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Si piega e si contorce, ma non si rompe

Conte, l'uomo di gomma, che dice sì a tutti e così resiste

Renzi s'appresta al vertice di domani a Palazzo Chigi, ma sa già che servirà a poco. Come quello di fine novembre. "Tornerà indietro sul Recovery e sulla fondazione per la cybersicurezza, ma sul Mes mi aspetto chiarezza", dice il senatore di Scandicci. I resoconti delle consultazioni per la verifica, e la rabbia di Zingaretti. Giorgetti se la ride: "Quando ve lo dicevo io..."

Valerio Valentini

Le offerte a Renzi sull'Onu ("Ma era la Nato"), poi gli sms della rottura. Il vertice con Zingaretti, a cui il premier ha promesso tutto, tranne il Mes. Ma sui servizi segreti lo scontro col Pd resta feroce, e anche i ministri più "contiani" protestano

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Che gli incontri con Giuseppe Conte, come quello di domani mattina, valgano a poco  per risolvere i problemi, Matteo Renzi l’ha capito a fine novembre. Quando, ricevuto  a Palazzo Chigi, si vide trattato con ogni riguardo. “Anche quella cosa dell’Onu, Matteo, se vuoi ci attiviamo”. “Sarebbe la Nato, presidente, e comunque non ci tengo”. Ma insomma i dissidi sembravano risolti, col leader di Iv che aveva promesso il suo via libera alla legge proporzionale ottenendo in cambio la promessa di una sua centralità nella partita del Recovery plan, un  riequilibrio degli assetti in Rai, l’intesa  su un rimpasto che riguardasse anche la delega ai servizi segreti. Insomma, la politica. E ne erano seguiti scambi di rallegramenti con Nicola Zingaretti e Goffredo Bettini: “Sì, stavolta ci siamo”. E invece tre giorni dopo, ecco i virgolettati del premier sul Corriere della Sera che riducevano il tutto all’arrivismo del senatore di Scandicci. “Ma come puoi dire certe cose?”, gli chiedeva  Renzi. “Non le ho dette, Matteo, credimi”, risposta del premier. 

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Che gli incontri con Giuseppe Conte, come quello di domani mattina, valgano a poco  per risolvere i problemi, Matteo Renzi l’ha capito a fine novembre. Quando, ricevuto  a Palazzo Chigi, si vide trattato con ogni riguardo. “Anche quella cosa dell’Onu, Matteo, se vuoi ci attiviamo”. “Sarebbe la Nato, presidente, e comunque non ci tengo”. Ma insomma i dissidi sembravano risolti, col leader di Iv che aveva promesso il suo via libera alla legge proporzionale ottenendo in cambio la promessa di una sua centralità nella partita del Recovery plan, un  riequilibrio degli assetti in Rai, l’intesa  su un rimpasto che riguardasse anche la delega ai servizi segreti. Insomma, la politica. E ne erano seguiti scambi di rallegramenti con Nicola Zingaretti e Goffredo Bettini: “Sì, stavolta ci siamo”. E invece tre giorni dopo, ecco i virgolettati del premier sul Corriere della Sera che riducevano il tutto all’arrivismo del senatore di Scandicci. “Ma come puoi dire certe cose?”, gli chiedeva  Renzi. “Non le ho dette, Matteo, credimi”, risposta del premier. 

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E insomma è anche per esperienza vissuta in corpore vili, se dall’incontro con Conte di domani mattina Renzi non si aspetta granché. “Sulla fondazione per la cybersicurezza e sulla governance del Recovery ci darà quello che chiediamo”, spiega alla vigilia il leader di Iv. Ma lo fa col tono di chi si vedrà costretto a rivendicare una vittoria amara, che non è quella desiderata. “Forse Renzi non si aspettava che un presidente del Consiglio potesse tornare indietro con tanta serenità su un qualcosa su cui aveva messo la faccia”, se la ride Giancarlo Giorgetti coi deputati di Iv, come a volerli catechizzare sulla difficoltà di mettere Conte nell’angolo. “Noi abbiamo penato per mesi, e lui riusciva comunque a smentire se stesso, pur di restare dov’è”, ricorda il fu sottosegretario alla Presidenza. 

 

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E in effetti Conte appare un po’ come l’uomo di gomma, che non può essere spezzato perché riesce a flettersi e a contorcersi fino ad assumere qualsiasi forma, e però sta lì, indistruttibile. Se n’è accorto anche Nicola Zingaretti, che dall’incontro di lunedì sera è uscito sconsolato. “Presidente, le riforme istituzionali devono andare avanti, questi ritardi non sono ammissibili”, gli diceva il segretario del Pd. E Conte annuiva: “Ma certo, è vero, bisogna rilanciarli”. Al che Andrea Orlando scuoteva il capo: “Ma presidente, non è stato lei a concordare con Iv lo stop sul proporzionale, così da ottenere lo sblocco sul superamento del bicameralismo?”. Conte deglutiva, poi di nuovo sorrideva. “Sì, ma ora risolviamo”. (Poi, di lì a poche ore, alla delegazione di Leu Conte garantirà che no, su quella riforma costituzionale che ricorda troppo il disegno renziano del 2016 nulla ancora è stato deciso: ma vabbè.) Quindi abbozzava perfino un rimprovero: “Eh, però, certi toni ostili da parte del Pd, mi sorprendono”. E i capigruppo Delrio e Marcucci insorgevano, per ricordargli che “senza il Pd la settimana scorsa la maggioranza sulla riforma del Mes non ci sarebbe stata”, visto che i grillini erano arrivati al tavolo con una proposta di risoluzione assai bislacca: “Non diamo al premier nessun mandato, in vista del Consiglio europeo”.

 

E non a caso è quello, ora, il tema del contendere. Sempre quello: il Mes. Su cui, manco a dirlo, Conte s’è fatto concavo e convesso, nel passaggio dal colloquio col M5s a quello col Pd. Zingaretti il tema gliel’ha posto con toni netti: “Per noi il Mes resta un’opportunità da cogliere, non ce ne siamo dimenticati”. Lì Conte s’è ritratto, ha svicolato
Ed è a quell’ambiguità che Renzi proverà a inchiodarlo, preso com’è dalla necessità di tenere alta la tensione fino alla fine della sessione di bilancio, di ravvivare con legna nuova il fuoco della crisi. “Dovrà dirci un sì o un no, sul Mes. E spero che non resterò l’unico a pretenderlo”, dice l’ex premier, riferendosi agli ex colleghi  del Pd.

 

I quali, però, cominciano a rassegnarsi anche loro alla resistenza molle del premier di gomma. Che all’indomani della presa di posizione con cui il Copasir ha stroncato l’ipotesi della creazione dell’istituto per la cybersicurezza (al termine dell’audizione di quel Roberto Baldoni, vicedirettore del Dis, che la dovrebbe presiedere), ha fatto trapelare da Chigi che anziché istituirla con un emendamento alla manovra, lo farà con un decreto ad hoc. Così che perfino un “contiano” del Pd, come Enzo Amendola, è arrivato a suggerire al premier di cedere la delega ai Servizi. Per le nuove risa dei leghisti più vicini a Giorgetti, che accostando quelli del Pd si sono dati di gomito: “Quando ve lo dicevamo noi, che Conte usava l’intelligence come fosse roba sua, ci prendevate per matti”. 

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