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darsi una calmata

Le polemiche farlocche sulla pandemia

I vaccini che erano in ritardo e che invece non lo sono. I paesi che erano dei modelli e che invece non lo sono. L’Italia terra dei disastri che però forse è stata meno disastro di quanto si creda. Didascalie per capire la crisi italiana

Claudio Cerasa

Si può essere critici nei confronti di ciò che si poteva fare e non si è fatto ma a condizione di non delegittimare gratuitamente un paese solo per portare acqua al mulino della propria propaganda politica: bisognerebbe darsi una calmata.

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Vaccini e non solo: forse bisognerebbe darsi una calmata. Dovrebbero darsela, una calmata, certamente i politici che oggi accusano il governo di essere in ritardo nella gestione della pandemia dopo aver passato l’estate intera (a) a negare la necessità dello stato d’emergenza, (b) a ragionare sull’evidente scomparsa del virus e (c) a discettare sull’inutilità delle mascherine. Ma dovrebbero darsela, una calmata, anche tutti coloro che, con fare tafazziano, non perdono una sola occasione per spiegare, da mesi, la ragione per cui l’Italia nella gestione della pandemia è stata un esempio di inefficienza, di carenze, di errori, di orrori, di sbagli, di arlecchinate, di lentezza e di incapacità multiple.

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Vaccini e non solo: forse bisognerebbe darsi una calmata. Dovrebbero darsela, una calmata, certamente i politici che oggi accusano il governo di essere in ritardo nella gestione della pandemia dopo aver passato l’estate intera (a) a negare la necessità dello stato d’emergenza, (b) a ragionare sull’evidente scomparsa del virus e (c) a discettare sull’inutilità delle mascherine. Ma dovrebbero darsela, una calmata, anche tutti coloro che, con fare tafazziano, non perdono una sola occasione per spiegare, da mesi, la ragione per cui l’Italia nella gestione della pandemia è stata un esempio di inefficienza, di carenze, di errori, di orrori, di sbagli, di arlecchinate, di lentezza e di incapacità multiple.

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Bisognerebbe darsi una calmata, tutti, tifosi del governo e nemici del governo, per provare a dire le cose come stanno e provare a dire che se c’è una cosa che ha dimostrato l’anno del Covid è che durante una pandemia non esistono paesi modello, non esistono formule magiche, non esistono soluzioni miracolose ma esistono, al contrario, paesi con guai molti simili tra loro, costretti a fare i conti principalmente con problemi che riguardano più la struttura interna che la singola organizzazione dei governi. Ci possono essere stati governi più efficienti e governi meno virtuosi, ma quando si ragiona su ciò che è stato finora, con la testa rivolta al numero dei contagi, al numero delle vittime, agli indicatori del pil, non si può far finta di negare che buona parte dei guai dell’Italia abbiano a che fare più con il suo passato che con il suo presente.

 

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E’ vero. L’Italia arriva all’anno nuovo con un numero di morti molto alto, con un numero di contagiati molto alto, con una crescita economica molto bassa, ma ogni tabella che fotografa la situazione dell’Italia è una tabella destinata a essere strumentale se viene presentata senza alcune didascalie. E’ vero. L’Italia ha avuto un numero di morti molto alto ma il numero molto elevato di vittime non ha a che fare con l’inefficienza del sistema sanitario: ha a che fare prima di tutto con la fatalità di essere uno dei paesi con il numero di anziani più alto del mondo (è il secondo più vecchio del mondo, con il 7,5 per cento della popolazione che ha più di ottant’anni, due punti in più rispetto a Inghilterra e Francia, contro una media dei paesi più sviluppati che si aggira attorno al 5 per cento), cosa che si spiega anche grazie alla forza del nostro sistema sanitario (e lo stesso discorso vale per la Lombardia, che è stata una delle regioni più colpite in Europa dal Covid anche perché è una delle regioni con il numero più alto di anziani in Europa). E’ vero. L’Italia nel 2020 ha registrato un crollo del pil superiore rispetto a quello registrato dalla Germania (circa il 9 per cento del pil, secondo alcune stime, contro il -5,6 della Germania) ma la bassa crescita dell’Italia viene purtroppo da lontano (così come il suo debito elevato) e nonostante tutti i problemi già elencati il pil dell’Italia nel 2020 crollerà meno rispetto a quello della Francia (-9,4 per cento) e della Spagna (-12,4 per cento).

 

Yoram Gutgeld, lo ricorderete, è stata una delle menti economiche più vicine a Matteo Renzi, ai tempi della sua esperienza a Palazzo Chigi, con l’ex rottamatore ha ricoperto il ruolo di commissario alla spending review, oggi è tornato a lavorare a McKinsey e qualche giorno fa si è messo a spulciare qualche dato e si è ritrovato a fare qualche calcolo interessante su quella che è la condizione del nostro paese. Lo dice senza rinnegare la sua fede renziana ma lo dice con uno sguardo che tradisce un po’ di stupore rispetto a coloro che non perdono l’occasione di usare la pandemia per raggiungere i propri obiettivi politici. “Mi sono messo a fare un po’ di calcoli – ha detto Gutgled in una conversazione con il foglio.it  – e ho scoperto che il tasso tedesco di mortalità nella fascia di popolazione degli ultraottantenni è il 13 per cento, uguale a quello italiano.

