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“Ecco come si costruisce l’unità nazionale”. Parla Monti

Claudio Cerasa

È il tempo dei costruttori, ha scandito Mattarella. Mario Monti, che ha guidato l’Italia in un periodo di crisi e rilancio, ci spiega perché la maggioranza allargata “è utile, non è difficile e può aiutare il paese a riparare il motore pieno di ruggine”

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È tempo di costruttori, già, ma in che senso? Nel suo discorso di fine anno, il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha scelto di sottolineare per ben due volte un verbo che per forza di cose sarà doverosamente al centro dell’agenda politica nell’anno appena iniziato: costruire. Dice Mattarella che no, l’Italia non vive in una parentesi della storia, che quello che è capitato nell’anno passato ce lo porteremo sulle spalle ancora a lungo e che per questo la stagione che ci attende è quella in cui i protagonisti dovranno essere i costruttori del futuro. I prossimi mesi, ha detto Mattarella, rappresentano un passaggio decisivo per uscire dall’emergenza e per porre le basi di una stagione nuova. Non sono ammesse distrazioni. Non si deve perdere tempo. Non vanno sprecate energie, e opportunità, per inseguire illusori, vantaggi di parte, affinché le preoccupazioni possano trasformarsi nell’energia, necessaria, per ricostruire e per ripartire. Già, ma come? E con quali idee? E con quali progetti? E con quali formule? E con quali vizi da superare? Abbiamo provato a sviluppare questi temi con un ex presidente del Consiglio come Mario Monti, che forse più di chiunque altro negli ultimi anni ha governato in una stagione a metà tra il collasso e la ricostruzione e nella nostra chiacchierata con il senatore a vita abbiamo affrontato, senza tabù, alcuni dei punti sollevati dal presidente della Repubblica.

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È tempo di costruttori, già, ma in che senso? Nel suo discorso di fine anno, il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha scelto di sottolineare per ben due volte un verbo che per forza di cose sarà doverosamente al centro dell’agenda politica nell’anno appena iniziato: costruire. Dice Mattarella che no, l’Italia non vive in una parentesi della storia, che quello che è capitato nell’anno passato ce lo porteremo sulle spalle ancora a lungo e che per questo la stagione che ci attende è quella in cui i protagonisti dovranno essere i costruttori del futuro. I prossimi mesi, ha detto Mattarella, rappresentano un passaggio decisivo per uscire dall’emergenza e per porre le basi di una stagione nuova. Non sono ammesse distrazioni. Non si deve perdere tempo. Non vanno sprecate energie, e opportunità, per inseguire illusori, vantaggi di parte, affinché le preoccupazioni possano trasformarsi nell’energia, necessaria, per ricostruire e per ripartire. Già, ma come? E con quali idee? E con quali progetti? E con quali formule? E con quali vizi da superare? Abbiamo provato a sviluppare questi temi con un ex presidente del Consiglio come Mario Monti, che forse più di chiunque altro negli ultimi anni ha governato in una stagione a metà tra il collasso e la ricostruzione e nella nostra chiacchierata con il senatore a vita abbiamo affrontato, senza tabù, alcuni dei punti sollevati dal presidente della Repubblica.

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La prima domanda che rivolgiamo a Monti ha a che fare con un problema non da poco con cui dovranno fare i conti i costruttori del futuro. Perché, per quanto si possa essere ottimisti sul nuovo anno, l’Italia si avvicina alla fase della ricostruzione in una posizione più di debolezza che di forza: ha uno dei debiti pubblici più alti del mondo (nel 2021 sfonderà quota 158 per cento del rapporto deficit pil), ha una delle crescite più basse d’Europa (il pil tornerà ai livelli pre pandemia non prima del 2023) e ha sulle spalle uno dei più alti numeri di morti per Covid registrati durante il 2020 (terzo al mondo, ogni 100 mila abitanti, subito dopo Belgio e Perù). Chiediamo al professor Monti: vaccino a parte, c’è ragione per essere ottimisti rispetto all’anno che verrà? “No. Questa immensa tragedia umana sta proseguendo a ritmi terribili, ai quali non possiamo abituarci. Dal punto di vista dell’economia, le vaccinazioni dovrebbero aiutare nella ripresa delle attività e della fiducia, ma ci vorrà tempo. Intanto, in tutti i paesi la pandemia continuerà ad esplicare i suoi effetti recessivi, mitigati soltanto da iniezioni senza precedenti di denaro pubblico (spesa in disavanzo ed espansione monetaria). Ma mentre in molti paesi il motore della crescita esiste e riprenderà a girare, in Italia quel motore era già pieno di ruggine e difficilmente ripartirà. E l’enorme disavanzo pubblico aggiuntivo va in parte, come negli altri paesi, a ristorare i più danneggiati dalle forzate chiusure, ma nel caso italiano va in larga parte ad alimentare l’idraulica dei bonus”.

