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Così Casalino è diventato il centro della crisi

Salvatore Merlo

Matteo Renzi lo vuole fuori più di Giuseppe Conte, ma lui per il presidente del Consiglio vale più di un ministro

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Quanto vale Rocco? “Vale mezzo governo”, dicono i suoi amici di Palazzo Chigi, perché mai nella storia della Repubblica, mai nell’intrico di mille crisi di governo, tra pretese e rese, scambi di pedine e di sottosegretari, era accaduto che nel corso di una trattativa politica per riequilibrare le forze del governo qualcuno chiedesse la rimozione di un portavoce. Mai era accaduto che un mestiere considerato subalterno e persino ingrato, un lavoro che sotto l’ambigua ma appetibile denominazione di portavoce sempre si è configurato come nudo e crudo sinonimo di porta-croce, balzasse così al centro della scena del potere. Eppure è proprio la giubilazione di Rocco Casalino, il portavoce di Giuseppe Conte, che Matteo Renzi ha chiesto, tra le altre cose, mentre srotolava di fronte ai maggiorenti del Pd il suo papiro di negoziato. L’unica richiesta davvero inaccettabile per Conte, che intanto diceva sì a tutto, pure sui servizi segreti. Tutto tranne che la sostituzione di Rocco. A riprova del fatto che l’ex concorrente del Grande Fratello è davvero passato da essere il cervello politico dei grillini – che per conto loro non ne possedevano – a essere il doppio di Conte, il suo cervello al quadrato, quasi il metronomo della Repubblica. Attore, e non comparsa. Manovratore più che aiutante. Regista delle mosse politiche dell’Avvocato impolitico. Compresa l’ultima e spavalda minaccia  di utilizzare i cosiddetti responsabili contro Italia viva. Una figura di rilievo, centrale, politica, in pratica l’esperimento più riuscito di Gianroberto Casaleggio, l’inventore stralunato  di questa epoca squinternata, il quale sosteneva che ministri, sindaci, deputati e senatori possono essere persone qualsiasi, come pure il presidente del Consiglio. Gente all’incirca raccattata dalla strada. Disoccupati, analfabeti, bibitari, avvocatuzzi. Ma non il comunicatore. Il comunicatore deve essere  quello bravo. Il vero capo è lui. Al punto che nella neolingua casaleggiana e poi grillina erano  i  parlamentari a essere chiamati “portavoce”.   

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Quanto vale Rocco? “Vale mezzo governo”, dicono i suoi amici di Palazzo Chigi, perché mai nella storia della Repubblica, mai nell’intrico di mille crisi di governo, tra pretese e rese, scambi di pedine e di sottosegretari, era accaduto che nel corso di una trattativa politica per riequilibrare le forze del governo qualcuno chiedesse la rimozione di un portavoce. Mai era accaduto che un mestiere considerato subalterno e persino ingrato, un lavoro che sotto l’ambigua ma appetibile denominazione di portavoce sempre si è configurato come nudo e crudo sinonimo di porta-croce, balzasse così al centro della scena del potere. Eppure è proprio la giubilazione di Rocco Casalino, il portavoce di Giuseppe Conte, che Matteo Renzi ha chiesto, tra le altre cose, mentre srotolava di fronte ai maggiorenti del Pd il suo papiro di negoziato. L’unica richiesta davvero inaccettabile per Conte, che intanto diceva sì a tutto, pure sui servizi segreti. Tutto tranne che la sostituzione di Rocco. A riprova del fatto che l’ex concorrente del Grande Fratello è davvero passato da essere il cervello politico dei grillini – che per conto loro non ne possedevano – a essere il doppio di Conte, il suo cervello al quadrato, quasi il metronomo della Repubblica. Attore, e non comparsa. Manovratore più che aiutante. Regista delle mosse politiche dell’Avvocato impolitico. Compresa l’ultima e spavalda minaccia  di utilizzare i cosiddetti responsabili contro Italia viva. Una figura di rilievo, centrale, politica, in pratica l’esperimento più riuscito di Gianroberto Casaleggio, l’inventore stralunato  di questa epoca squinternata, il quale sosteneva che ministri, sindaci, deputati e senatori possono essere persone qualsiasi, come pure il presidente del Consiglio. Gente all’incirca raccattata dalla strada. Disoccupati, analfabeti, bibitari, avvocatuzzi. Ma non il comunicatore. Il comunicatore deve essere  quello bravo. Il vero capo è lui. Al punto che nella neolingua casaleggiana e poi grillina erano  i  parlamentari a essere chiamati “portavoce”.   

   

Allora ben si capisce che non è certo un caso se Matteo Renzi ed Ettore Rosato (“per quanto dovremo ancora sopportare Casalino?”), chiedendone la rimozione  siano finiti con l’attribuire  a Rocco quell’enorme peso politico che d’altra parte  Rocco da tempo già si attribuiva da solo. “Ho la sensibilità di prevedere cosa succederà”, è la frase più rivelatrice dell’unica intervista politica fin qui rilasciata (a Sette) da questo ex acerbo presenzialista tivù che ha ribaltato ruolo e funzione di quella figura che diceva Filippo Sensi, portavoce prima di Renzi e poi di Gentiloni,  “deve essere invisibile”. Citofono, walkie-talkie,   megafono e  parafulmini.   “Io non esisto”, sosteneva  Paolo Bonaiuti mentre stava un passo dietro  a Berlusconi. Non Rocco. Lui non solo esiste, non solo tiene l’agenda e costruisce il clima, ma  fissa anche le cornici dentro il Parlamento,   manovra, e vuole che si sappia. Proprio come quando mesi fa, mentre Conte, Gualtieri e Amendola tornavano vincitori da Bruxelles con il Recovery fund in tasca,  e Rocco recapitava questo messaggio ai giornalisti che attribuivano il successo ai soli ministri: “Tra i campioni del Recovery vi siete dimenticati di me”. Potere vero e potere millantato coincidono, i tempi sono quelli che sono. E la verità è forse che    un tempo,  quando il portavoce diventava voce, quando cioè usciva dall’ombra, veniva subito bacchettato dal suo ministro o dal suo presidente che non voleva certo diventare il portavoce del proprio portavoce. Ma  per Conte  è diverso. Lui è già stato il presidente di due  vicepresidenti. Dunque c’è abituato. 

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