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"Et si on arrêtait les conneries”

Governo, crisi e futuro. Basta, è ora di farsi capire

Claudio Cerasa

I quattro scenari ideati da Renzi, lo schema sognato da Giorgetti e il mistero di una crisi incomprensibile

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Più che fate presto, fatevi capire. La particolarità della pazza fase politica che sta vivendo in queste ore l’Italia è che, a differenza delle crisi passate, la crisi attuale, quella che sta dividendo la maggioranza rossogialla, ha una caratteristica per certi versi unica e straordinaria: si capisce bene cosa ci sia in ballo, ovvero il futuro di Conte, ma non si capisce altrettanto bene su quali punti gli avversari di Conte vogliano tirare in ballo il premier. In ballo, naturalmente, c’è il piano del Recovery, che tutti vorrebbero più ambizioso. C’è l’utilizzo della linea di credito per le spese sanitarie del Mes, che al governo, a parte il M5s, tutti vorrebbero attivare (e non si capisce cosa diavolo si aspetti ancora). C’è il futuro delle riforme istituzionali, che a parte il M5s , quasi tutti vorrebbero accelerare. C’è il rapporto con i servizi segreti, che sia il Pd sia Renzi sia il M5s vorrebbero allontanare da Conte. Ma al fondo della polemica portata avanti in queste settimane da Matteo Renzi – la delegazione del suo partito è stata ieri sera a colloquio a Palazzo Chigi con Giuseppe Conte – c’è qualcosa di più che ha a che fare con la misteriosa figura del premier, accusato dai suoi avversari di non voler esercitare a fondo i suoi poteri e di volere però esercitare diabolicamente anche i pieni poteri. L’indecisionismo di Conte è un tema interessante e anche reale ma la ragione per cui in questa stagione della politica sembra essersi creata un’alleanza magica fra tutti gli avversari di Conte è che tutti i nemici del presidente del Consiglio oggi stanno lavorando affinché l’ex avvocato del popolo torni a essere quello che fu ai tempi del non fortunatissimo governo gialloverde. Ovverosia, un po’ meno premier e un po’ vice dei suoi vice. E’ possibile che tutto questo non accada (se qui dovessimo scommettere un euro, o una tazza del Foglio, scommetteremmo sul fatto che sarà questa maggioranza a traghettare il paese fino alla fine naturale della legislatura) ma per capire cosa potrebbe capitare nel caso in cui gli antagonisti di Conte dovessero decidere di forzare la mano (chi non vorrebbe contare di più quando ci sono in ballo 209 miliardi di euro dell’Europa e nomine di stato importanti e imminenti come quelle dei vertici di Cdp?) è utile mettere insieme i quattro scenari possibili per il futuro descritti ieri pomeriggio agli amici da Matteo Renzi. Il primo scenario, quotato al 45 per cento, è che subito dopo la pausa natalizia, a metà gennaio, Renzi ritiri i suoi ministri e costringa Conte ad avviare un rimpasto robusto accettando non solo un riequilibrio (indovinate chi vorrà contare di più?) ma anche un commissariamento soft di Palazzo Chigi con al fianco del premier due vice  (Luigi Di Maio e Andrea Orlando, se Nicola Zingaretti volesse restare ancora alla guida della regione Lazio). Il secondo scenario, quotato al 40 per cento, prevede la nascita di un governo sul modello Draghi, non con Draghi ma con un profilo che si trova a metà tra l’ex presidente della Corte costituzionale Marta Cartabia e l’attuale membro del board della Bce Fabio Panetta, che permetterebbe di allargare la maggioranza anche a Forza Italia e persino alla Lega. E’ questa la soluzione che vorrebbe Gianni Letta. Ed è questa la soluzione che considera possibile anche Giancarlo Giorgetti, che conferma al Foglio la sua idea: “La vera alternativa a questo governo non sono le elezioni ma un governo per così dire di scopo con tutti dentro destinato a scrivere il piano del Recovery e portarci alle elezioni dopo la scelta del presidente della Repubblica”. Il terzo scenario, quotato da Renzi al dieci per cento, è un governo a guida Pd, con Nicola Zingaretti premier e Luigi Di Maio vice, che permetterebbe a questa maggioranza di allargare il suo perimetro anche a pezzi di Forza Italia. L’ultimo scenario, cinque per cento, è un governo di centrodestra, sostenuto però più da pezzi del M5s, alla Buffagni, i nostalgici dei bei tempi gialloverdi, che dal partito di Renzi. Le geometrie della crisi, per quanto tutte difficili da immaginare, sono dunque molto chiare ma l’impressione che si ricava dalla dialettica interna alla maggioranza è che i protagonisti della quasi crisi, premier compreso, abbiano in testa più tattiche per cambiare schema che strategie per cambiare il paese. Più che fare presto, per la maggioranza, è arrivata la fase del farsi capire, di comprendere cosa vuole, di capire come non sprecare il suo tempo (da imparare a memoria il discorso tenuto mercoledì dal governatore di Bankitalia Ignazio Visco, che pubblichiamo oggi nell’inserto II) prendendo in considerazione una splendida frase immortalata anni fa sulla copertina di un libro francese scritto da Hervé Algalarrondo e Daniel Cohn-Bendit: “Et si on arrêtait les conneries”. Traduzione: “E se la finissimo di sparare cazzate?”. Forse, per tutti, varrebbe la pena partire da qui.

