trovati davanti a un notaio per stipulare un puntiglioso “contratto di governo” in 30 punti e 57 pagine.  Tanto, a garantire che le cose si possono fare e si faranno c’è lui, “l’avvocato che tutelerà l’interesse dell’intero popolo italiano”. 

 
Responsabilità che cominciano subito col botto. Già l’8 e 9 giugno va al G7 in Canada, dove simpatizza con Trump. “Il rapporto con Trump è stato da subito molto cordiale” dice in conferenza stampa. “A really great guy”, conferma su di lui il presidente Usa via Twitter. Il fare buona immagine sulla Casa Bianca è importante, visto che subito dopo la proposta come candidato a Palazzo Chigi anche il New York Times aveva messo in dubbio il suo curriculum. 

 

Ma in questo primo incontro con i giornalisti all’estero tiene anche a spiegare che lui non è un mero esecutore. “Non rinuncio alle mie prerogative. Ho ottimi rapporti con Di Maio e Salvini, ma io mi assumo la piena responsabilità di guidare questo governo e indirizzarne la politica”. Il 9 giugno Salvini fa la sua prima prova di forza, negando l’approdo dell’Aquarius con 632 migranti. “Salvini è un irresponsabile”, tuona Macron. Il “capitano” non cede, e la nave è costretta a dirottare su Valencia. Parlando per telefono col presidente francese, Conte riesce a ottenere un chiarimento. Insomma, mostra che deve fare il paciere non solo tra i partner di governi, ma anche con quelli dell’Ue.  

 
I “porti chiusi” diventano il principale mantra di Salvini. I sondaggi iniziano a pompare la Lega, e a sgonfiare i Cinque stelle. Quando Il 20 agosto Salvini nega lo sbarco di 177 persone che  la nave Ubaldo Diciotti della Guardia costiera italiana ha soccorso quattro giorni prima, nelle acque internazionali al largo dell’isola di Malta, la Procura di Agrigento lo iscrive nel registro degli indagati, per sequestro di persona aggravato. Anche qui Conte ci mette la faccia, e anche di più. Il 17 febbraio 2019, infatti, assieme  a Di Maio e al ministro delle Infrastrutture Toninelli si autodenuncia, dicendosi corresponsabile della scelta. Il 18 febbraio 2019 gli iscritti alla Piattaforma Rousseau decidono che i Cinque stelle, in teoria contrari a ogni immunità, dovranno negare l’autorizzazione a procedere per Salvini. Il 20 marzo il Senato scagiona il ministro dell’Interno.    

 
Per fronteggiare l’offensiva di immagine di Salvini, il 2 luglio Di Maio ottiene l’approvazione di un decreto “Dignità” che introduce “misure urgenti per la dignità dei lavoratori e delle imprese” e che sarà approvato in via definitiva dal Parlamento il 7 agosto. Ma la Confindustria insorge, e anche la piccola impresa lombardo-veneta brontola, mandando a protestare Zaia. Salvini risponde il 29 novembre facendo passare un decreto “Sicurezza” che abolisce la protezione umanitaria, inasprisce le norme su rifugiati e immigrati, aumenta i fondi per i rimpatri e autorizza anche la revoca della cittadinanza. E dal primo gennaio 2019 ottiene anche una prima Flat Tax per le partite Iva. Un colpo al cerchio e uno alla botte, il 17 gennaio il governo delibera il Decretone con Quota 100 per i pensionati e il reddito di cittadinanza. Quest’ultimo è il caposaldo che ha permesso ai grillini di fare man bassa nei collegi uninominali del centro-sud, la riforma pensionistica se la attribuiscono entrambi, ma nel complesso è la Lega che sembra dirigere l’azione del governo.  Le elezioni regionali in Abruzzo del 10 febbraio, in Sardegna del 24 febbraio e in Basilicata del 24 marzo confermano tutte il travaso di voti dai Cinque stelle alla Lega.   

 

  

Ma la mina vagante è soprattutto l’Alta Velocità Torino-Lione. La Lega la vuole; i Cinque stelle hanno da sempre avuto una potente lobby No Tav al loro interno. Il compromesso del Contratto di governo prevede di ridiscutere il progetto, ma senza sospendere i lavori. Ministro delle Infrastrutture è però il pentastellato Toninelli, che l’11 settembre annuncia la costituzione di uno staff per riesaminare la questione “senza pregiudizio”. Contro di lui, il 10 novembre a Torino scendono in piazza i Pro Tav. L’8 dicembre rispondono i No Tav: senza la Appendino, ma con il gonfalone del Comune.

