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la crisi di governo

Così Conte prova a imbrigliare Renzi nel calendario

Valerio Valentini

Non solo il Recovery. Il premier punta sugli impegni del governo: dai ristori al Consiglio europeo. Ma il leader di Italia viva guarda al 2023: "Per le prossime elezioni servirà riorganizzare il campo, e non posso accontentarmi di un rimpasto"

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Uno ha messo i sacchi di sabbia alle finestre e rimugina sulle prossime ore, applicando come può quella massima cara a Gianni Letta per cui in politica “bisogna saper guadagnare una settimana per sopravvivere un mese, e poi un mese per sopravvivere un anno”, ed è così che le legislature si portano a termine. L’altro, pur non disdegnando la tattica del momento, e anzi facendo e disfacendo piani di battaglia a seconda del variare degli eventi, giustifica la sua frenesia in virtù di qualcosa che dovrà avvenire nei prossimi anni. L’uno, Giuseppe Conte, guarda il calendario di questo gennaio tribolato. L’altro, Matteo Renzi, pensa al 2023.

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Uno ha messo i sacchi di sabbia alle finestre e rimugina sulle prossime ore, applicando come può quella massima cara a Gianni Letta per cui in politica “bisogna saper guadagnare una settimana per sopravvivere un mese, e poi un mese per sopravvivere un anno”, ed è così che le legislature si portano a termine. L’altro, pur non disdegnando la tattica del momento, e anzi facendo e disfacendo piani di battaglia a seconda del variare degli eventi, giustifica la sua frenesia in virtù di qualcosa che dovrà avvenire nei prossimi anni. L’uno, Giuseppe Conte, guarda il calendario di questo gennaio tribolato. L’altro, Matteo Renzi, pensa al 2023.

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Nel suo fortino di Palazzo Chigi il premier sta asserragliato con timore perfino eccessivo, a fidarsi dei suoi consiglieri che riconoscono che sì, “Giuseppe la sta subendo troppo, questa situazione”. Al punto che sabato è spettato a Dario Franceschini, una volta di più, vestire i panni di colui che tranquillizza il presidente. Il quale, a sapere che Renzi aveva riunito i gruppi di Iv per un incontro serale che pareva il preludio al precipitare degli eventi, sembrava già rassegnato alla conta in Aula, vada come vada. E allora il capo delegazione del Pd ha dovuto convincerlo con una metafora bellica, ricordando cioè che fu proprio quando capirono che bisognava trattare la pace col Vietnam che gli americani intensificarono i bombardamenti su Saigon. Di lì chiamate col Quirinale, di lì una strategia tutta incentrata sugli impegni dei prossimi giorni. E così, nel momento in cui Sergio Mattarella s’è fatto sentire per scongiurare una rottura sul Recovery, sul calendario di Conte s’è allungato un raggio di luce. Perché, superato indenne il Cdm di stasera che dovrà varare il nuovo Pnrr, a quel punto si aprirà il cantiere per il prossimo dpcm sulle chiusure anti Covid. E, sempre tra mercoledì e giovedì, bisognerà formalizzare la richiesta di scostamento di bilancio da licenziare in Parlamento la settimana prossima: 24 miliardi per dare sostanza al quinto decreto “Ristori”. Sul quale, come Renzi ha ribadito anche sabato ai suoi parlamentari, “non faremo certo mancare i numeri”.

 

Di lì, il salvacondotto successivo sarebbe l’Europa a fornirlo: perché il 21 gennaio Charles Michel riunirà i leader dell’Unione per una videocall sul coordinamento nelle misure di contenimento della pandemia. Tutti argomenti su cui pende insomma una sorta di pregiudiziale morale: “Ma veramente Renzi accetta di fare una crisi che metterebbe a rischio l’economia e la salute del paese?”, si domandano a Palazzo Chigi, convinti di poter imbrigliare lo scalpitante senatore di Scandicci, e convinti pure del fatto (veleni che sfuggono negli sfoghi di chi si confida col premier) che di andare all’opposizione Renzi non può permetterselo, “altrimenti si ritrova braccato dalle procure”. Renzi, dal canto suo, segue la logica napoleonica per cui “on s’engage, et puis on voit”, e il suo pensiero sul da farsi si fa sfuggente nel mentre che la crisi s’ingarbuglia.

 

Di certo non crede nella minaccia delle urne, se è vero che ieri sventolava coi suoi deputati e senatori la simulazione di YouTrend che mostrava la suddivisione dei collegi in caso di voto col Mattarellum: un trionfo del centrodestra, con qualche punta di rosso nelle roccaforti di Roma, Firenze e Bologna. “Fatelo vedere a quelli che dicono che il Pd vuole andare a votare”, sentenziava. Però al voto ci pensa eccome, anche Renzi. A quello, però, del 2023. E’ lì la scadenza che conta. E non perché la segreteria generale della Nato non sia una tentazione allettante. E’ che Renzi sa bene, essendoci passato, che ben poco delle sorti dell’Alleanza atlantica passerà da Roma, in vista del cambio al vertice del maggio 2022. Nel 2014, quando era premier, il Rottamatore si sentì pressare anche dall’allora presidente Napolitano per caldeggiare la candidatura di Franco Frattini. Poi una mattina Obama decise per Jens Stoltenberg: e fu chiusa lì.

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E’ semmai pensando alle elezioni del 2023 che Renzi ripete che “non posso accontentarmi di un ministro in più”. Perché, come ha spiegato ai suoi amici toscani del Pd, “a quell’appuntamento bisognerà arrivarci con una riorganizzazione generale del centrosinistra”. E per poter negoziare da una posizione vantaggiosa il suo ingresso in quella “cosa nuova”, Renzi ha bisogno di sedersi al tavolo delle trattative con un peso specifico maggiore. Per questo, dunque, non può accontentarsi di un rimpasto: per questo vuole tentare l’azzardo della crisi per poi vestire i panni del kingmaker, di colui che offre, magari proprio al Pd, la presidenza del Consiglio.

 

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