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Più che fate presto, fatevi capire. La particolarità della pazza fase politica che sta vivendo in queste ore l’Italia è che, a differenza delle crisi passate, la crisi attuale, quella che sta dividendo la maggioranza rossogialla, ha una caratteristica per certi versi unica e straordinaria: si capisce bene cosa ci sia in ballo, ovvero il futuro di Conte, ma non si capisce altrettanto bene su quali punti gli avversari di Conte vogliano tirare in ballo il premier. In ballo, naturalmente, c’è il piano del Recovery, che tutti vorrebbero più ambizioso. C’è l’utilizzo della linea di credito per le spese sanitarie del Mes, che al governo, a parte il M5s, tutti vorrebbero attivare (e non si capisce cosa diavolo si aspetti ancora). C’è il futuro delle riforme istituzionali, che a parte il M5s , quasi tutti vorrebbero accelerare. C’è il rapporto con i servizi segreti, che sia il Pd sia Renzi sia il M5s vorrebbero allontanare da Conte. Ma al fondo della polemica portata avanti in queste settimane da Matteo Renzi – la delegazione del suo partito è stata ieri sera a colloquio a Palazzo Chigi con Giuseppe Conte – c’è qualcosa di più che ha a che fare con la misteriosa figura del premier, accusato dai suoi avversari di non voler esercitare a fondo i suoi poteri e di volere però esercitare diabolicamente anche i pieni poteri. L’indecisionismo di Conte è un tema interessante e anche reale ma la ragione per cui in questa stagione della politica sembra essersi creata un’alleanza magica fra tutti gli avversari di Conte è che tutti i nemici del presidente del Consiglio oggi stanno lavorando affinché l’ex avvocato del popolo torni a essere quello che fu ai tempi del non fortunatissimo governo gialloverde. Ovverosia, un po’ meno premier e un po’ vice dei suoi vice. E’ possibile che tutto questo non accada (se qui dovessimo scommettere un euro, o una tazza del Foglio, scommetteremmo sul fatto che sarà questa maggioranza a traghettare il paese fino alla fine naturale della legislatura) ma per capire cosa potrebbe capitare nel caso in cui gli antagonisti di Conte dovessero decidere di forzare la mano (chi non vorrebbe contare di più quando ci sono in ballo 209 miliardi di euro dell’Europa e nomine di stato importanti e imminenti come quelle dei vertici di Cdp?) è utile mettere insieme i quattro scenari possibili per il futuro descritti ieri pomeriggio agli amici da Matteo Renzi. Il primo scenario, quotato al 45 per cento, è che subito dopo la pausa natalizia, a metà gennaio, Renzi ritiri i suoi ministri e costringa Conte ad avviare un rimpasto robusto accettando non solo un riequilibrio (indovinate chi vorrà contare di più?) ma anche un commissariamento soft di Palazzo Chigi con al fianco del premier due vice  (Luigi Di Maio e Andrea Orlando, se Nicola Zingaretti volesse restare ancora alla guida della regione Lazio). Il secondo scenario, quotato al 40 per cento, prevede la nascita di un governo sul modello Draghi, non con Draghi ma con un profilo che si trova a metà tra l’ex presidente della Corte costituzionale Marta Cartabia e l’attuale membro del board della Bce Fabio Panetta, che permetterebbe di allargare la maggioranza anche a Forza Italia e persino alla Lega. E’ questa la soluzione che vorrebbe Gianni Letta. Ed è questa la soluzione che considera possibile anche Giancarlo Giorgetti, che conferma al Foglio la sua idea: “La vera alternativa a questo governo non sono le elezioni ma un governo per così dire di scopo con tutti dentro destinato a scrivere il piano del Recovery e portarci alle elezioni dopo la scelta del presidente della Repubblica”. Il terzo scenario, quotato da Renzi al dieci per cento, è un governo a guida Pd, con Nicola Zingaretti premier e Luigi Di Maio vice, che permetterebbe a questa maggioranza di allargare il suo perimetro anche a pezzi di Forza Italia. L’ultimo scenario, cinque per cento, è un governo di centrodestra, sostenuto però più da pezzi del M5s, alla Buffagni, i nostalgici dei bei tempi gialloverdi, che dal partito di Renzi. Le geometrie della crisi, per quanto tutte difficili da immaginare, sono dunque molto chiare ma l’impressione che si ricava dalla dialettica interna alla maggioranza è che i protagonisti della quasi crisi, premier compreso, abbiano in testa più tattiche per cambiare schema che strategie per cambiare il paese. Più che fare presto, per la maggioranza, è arrivata la fase del farsi capire, di comprendere cosa vuole, di capire come non sprecare il suo tempo (da imparare a memoria il discorso tenuto mercoledì dal governatore di Bankitalia Ignazio Visco, che pubblichiamo oggi nell’inserto II) prendendo in considerazione una splendida frase immortalata anni fa sulla copertina di un libro francese scritto da Hervé Algalarrondo e Daniel Cohn-Bendit: “Et si on arrêtait les conneries”. Traduzione: “E se la finissimo di sparare cazzate?”. Forse, per tutti, varrebbe la pena partire da qui.

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