  
Il 12 febbraio la maggioranza gialloverde è ricompattata dal duro attacco che il leader dei liberali dell’Alde  Guy Verhofstadt fa a Conte durante il dibattito all’Europarlamento: forse per far dimenticare che proprio lui ha trattato un ingresso dei Cinque stelle nell’Alde poi ratificato da Rousseau ma bocciato dai liberali europei. “Per quanto tempo ancora sarà il burattino mosso da Di Maio e Salvini?”. “Un capogruppo ha dato del burattino a chi rappresenta il popolo italiano: io non lo sono e non mi sento. Sono orgoglioso di interpretare la voglia di cambiamento del popolo italiano e di sintetizzare la linea politica di un governo che non si piega alle lobby.  Forse i burattini sono quelli che rispondono a lobby, gruppi di potere e comitati di affare”, risponde Conte piccato. Lo stesso 12 febbraio 2019 che l’attacco di Verhofstadt sembra aver ricompattato i gialloverdi, gli esperti di Toninelli rendono però nota una analisi costi-benefici che boccia la Tav. E per la coalizione inizia così il conto alla rovescia, visto che il primo febbraio Salvini ha indossato un casco da operaio ed è andato al cantiere di Chiomonte: chiara sfida ai Cinque stelle, a nome di un Nord efficientista che accusa i grillini di luddismo. E il 25 febbraio, proprio il giorno dopo la batosta che in Sardegna ha lasciano i Cinque stelle boccheggianti, il ministro dell’Economia Tria dice che il problema non è la Tav: il problema è che nessuno verrà mai a investire in Italia se il paese mostra un governo che non sta ai patti.

 
Il 26 maggio le elezioni europee mostrano che i due partner si sono praticamente scambiati di consistenza rispetto alle politiche: la Lega è passata infatti dal 17,35 per cento al 34,26; i Cinque stelle dal 32,68 al 17,06. “Non regoliamo i conti, non chiediamo poltrone, il contratto di governo non cambia”, prova a rassicurare Salvini, che Il 14 giugno ottiene il suo ultimo successo con l’adozione del decreto Sicurezza bis. Ma Conte subito dopo il voto ha deciso infine di togliere definitivamente la maschera del burattino. “Non mi faccio massacrare. Senza la fase due è inutile continuare. E il 9 luglio Buzzfeed pubblica un’intercettazione fatta all’Hotel Metropol di Mosca che parla di possibili finanziamenti di Putin alla Lega: i Cinque stelle invece di sostenere l’alleato prendono le distanze. Con aggressività la Lega risponde cavalcando lo scandalo su un traffico di minori tolti alle famiglie emerso il 27 giugno a Bibbiano: comune emiliano a guida Pd. “Parlateci di Bibbiano” è il tormentone  che sembra un attimo ricompattare Salvini e Di Maio, che promette: “Mai con il partito di Bibbiano”. Ma il 2 luglio Cinque stelle e Pd al Parlamento europeo votano invece assieme per  Ursula von der Leyen alla presidenza della Commissione europea. 

 
Salvini prima abbozza, poi il 18 luglio in un lungo sfogo con i giornalisti denuncia il “tradimento” degli alleati e il venir meno della “fiducia anche personale” con Di Maio. E il 23 Conte scende clamorosamente in campo a favore della Tav, e contro quei Cinque stelle a cui deva la sua discesa in politica. Di Maio prova a parare dicendo che rispetta Conte, ma che dovrà decidere il Parlamento. Il 24 luglio, mentre alla Camera passa la fiducia sul decreto Sicurezza bis e in Val di Susa si scatena la protesta dei No Tav, in Senato è Conte a riferire sul caso Russia. Invece di ringraziarlo, Salvini lo accusa di cercare voti per una nuova maggioranza, mentre i Cinque stelle lasciano l’Aula. Al posto di Conte,  sostengono, doveva esserci il ministro dell’Interno.

 
Forse è tra il 23 e il 24 luglio 2019 che la figura del burattino muore, e nasce il tormentone sul “Partito di Conte”. “Un mio partito? Roba da Prima Repubblica”, smentisce il diretto interessato il 25 luglio. Giorno di un apparente chiarimento che induce Salvini a promettere: “Si va avanti”. Ma subito dopo il leader leghista inizia ad attaccare Tria, e il 27 luglio le forze dell’ordine caricano i No Tav in Val di Susa.  Dopo altri scontri, l’8 agosto in un comizio a Pescare Salvini chiede “pieni poteri”. Conte risponde convocando a sua volta i giornalisti. “Questa crisi sarà la più trasparente della storia repubblicana”.

