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Strategia, non tatticismi

Sergio Silvestrini

Su Mes e Recovery plan la politica si perde in polemiche sterili. C’è tanto da imparare dalle Pmi

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Le ultime settimane hanno offerto positivi risultati nel potenziamento degli strumenti comunitari, confermando tuttavia quanto sia impegnativo il percorso. Il Consiglio europeo ha sbloccato il bilancio pluriennale e il Next Generation Eu superando i veti di Polonia e Ungheria, ha potenziato gli impegni per la transizione green al 2030 e ha sancito la riforma del Mes che aveva avuto il via libera dall’Eurogruppo.

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Le ultime settimane hanno offerto positivi risultati nel potenziamento degli strumenti comunitari, confermando tuttavia quanto sia impegnativo il percorso. Il Consiglio europeo ha sbloccato il bilancio pluriennale e il Next Generation Eu superando i veti di Polonia e Ungheria, ha potenziato gli impegni per la transizione green al 2030 e ha sancito la riforma del Mes che aveva avuto il via libera dall’Eurogruppo.

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Anche dalla politica monetaria sono arrivati segnali importanti. La Bce ha confermato l’indirizzo espansivo, assicurando agli stati dell’Eurozona e al sistema bancario una fase di abbondante liquidità fino a tutto il 2023. La Bce proseguirà gli acquisti di attività finanziarie (da titoli di stato a obbligazioni societarie) senza limiti prefissati e, almeno fino a marzo del 2022, continuerà gli acquisti per l’emergenza pandemica (Pepp), per un impegno totale superiore a 2.200 miliardi alla fine del 2023. Inoltre la Bce rafforzerà fino alla metà del 2022 i rifinanziamenti a tassi di interesse negativo alle banche per garantire un’adeguata offerta di prestiti all’economia reale.

 

Adesso è quanto mai necessario che tale orientamento fortemente espansivo sia accompagnato da misure coerenti con la fase di emergenza, cancellando le norme sul default che scatteranno il mese prossimo e rivedendo le linee guida sulle moratorie da parte dell’Autorità bancaria europea (Eba). E’ evidente che il pendolo della regolamentazione bancaria deve privilegiare in questa fase complicata la necessità di fornire ossigeno all’economia rispetto ai vincoli per la stabilità finanziaria. Le istituzioni europee e i paesi dell’area euro sono chiamati a chiudere in modo definitivo la stagione dell’austerità che ha prodotto risultati fortemente negativi fino a mettere in discussione la stessa sopravvivenza dell’euro. Le nuove regole sul default sono tra i residui tossici di quella stagione miope. Norme concepite per prevenire i rischi patrimoniali del sistema bancario ma che finiscono per diventare una spada di Damocle per artigiani, imprese, famiglie e le stesse banche. Cancellare quelle norme e superare i rigidi e sproporzionati meccanismi del calendar provisioning per valutare il merito di credito sarebbe un importante segnale di rinnovata attenzione nei confronti delle micro e piccole imprese.

 

Una nuova ed efficace politica europea per le Pmi è un’esigenza che non riguarda solo l’Italia ma l’intero tessuto produttivo europeo. E’ emblematico che sull’altra sponda dell’Atlantico si stia discutendo un pacchetto di misure di stimolo da 900 miliardi di cui oltre 300 miliardi di dollari destinati alle micro imprese. E tuttavia la nuova architettura del Mes e la governance per l’utilizzo dei fondi europei hanno innescato una fase di fibrillazioni del clima politico, di cui non si avvertiva la mancanza, confermando l’antico vizio italiano che i tatticismi tendono a prevalere sulle strategie e sulla visione di medio e lungo termine. In quest’ottica, il confronto interno sulla riforma del Mes è apparso piuttosto povero. I pregiudizi politici sono stati la stella polare del dibattito. Il risultato è che all’opinione pubblica non sono state offerte spiegazioni chiare e convincenti sia dai più duri oppositori e sia dai più accesi favorevoli.

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Da un’analisi sul merito emergono invece elementi positivi come la creazione di un backstop per assicurare liquidità ai processi di risoluzione bancaria, mentre rimane l’aspetto “politicamente negativo” del Meccanismo di stabilità: non essere uno strumento inserito nel quadro normativo europeo. Tuttavia partendo dalla considerazione che uno strumento accentrato di gestione delle crisi di debito è opportuno, la conclusione è che la politica italiana dovrebbe impegnarsi per modificare gli elementi problematici del Mes con l’obiettivo di rafforzarlo e non di cancellarlo. Anche sul fronte del Recovery plan, il confronto interno si è completamente concentrato sulla governance. Si tratta di un aspetto cruciale per gestire i 209 miliardi ma subordinato rispetto al contenuto del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr).

 

Inoltre, anche immettendo nuova e competente tecnocrazia nell’apparato pubblico servono alcuni radicali interventi in termini di semplificazione delle procedure burocratiche. Le bozze più recenti del Pnrr appaiono ancora carenti nell’articolazione e nella tempistica dei progetti. Nei fatti è un documento programmatico, simile al Def, dove sono aggregate le missioni-ipotesi senza fornire dettagli degli interventi. Esemplificativo è il confronto tra il piano italiano e quello francese su un obiettivo condiviso: la riqualificazione energetica degli edifici. Il Pnrr indica una dotazione di 40 miliardi ma non fornisce alcun progetto di spesa. Il piano France Relance stanzia 8 miliardi di euro per gli interventi sugli edifici pubblici e sono stati già individuati gli oltre 4.200 immobili con relativo tipo di intervento. Anche le stime macroeconomiche contenute nel piano appaiono improntate all’indeterminatezza. I 105,5 miliardi per interventi “additivi” produrrebbero nel 2026 un aumento del pil di appena 41 miliardi nello scenario migliore e 19 miliardi in quello peggiore. Un effetto moltiplicatore decisamente contenuto. Di contro l’impatto delle riforme sarebbe molto più consistente, quasi 60 miliardi di effetto cumulato sul pil al 2026.

 

L’approccio filosofico del Pnrr è condivisibile. La premessa è immaginare quale paese vogliamo tra un decennio e le missioni-azioni per rigenerare l’Italia. In quest’ottica la sostenibilità economica, sociale e ambientale rappresenta un riferimento essenziale. Ma non va scambiata con il vero obiettivo che il paese insegue vanamente da un ventennio: tornare a crescere a ritmi simili a quelli degli altri partner europei. Sarà questo il metro con il quale le istituzioni internazionali, i mercati finanziari e i cittadini misureranno gli effetti del Pnrr. Le nostre imprese stanno dimostrando una straordinaria, e forse impensabile, capacità di resistere. Alla politica chiedono di accantonare i tatticismi.

 

Sergio Silvestrini, Segretario generale Cna

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