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Più dei voti, valgono le sue idee. Le virtù del Rompiballe d’Italia

Claudio Cerasa

Il governo con il M5s, l’Italia spinta verso l’orizzonte di Industria 4.0, il Jobs Act, la battaglia contro la gogna giudiziaria: anche gli avversari politici cominciano a riconoscere che Matteo Renzi aveva ragione
 

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Lo descrivono come il Rompiballe d’Italia, come il Pierino del governo, come il Rompiscatole di turno, come il Cavallo di Troia delle opposizioni, come l’Insaziabile della maggioranza, ma al netto dei suoi scazzi con Giuseppe Conte, al netto delle sue richieste ai tavoli del governo, al netto dei suoi penultimatum all’esecutivo c’è un fatto difficilmente contestabile che riguarda la traiettoria politica dell’ex Rottamatore: mai stato così poco popolare, mai avuto così tanti che gli danno ragione.

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Lo descrivono come il Rompiballe d’Italia, come il Pierino del governo, come il Rompiscatole di turno, come il Cavallo di Troia delle opposizioni, come l’Insaziabile della maggioranza, ma al netto dei suoi scazzi con Giuseppe Conte, al netto delle sue richieste ai tavoli del governo, al netto dei suoi penultimatum all’esecutivo c’è un fatto difficilmente contestabile che riguarda la traiettoria politica dell’ex Rottamatore: mai stato così poco popolare, mai avuto così tanti che gli danno ragione.

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Il consenso del partito di Renzi, si sa, è quello che è, ed è poca cosa, ma il consenso di alcune idee di Renzi, per quanto possa sembrare paradossale, si trova a un livello mai raggiunto neppure durante la stagione più di successo delle idee renziane e il risultato è che in questa fase della stagione politica il renzismo si ritrova a essere più o meno silenziosamente apprezzato tanto dalle forze che vorrebbero di più dal governo Conte quanto da quelle che non vorrebbero più il governo Conte.

  

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La centralità del renzismo non ha però a che fare solo con l’ostilità mostrata dall’ex presidente del Consiglio verso l’attuale presidente del Consiglio e non ha a che fare neppure con la capacità di Matteo Renzi di riuscire a trovare un modo per stare sempre al centro della scena anche a costo di contraddirsi (il Renzi che oggi chiede meno tecnici è lo stesso che all’articolo 2 del famoso piano choc per le infrastrutture presentato lo scorso febbraio chiedeva che il governo nominasse un commissario straordinario per ogni cantiere sbloccato). Ma ha a che fare con un fenomeno forse persino più interessante, anche se più sottile, che riguarda l’affermazione postuma di alcune sue idee. Dal punto di vista elettorale, lo sappiamo, il renzismo vale poco, ma dal punto di vista politico le sue idee non hanno mai fatto così breccia nell’agenda politica dei suoi avversari di un tempo, che passo dopo passo si sono resi conto, pur non potendolo ammettere apertamente, dei tratti positivi dell’agenda Renzi.

    

    

I suoi avversari storici, tanto per cominciare, si sono resi conto che aveva ragione lui quando un anno e mezzo fa propose di fare un governo con il M5s: la coerenza venne sacrificata, ma al paese venne evitata l’eventualità del governo Papeete.

  

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I suoi avversari storici si sono resi conto che aveva ragione lui quando, ai tempi del governo dei mille giorni, tentò, a colpi di incentivi fiscali, sostegno al venture capitale, sgravi alle aziende e super ammortamenti, di spingere l’Italia verso l’orizzonte di Industria 4.0: il governo gialloverde, appena insediatosi, tentò con l’allora ministro dello Sviluppo Luigi Di Maio di smantellare quel progetto, ma tempo sei mesi e gli stessi grillini si resero conto che per sostenere l’industria del futuro non c’era niente di meglio che rimettere in sesto quel piano.

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I suoi avversari storici si sono resi conto che aveva ragione lui quando, ai tempi del Jobs Act, cercò di creare nuovi posti di lavoro seguendo lo schema della flessibilità decrescente dei contratti e della decontribuzione: ai tempi lo si accusò di essere un eretico ma gli stessi che lo accusarono di essere un eretico riconoscono oggi che lo schema della flessibilità decrescente e della decontribuzione, schema adottato da questo governo grazie al ministro Provenzano per tentare di risollevare l’occupazione al sud, è la chiave migliore per tentare di far crescere i posti di lavoro nel più breve tempo possibile.

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I suoi avversari storici si sono resi conto che aveva ragione lui quando ai tempi del referendum del 2016 Renzi sostenne l’importanza di introdurre una clausola di supremazia tale da consentire allo stato di intervenire anche su materie delle quali non ha la competenza esclusiva, in casi eccezionali, e anche i suoi più acerrimi nemici oggi non faticano a riconoscere che in tempi di pandemia una clausola del genere non avrebbe fatto così male.

  

I suoi avversari storici si sono resi conto che aveva ragione lui quando, ai tempi della lotta furente contro i magistrati politicizzati, da Palazzo Chigi, senza molto successo, tentò di trovare un modo per combattere la gogna giudiziaria affermando il principio della separazione dei poteri: ai tempi si disse che Renzi voleva solo scimmiottare Berlusconi, oggi anche i più acerrimi nemici del garantismo sotto sotto non possono non riconoscere quanta ragione avesse Renzi nel denunciare gli orrori del circo mediatico-giudiziario.

   

I suoi avversari storici si sono resi conto che aveva ragione lui quando, ai tempi della vocazione maggioritaria del Pd, sosteneva che l’unica sinistra che può avere successo non è quella che guarda al modello Sanders e al modello Corbyn ma è quella che guardando verso il centro cerca di declinare al futuro il modello Obama.

  

I suoi avversari storici si sono resi conto che aveva ragione lui quando, ai tempi della legge che nel 2016 costrinse le banche popolari con un patrimonio superiore agli 8 miliardi a diventare società per azioni, sostenne che la causa principale dei crac bancari in Italia era avere delle banche con governance opache, poco contendibili e vertici inamovibili soggetti al potere di veto della politica: in tanti lo accusarono di essere un liberista di sinistra fino a quando esattamente un anno fa si scoprì che la ragione principale per cui la Banca popolare di Bari nel dicembre del 2019 si ritrovò a un passo dal crac era l’essersi rifiutata di dare seguito alla riforma Renzi ricorrendo malamente al Tar per non diventare spa.

  

L’elenco potrebbe essere ancora più sostanzioso e ancora più interessante ma ciò di cui si stanno accorgendo i suoi avversari di un tempo è che rispetto al futuro di questa legislatura ci sono due cose di cui non si può fare a meno per andare avanti: non solo i voti di Renzi, ma anche le sue idee.

   

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