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Inversione dei ruoli

Matteo Conte e Giuseppe Renzi, la crisi di governo è una commedia degli equivoci

L'uno ha assunto il codice dell'altro per meglio colpirsi

Salvatore Merlo

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Si sono scambiati i ruoli e hanno preso l’uno il linguaggio dell’altro, non per capirsi meglio ma per meglio colpirsi. Così ancora ieri sera, avvitati nel ballo in maschera della crisi di governo, ecco che Matteo Renzi sembrava Giuseppe Conte e Giuseppe Conte sembrava Matteo Renzi. Tanto che il Rottamatore diceva con puntiglio di Avvocato che “abbiamo letto punto per punto le 132 del Recovery e non ci convince”, mentre  l’Avvocato aveva la brutalità del Rottamatore quando spediva avanti la Lezzi per denunciare il teatrino della politica: Renzi è alla ricerca di poltrone, dica cosa vuole. Sembravano già fatti per non capirsi, il meridionale e il toscano, l’azzeccagarbugli e il bullo, ma nessuno poteva immaginare che per mettersi vicendevolmente nel sacco avrebbero messo in scena  una recita così contorta e inebriante da portare l’impolitico Conte a fare manovre di Palazzo per scippare senatori a Renzi e da spingere il comunicatore Renzi ad accusare Conte di stare troppo su Facebook.

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Davanti agli occhi sbigottiti del Pd, che cerca di evitare il duello rusticano tra Renzi e Conte, e mentre il Movimento cinque stelle realizza finalmente il suo principale obiettivo politico, cioè l’uno vale uno (oggi ciascun parlamentare grillino è una scheggia impazzita che viaggia su una sua propria insondabile traiettoria), viene così componendosi il mosaico  di una crisi di governo che al di là delle ragioni di ciascuno, dei rischi concreti e persino dei legittimi interessi, assume tuttavia i tratti del teatro. Con i protagonisti che si travestono, si scambiano i panni in scena, complicano i loro contegni in una commedia infinita di equivoci e stratagemmi. Per cui il professore di Volturara Appula  che aveva incuriosito Merkel e Macron  perché nei Consigli europei aveva dimostrato una ben poco comune passione per il “drafting” e il “wording”, insomma per tutta quella contabilità delle minuzie e dei dettagli tecnici che di solito affligge i politici di professione, si è all’improvviso fatto spiccio: “Fatemi sapere quanti sottosegretari vuole Italia viva”. Mentre l’uomo della disintermediazione e della guerra al grigiore tecnico-burocratico, quello che sbadigliava nelle discussioni sul Bilancio, insofferente com’era di fronte a commi e codicilli, adesso si abbandona seriosamente a frasi del tipo: “Mandateci la vostra bozza e vi faremo avere le nostre controdeduzioni”. E infatti Renzi ha contianamente inviato al presidente del Consiglio un programma per punti affinché se lo studiasse, mentre il presidente del Consiglio ha renzianamente incaricato il suo capo di gabinetto Goracci  di auscultare gli umori delle truppe renziane (“Sappiamo che c’è il tentativo di una campagna acquisti in corso, ma purtroppo non gli sta andando bene al premier”, ha detto ieri il ministro Bellanova).

 

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Alto nei sondaggi, Conte è quasi il Renzi dei tempi d’oro al governo, quando recita in pubblico il ruolo di chi può permettersi di dire che il Palazzo non lo interessa. Mentre Renzi, in difficoltà con il consenso,  è quasi il Conte che tutti hanno fin qui conosciuto, al punto che vorrebbe dare   il colpo di grazia al suo avversario con la sola imposizione dell’“interlocuzione”,  incartando cioè i problemi nell’analisi del Recovery fund, nel linguaggio da azzeccagarbugli – “abbiamo presentato un documento sul Mes” – in pratica tirando la palla ancora un passo più in là. Nella speranza che Conte, rincorrendola, caschi per sempre in una buca.

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