 
Il 9 agosto la Lega deposita in Senato una mozione di sfiducia contro Conte e lo accusa di non essere venuto in Aula a ribadire la posizione del governo favorevole alla Tav. Si arriva così al 20 agosto. Ed è qui che, con grande sorpresa, l’ex “burattino” e “notaio” diventa definitivamente un leader. Entra alle 15, stringe le mani a tutti,  scambia qualche parola misteriosa con Salvini. Poi inizia a parlare. Ed è un fiume in piena. Fino alle 15.58. Parla a Salvini guardandolo negli occhi e dandogli pacche sulle spalle, mentre l’interlocutore cerca i darsi un contegno a colpi di sorrisetti e smorfie. In un clima da stadio, Conte si toglie dalla scarpa i sassolini accumulati in 14 mesi.  “Amici della Lega, avete tentato di comunicare l’idea del governo dei No e, così, avete macchiato 14 mesi di intensa attività di governo pur di alimentare questa grancassa mediatica. Così, avete offeso non solo il mio impegno personale, e passi, ma anche la costante dedizione dei ministri”. “Hai invocato le piazze e chiesto poteri, la tua concezione preoccupa”.

 

“Non abbiamo bisogno di uomini con pieni poteri, ma con senso delle istituzioni”. “Matteo, non hai dimostrato cultura delle regole”. “La vicenda russa meritava di essere chiarita anche per i risvolti sul piano internazionale, dovevi venire in Senato. Ti sei rifiutato di condividere le informazioni”. Ma qui arriva anche una frecciata ai grillini. “Amici del Movimento 5 stelle, mi rivolgo alla Lega perché ha preso l’iniziativa di interrompere il governo, ma invito anche voi a riflettere sulle responsabilità di governo. Bisogna evitare di farsi trasportare dai sondaggi. Se il presidente del Consiglio si presenta in Aula come in occasione della vicenda russa, il rispetto delle istituzioni imporrebbe di restare in Aula ad ascoltarlo”. 

 
Ma il suo obiettivo principale resta il leader leghista, in un crescendo di stilettate fino a quella sui  rosari nei comizi. “Non te l’ho mai detto, Matteo, non si accostano slogan politici a simboli religiosi”. Conclusione: “Il governo finisce qui”. Passando dal banco del governo a quelli della Lega, Salvini prova a difendersi. “Rifarei tutto quello che ho fatto”. Si dice disponibile a votare la legge sul taglio dei parlamentari e poi la manovra, fa sapere di aver ritirato la mozione di sfiducia presentata contro Conte. Ma la replica lo gela. “La crisi porta la firma di Salvini. Se gli manca il coraggio politico, me lo assumo io davanti al paese che ci sta guardando”. Concluso il dibattito a Palazzo Madama, Conte sale al Colle per presentare le sue dimissioni che vengono ufficializzate poco dopo le 21. 

 
Ma il 29 già riceve un nuovo incarico. Simbolicamente, il giorno prima il famoso Tweet con cui l’idolo di Salvini Trump ha invece augurato buona fortuna al “rispettato primo ministro della Repubblica Italiana Giuseppi Conti”. Il 4 settembre Conte scioglie la riserva, indicando i ministri. Nove Cinque stelle, nove Pd, un Leu, un indipendente. Il governo giallorosso, viene definito. Ma ormai i Cinque stelle sono una specie di fantasma, come si vede dalla sorte di alcuni dei loro esponenti più contestati. Toninelli salta; al posto di Bonisoli ai Beni culturali va quel Franceschini la cui riforma Bonisoli aveva tentato di smontare; Di Maio è privato di vicepresidenza, Lavoro e Mise per essere esiliato a una Farnesina in teoria di prestigio, ma in cui la sua mancanza di spessore potrà solo risaltare di più. Beffarda nemesi, visto che è Conte che le lingue le sa, sarà l’ex bibitaro a fare la figura del burattino. Più che giallorosso, è il governo Conte-Pd.