 

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Sarebbe a dire? “Da quattro o cinque anni il sistema Italia non si è specializzato in questa o quella produzione innovativa, bensì nell’inventare sempre nuovi canali per trasferire a questa e quella categoria infiniti tipi di bonus. Sono trasferimenti correnti che di solito non rispondono ad una logica economica o redistributiva seria; sono però accomunati da strategie serissime di ricerca del consenso elettorale. Quando cambiano le maggioranze, magari si modifica un po’ la destinazione dei bonus esistenti, ma in genere gli entranti introducono nuovi bonus e nuovi canali e se li intestano. Ma non eliminano i preesistenti. E’ così, forse, in omaggio all’unico principio sul quale vige di fatto una non dichiarata unità nazionale: ‘se vogliamo prendere voti, dobbiamo pur dare qualcosa in cambio’. Qualcosa dello stato, naturalmente, tanto più che se promettessimo del nostro rischieremmo un reato”.

  

A proposito di costruttori, professore, quali sono oggi i tre vizi che l’Italia deve mettere a fuoco, in economia, per evitare che l’anno nuovo diventi un insieme di occasioni perse piuttosto che un insieme di opportunità colte? “Primo vizio da evitare: pensare che maggiore spesa pubblica, finanziata in parte da debiti a costo bassissimo e in parte da donazioni, generi di per sé crescita e occupazione. Secondo vizio: diffidare dell’Europa che porta ingenti risorse, come si è diffidato dell’Europa che chiedeva risanamento dei conti e riforme. Terzo vizio: dimenticare che anche questa volta l’Europa chiede risanamento dei conti e riforme, che sono nel nostro interesse, e che questa volta avrà anche l’autorità morale per esigerli”.

 

A proposito di Europa e a proposito di futuro. Gli ultimi mesi del 2020 sono stati caratterizzati da una vivace, diciamo così, polemica relativa al futuro della cabina di regia del Recovery fund. La convince l’approccio scelto dal governo? Come si fa a creare una struttura capace di fare i conti con gli infiniti colli di bottiglia che tengono in ostaggio il nostro paese? “Mi pare che il governo debba ancora fare la scelta finale”. Prosegue Monti: “La mia opinione è quella che ho esposto con Fabrizio Barca in un recente articolo (Corriere della Sera, 13 dicembre). Sarei contrario a una macchina parallela e sovrapposta alle amministrazioni pubbliche. Occorre un forte governo nazionale dell’attuazione, che abbia in una snella squadra tecnica di servizio del referente unico, chiesto dalla Ue, il mezzo per identificare quotidianamente gli ostacoli e indicare le soluzioni. Ma l’indirizzo dei processi, la responsabilità per la fissazione e l’attuazione dei target e dei loro cronoprogrammi, l’impulso ordinario all’intera filiera attuativa devono venire dai vertici delle amministrazioni centrali responsabili, in collegamento costante con le regioni. Sono questi vertici e le loro strutture che, ove necessario, vanno sostituiti senza esitazioni, anche con immissioni esterne opportunamente selezionate”.

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Ancora a proposito di Recovery, caro professore. In Italia, negli ultimi mesi, ci si è divisi molto tra chi sostiene che i soldi dei prestiti europei, loan, debbano essere sostitutivi di debiti già previsti (linea Mef) e chi dice che devono invece essere rigorosamente aggiuntivi (linea Renzi). Ci chiediamo: se si prendessero tutti i prestiti come aggiuntivi, non si rischierebbe un mezzo default? “Se non sbaglio, non c’è una precisa prescrizione della Ue a tale riguardo. Se il Mef segue una linea di cautela, immagino che lo faccia per due ragioni. In primo luogo, i prestiti del Recovery fund – benché siano debiti nei confronti dell’Europa e da questa pre-assegnati all’Italia senza che il Tesoro debba competere nel mercato con altri emittenti – andrebbero pur sempre ad accrescere il debito complessivo dello stato. In secondo luogo, se dovesse ripresentarsi lo storico problema dello scarso e lento utilizzo dei fondi, verosimilmente esso verrebbe imputato in primo luogo al Mef. E’ possibile che altri, non trovandosi esposti in prima linea come il Mef e il ministro che lo guida, considerino invece un’opportunità mancata un eventuale utilizzo non pieno dei prestiti”.