  
“Perché in Italia sono morte più persone che in tutto il resto dell’Europa? Dipende da fattori demografici, siamo il paese più anziano e con la densità più alta, e anche da fattori sociali, da noi i nonni vivono quasi sempre con i nipoti. Non voglio dire che in Italia va tutto bene, ci sono problemi sulla medicina territoriale per esempio, ma abbiamo uno dei sistemi sanitari nazionali migliori al mondo e non sono d’accordo quando sento questi giudizi apocalittici su di noi che siamo gli ultimi al mondo: io dico che l’Italia non ha fatto male”, osserva Gutgeld. Dire che l'Italia sia stata un paese modello (pensiamo al ritardo con cui sono stati fatti i tamponi in massa, pensiamo al ritardo con cui sono stati distribuiti i vaccini anti influenzali, pensiamo al ritardo con cui sono stati organizzati i trasporti, pensiamo al ritardo con cui si è provato a mettere in sicurezza le scuole, pensiamo al ritardo che stiamo accumulando sul Mes) è dire troppo.

 

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Ma dire che l’Italia, nella gestione della pandemia, ha avuto, grazie alla forza del suo sistema sanitario, grossomodo gli stessi problemi che hanno avuto molti altri paesi considerati modello (la Gran Bretagna viaggia al ritmo di 50 mila contagiati al giorno ed è di nuovo in lockodwn, la Francia viaggia al ritmo di 800 morti al giorno e non ha ancora iniziato la sua campagna di vaccinazione, la Germania viaggia al ritmo di 900 morti al giorno e ha prorogato il suo stato di emergenza) è provare a ragionare sulla realtà (ragionamento che non esclude il fatto che sul tema della ricostruzione del paese sia necessario cambiare schema di gioco) ed è provare a non darsi gratuitamente delle bastonate in mezzo alle gambe.

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Cosa che invece in molti stanno provando a fare non solo rispetto a ciò che è accaduto nel recente passato (la gestione della pandemia) ma anche rispetto a ciò che sta succedendo nel presente (la gestione dei vaccini). La domanda legittima che in molti si sono posti in questi giorni è se in Italia vi sia o no un ritardo nella distribuzione dei vaccini e la risposta che si può provare a dare questa domanda osservando il modo in cui il nostro paese, dal momento in cui li ha ricevuti, ha iniziato a somministrare le 470 mila dosi ricevute ogni settimana dalla Pfizer (ogni paese europeo dal 28 dicembre ne ha ricevuti un numero identico in proporzione ai suoi abitanti: all’Italia spetta il 13,45 per cento) è che il ritardo non c’è.

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Avere a disposizione 470 mila dosi a settimana significa farne almeno 67 mila al giorno. Nella giornata di martedì le dosi somministrate senza sforzi particolari sono state 80 mila (nella stessa giornata in Germania sono state 45 mila), l'Italia nella giornata di martedì ha vaccinato lo 0,13 per cento della popolazione (la Germania lo 0,05), tra domenica e martedì l'Italia ha vaccinato 190 mila persone (la Germania 113 mila) e con le dosi registrate ieri la percentuale di popolazione vaccinata dall'Italia è arrivata a quota 0,43 per cento (la Germania è allo 0,44 per cento).

 

 

E se il vaccino AstraZeneca verrà approvato a gennaio dall’Ema, l’Italia potrà aggiungere alle dosi già previste di Moderna (il cui vaccino, approvato ieri, arriverà   nel primo trimestre per una quota pari a 1,3 milioni di dosi) anche quelle già ordinate del vaccino italo-inglese (la quota destinata all’Italia del vaccino di AstraZeneca sarà pari a 8 milioni, la metà di quelle preventivate in realtà dal piano nazionale dei vaccini) arrivando a poter somministrare circa 160 mila dosi al giorno (a partire da febbraio, gli over 65 per sapere quando potranno vaccinarsi verranno chiamati direttamente dal proprio medico di medicina generale). L’Italia non è stata un paese modello ma trovare un paese modello nella gestione della pandemia non è semplice e per capire perché ai professionisti dell’agenda Tafazzi sarebbe sufficiente dare uno sguardo alla classifica stilata la scorsa settimana dal Wall Street Journal sui paesi più efficienti nella gestione della pandemia.

 

Nella sua edizione del weekend, il Wall Street Journal ha fatto due calcoli e ha compilato una classifica intelligente dedicata ai paesi che meglio si sono comportati durante la pandemia. Il Wall Street Journal ha scelto solo piccoli paesi (Hong Kong, Finlandia, Danimarca). Ha scelto per lo più isole (Nuova Zelanda e Taiwan). Ha scelto per lo più paesi asiatici (anche la Corea del sud, per la sua capacità di testare) abituati da tempo a usare la mascherina. E ci ha offerto così un elemento ulteriore per dire che con la pandemia funziona così: si può essere critici nei confronti di ciò che si poteva fare e non si è fatto ma a condizione di non delegittimare gratuitamente un paese solo per portare acqua al mulino della propria propaganda politica. Bisognerebbe darsi una calmata.  

 

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