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L'italian lifestyle che emerge dalla pandemia

Giuliano Ferrara

Il problema di estetisti, palestre, ristoranti aperti o chiusi. E bonus e ristori. Siamo di fronte a comportamenti, consumi, ricorsi al pubblico erario che garantiscono una fetta  maggioritaria della popolazione. Non facciamo demagogia a buon mercato

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Giorgio Amendola, che era il grande erede di una alta tradizione liberale fattosi antifascista e comunista italiano vero, chiedeva sempre polemicamente agli intellettuali militanti e ai sindacati di dire la verità sulle effettive condizioni di vita e di reddito del popolo lavoratore. Era scandaloso quando affermava che i salari degli anni Sessanta non erano poi così bassi, scandaloso ma vero, autentico, lungimirante. Era per la lotta ma contro la lagna, la manipolazione, il risentimento. Voleva che il suo movimento, il movimento operaio, non fosse una cosa frustrante, una rappresentazione bolsa e insincera. Era per lui la condizione perché la classe dirigente fosse severa e giusta, autorevole e vigorosa.

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Giorgio Amendola, che era il grande erede di una alta tradizione liberale fattosi antifascista e comunista italiano vero, chiedeva sempre polemicamente agli intellettuali militanti e ai sindacati di dire la verità sulle effettive condizioni di vita e di reddito del popolo lavoratore. Era scandaloso quando affermava che i salari degli anni Sessanta non erano poi così bassi, scandaloso ma vero, autentico, lungimirante. Era per la lotta ma contro la lagna, la manipolazione, il risentimento. Voleva che il suo movimento, il movimento operaio, non fosse una cosa frustrante, una rappresentazione bolsa e insincera. Era per lui la condizione perché la classe dirigente fosse severa e giusta, autorevole e vigorosa.

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Fosse vivo oggi, e quanto manca a chi lo amò, sorriderebbe senza cinismo e senza boria per quanto risulta, nella crisi e nella pandemia, del costume e del lifestyle degli italiani. Stiamo alle notizie, alle cifre dei bonus, ai ristori, e vedrete che strana figura o ritratto del paese viene fuori. Estetisti e parrucchieri e palestre e piscine sembrano quel che una volta erano il pane e il companatico dell’immensa classe media. Sono aperti? Non sono aperti? Quanto debbono prendere i gestori in ristori? E’ un po’ come quando si apprende, in caso di fallimento di una compagnia aerea, che i viaggiatori alle Maldive devono essere garantiti o riprotetti, espressione che allude al sacro dovere di tutela sociale delle vacanze.

 

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Poi c’è il bonus per la bici, quello per la tv, quello per gli occhiali, lo smartphone, l’auto e il bagno. Poi il superkit della digitalizzazione, e il bonus centodieci per cento per rifarsi l’ambiente con le banche e lo stato, senza pagare di tasca propria. Nel panorama della distretta nazionale rifulgono poi le seconde case, ormai bene strutturale che segue regole tutte sue per trasferimenti, mobilità interregionale, fisco. Niente di male, niente che si debba guardare con occhio moralistico. Ci sono anche le file della Caritas, gli evidenti abissi di miseria che connotano parte del tessuto sociale. Il virus mette in brutta vista anche questi aspetti.

 

Ma all’ingrosso, sorriderebbe Amendola, il nostro caro Giorgione, bisogna dire che siamo un popolo di consumatori di bellezza, di gadget, che una quantità immensa di italiani non ha il problema delle file della Caritas ma quello della mancanza di un ristorante aperto. E a proposito, non so che fine abbia fatto quella boutade secondo cui i famosi ristori devono corrispondere sì alle perdite di fatturato ma anche ai calcoli sulle imposte dichiarate l’anno prima del virus. Una boutade, appunto. Nessuno ci crede. E la rivolta dei ristoratori è fallita, et pour cause. E’ probabile che molte aziende e molti business abbiano non si dica profittato ma forse, diciamo, colto occasioni buone di assistenza nella deriva pandemica in atto.

 

Così è giusto lamentarsi perché il Prodotto interno lordo è diminuito di nove punti, è evidente che le diseguaglianze sono uno scandalo che perdura e peggiora in recessione, è chiaro che siamo tutti impegnati un in grande slancio nazionale, fatto di lavoro e fervore produttivistico, per porre riparo ai guasti della malattia sociale dominante, tutto questo è anche ironicamente chiarissimo. Ma una persona saggia non dovrebbe chiudere gli occhi di fronte a una scala di comportamenti, di consumi, di ricorsi al pubblico erario che garantisce una fetta decisamente maggioritaria della popolazione e dovrebbe impedire a chiunque di fare della demagogia a buon mercato. La questione sociale italiana, lavoro e consumi compresi, questione del reddito e della produttività, è cosa troppo complicata e varia, a volte anche buffa, se parliamo di segni del lifestyle, per lasciarla a una sociologia d’accatto.  

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