 

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Dal punto di vista sanitario, che cosa la preoccupa della gestione sul piano dei vaccini? E che senso ha per un paese come il nostro accedere al fondo Sure dicendo no al fondo Mes? “Quanto alla campagna di vaccinazione, si tratta ovviamente di un’operazione molto complessa. Potranno esserci difficoltà tecnico-logistiche. Ma quel che temo di più è che una confusione mista a scetticismo si impossessi dei cittadini se – al di là di un’approfondita e doverosa informazione – verranno esposti per mesi a una serie infinita di talk-show televisivi, che vivono di certezze urlate da incompetenti e di duelli sofisticati tra competenti. Quanto al Mes sanitario, mi sono espresso fin dall’inizio in favore dell’utilizzo, magari con gradualità per quanto riguarda gli importi. Lo considero un passo importante verso la ragione e il buon senso che il governo e la maggioranza abbiano rimosso il veto italiano alla riforma del Mes, che non riguardava la linea di credito sanitaria ma era stata anch’essa buttata nel pentolone non già dell’ideologia (magari ce ne fosse in giro di più!) ma della confusione creata dal contatto tra giovani sovranisti e maturi ex ministri dediti alla manipolazione dei fatti”.

 

Nel suo ultimo intervento al Senato, lei ha fatto i complimenti al presidente Conte per come è riuscito sui temi europei a traghettare il M5s lontano dall’anti europeismo. Che giudizio dà dell’operato del presidente? Risposta secca: promosso o bocciato? “Il Conte 1, senz’altro bocciato. Il Conte 2, senz’altro promosso. Tendenza: miglioramento”.

 

Pensa anche lei che sia auspicabile lavorare in Parlamento affinché vi sia una maggioranza allargata che gestisca la ricostruzione del paese? “Sì. Sarebbe stato auspicabile già per far fronte alla pandemia. Nella fase della ricostruzione lo sarà ancora di più. Dal punto di vista della struttura economico-sociale del paese dovrebbe trattarsi di una fase costituente. E le costituzioni devono accogliere, in modo organico, il contributo di tutti. Oltre che più necessaria, una maggioranza molto ampia, tendente all’unità nazionale, potrebbe anche rivelarsi meno difficile. Governo e Parlamento avranno molte risorse da dare, cosa politicamente più gradevole che doverne togliere, come è stato purtroppo inevitabile per sconfiggere la crisi finanziaria dieci anni fa. Speriamo che la politica riesca a creare, pur in epoca di erogazione, un’unità nazionale che sia seria e rigorosa, nell’indirizzare l’impiego delle risorse. Altrimenti la ricostruzione non avverrà oppure sarà ricostruzione della vecchia struttura, che anche prima della crisi pandemica non era capace di generare né crescita né equità”.

   

Il 2020, se vogliamo, ha in qualche modo dimostrato che tutto ciò che il populismo intravedeva come un sogno in realtà non ha fatto altro che diventare un incubo (pensi alla chiusura) e alla luce di quello che abbiamo visto nei mesi passati potremmo sbilanciarci e dire che il populismo, pandemia o non pandemia, un merito lo ha avuto: costringerci a scegliere, in ogni occasione, da che parte stare. Pensa anche lei che i populisti italiani per provare ad avere un futuro devono ripensare se stessi? E pensa che possa esistere un futuro per i populismi nazionalisti come quelli incarnati da Meloni e Salvini? “I populisti e i sovranisti, per la verità, hanno avuto anche un altro merito: il timore che essi vincessero alle elezioni europee del maggio 2019 ha contribuito a far sì che le famiglie politiche tradizionalmente europeiste – popolari, socialisti, liberali – abbiano cercato di far funzionare meglio la UE anziché perseguire in primo luogo i rispettivi interessi politici nazionali. Se, dopo l’exploit dovuto alla pandemia e al tandem Merkel-von der Leyen, la Ue manterrà una buona performance, sarà difficile che i populismi nazionalisti abbiano molta presa. Ma la Ue ha ancora tanti progressi da realizzare”.

 

Professore, lei in passato ha coniato una bella definizione, la leadership che si costruisce guidando i follower e la leadership che si costruisce facendosi guidare dai follower, la followership. Esistono secondo lei in Italia leader non ostaggi della followership? “Onestamente, non sono in grado di giudicare. Ma credo difficile che la situazione evolva verso una visione più matura della politica, e più utile al paese, finché i commentatori della politica sono i primi a valutare i politici essenzialmente secondo la loro capacità di conquistare e mantenere voti e potere, invece di mettersi dalla parte dei cittadini e valutare i politici secondo il bene o il male che, a giudizio del commentatore, essi fanno all’interesse generale del paese”.

 

Possiamo dire che il 2020 ha dimostrato che la protezione di un paese come l’Italia è direttamente legata alla capacità di non diffidare del vincolo esterno e di affidarsi alla sovranità europea anche a costo di perdere un po’ della propria sovranità? “Assolutamente sì la sovranità che si perde, in un mondo integrato, è di solito una sovranità teorica, formale, che in pratica non c’era più. Quella che si guadagna a livello europeo tende ad essere una sovranità reale. Certo, gestirla in comune richiede più impegno e capacità che fingere di gestirla a livello nazionale”. Europa, solidarietà, unità, coesione, fiducia e responsabilità. La ricostruzione dell’Italia, in fondo, non può che partire da qui. Buon anno a tutti.

 

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