  
Il 5 settembre  alle ore 10 il secondo governo Conte giura al Palazzo del Quirinale nelle mani di Mattarella. Mentre una manifestazione convocata di Giorgia Meloni e da Salvini al grido di “elezioni subito” tumultua di fuori, il 9 il governo ottiene la fiducia alla Camera dei deputati con 343 voti a favore, 263 contrari e 3 astenuti. “Con l’intervento di oggi si apre una nuova e risolutrice stagione riformatrice”, promette. L’esaltatore del populismo parla ormai quasi come un nuovo La Malfa. Il 10 ottiene anche la fiducia al Senato con 169 sì, 133 no e 5 astenuti. E l’11 va subito a Bruxelles a vedersi con i massimi vertici dell’Ue. Non più il “burattino” di forze anti Ue, ma un pilastro dell’Unione. “Bello vedere di nuovo il mio buon amico, il premier Giuseppe Conte.  Abbiamo discusso delle priorità dell’Italia in vista del prossimo Consiglio europeo di ottobre”, scrive Tusk su Twitter.

  
Il 23 gennaio del 2020, però, la situazione appare già abbastanza deteriorata, tanto che Bloomberg dedica a Conte un’analisi in cui si parla senza troppe perifrasi di collasso imminente. Come riassume l’articolo, Conte quel giorno ha annullato il suo viaggio al World Economic Forum di Davos, “con la speranza di proiettare un’immagine di business-as-usual a brandelli”. Luigi Di Maio, ministro degli Esteri oggetto di barzellette per la sua manifesta non competenza sul tema, ha dato le dimissioni da leader dei Cinque stelle in seguito al disastro alle regionali umbre del 27 ottobre, dove il primo tentativo di alleanza organica giallorossa è stato sconfitto dalla leghista Donatella Tessi. E’ però rimasto alla Farnesina senza dare le deleghe: salvo quella al Commercio estero per il suo fedelissimo Manlio Di Stefano.  Ma una nuova vittoria della Lega è data per imminente la domenica successiva in Emilia-Romagna, dove Cinque stelle e Pd si presentano divisi. E nell’analisi di Bloomberg il paradossale asso nella manica di Conte è “la fragilità del governo. I suoi membri chiave sanno che se non riusciranno a tenere insieme l’amministrazione, ci saranno elezioni anticipate che sicuramente perderebbero”.

 
In Emilia-Romagna invece il 26 gennaio il piddino Stefano Bonaccini respinge l’assalto della leghista Lucia Borgonzoni. Appena il 3,48 per cento per il candidato dei Cinque stelle: tracollo che comunque blinda il governo, nel senso che rende gli eletti grillini particolarmente freddi all’idea di un voto che li rimanderebbe in massa a casa. Il crollo spinge al contempo gli stessi grillini a cercare disperatamente di recuperare il consenso aumentando l’agitazione su battaglie identitarie come la lotta ai vitalizi, il taglio dei parlamentari o l’abolizione della prescrizione. E il governo per un verso blindato diventa così più agitato che mai.    

 
D’altra parte, a neanche due settimane dell’entrata in carica del governo il 18 settembre Matteo Renzi ha deciso di uscire dal Pd fondando il partito neo-centrista Italia viva, che resta nel governo, ma con l’obiettivo dichiarato di sbarrare il più possibile il passo ai Cinque stelle. E’ anche un’incursione in quello spazio di centro in cui il potenziale “partito di Conte” potrebbe nascere, e non a caso tra i due volano parole pesanti. 
Poco dopo però arriva il Covid-19. Ed è sull’emergenza, con il Parlamento che per forza di cose viene via via esautorato, che Conte costruisce sempre più la sua immagine, con slogan  tra Vittorio Emanuele Orlando dopo Caporetto e Churchill durante la Battaglia d’Inghilterra. Una battaglia insidiosa, in cui il governo Conte è prima alla testa del paese più colpito; poi, quando il contagio si estende al mondo; diventa emblema di un modello di contenimento che sembra reggere; poi con la seconda ondata sembra entrare di nuovo crisi. 

 
Adesso, la sfida di Renzi annuncia un nuovo redde rationem. Il burattino diventato burattinaio proverà a farcela ancora. Ma Conte sa che Renzi non è Salvini. E sa che la partita della fiducia alla Camera e al Senato potrebbe essere meno semplice del previsto. E non è detto che tra Conte e Renzi debba finire necessariamente come con Salvini. Lo spazio per trattare ancora c'è. Conte oggi sembra forte, ma la sua forza passa anche da una prova che il premier di oggi dovrà mettere in campo: mettere da parte la strategia del risentimento e convincersi che l’unico modo che ha il suo governo per restare a galla è scommettere non sulla divisione ma sulla riconciliazione. E le sorprese sono ancora possibili. 

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