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editoriali

La doppia buona notizia del sì al Mes

redazione

Concentrarsi non su cosa ci guadagna il governo, ma su cosa ci guadagna l’Italia

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Ieri i due rami del Parlamento hanno finalmente liberato il campo dal dibattito sul Mes. La maggioranza si è espressa a favore di una risoluzione abbastanza vaga da tenere tutti assieme, ma anche abbastanza esplicita da confermare la linea europeista dell’esecutivo. Sebbene la risoluzione sia un atto privo di conseguenze pratiche, a nessuno sfugge il suo significato politico, non solo per quanto attiene alle dinamiche nazionali, ma anche per il nostro collocamento internazionale e il ruolo che Roma spera di giocare nel futuro prossimo. Soprattutto, le Camere hanno posto un importante suggello su una riforma che è un pezzo essenziale dell’evoluzione istituzionale europea. Due sono le novità principali. In primo luogo, l’introduzione di un “backstop” al Fondo di risoluzione unica: in pratica, un meccanismo per consentire l’intervento europeo in caso di crisi bancarie, che rende contemporaneamente le banche meno sensibili al rischio domestico, e i governi meno esposti sul fronte bancario.

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Ieri i due rami del Parlamento hanno finalmente liberato il campo dal dibattito sul Mes. La maggioranza si è espressa a favore di una risoluzione abbastanza vaga da tenere tutti assieme, ma anche abbastanza esplicita da confermare la linea europeista dell’esecutivo. Sebbene la risoluzione sia un atto privo di conseguenze pratiche, a nessuno sfugge il suo significato politico, non solo per quanto attiene alle dinamiche nazionali, ma anche per il nostro collocamento internazionale e il ruolo che Roma spera di giocare nel futuro prossimo. Soprattutto, le Camere hanno posto un importante suggello su una riforma che è un pezzo essenziale dell’evoluzione istituzionale europea. Due sono le novità principali. In primo luogo, l’introduzione di un “backstop” al Fondo di risoluzione unica: in pratica, un meccanismo per consentire l’intervento europeo in caso di crisi bancarie, che rende contemporaneamente le banche meno sensibili al rischio domestico, e i governi meno esposti sul fronte bancario.

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Al di là delle polemiche, si tratta di un’innovazione che va a beneficio soprattutto di quei paesi – come l’Italia – le cui banche sono stante spinte a sovra-investire in titoli di stato e ha detto bene ieri in Aula il responsabile economico di Forza Italia, Renato Brunetta, votando in dissenso dal suo gruppo proprio sul Mes: “Con il vecchio Mes, si è fatta nascere la linea di credito pandemica per salvare le vite; con il nuovo Mes si farà nascere quel fondo per salvare le banche, che vuol dire salvare le economie e i risparmi dei cittadini”. L’altra novità sono le clausole così dette “single limb”, che consentono la ristrutturazione del debito con un solo voto a maggioranza di tutti i creditori, anziché prevederne uno aggiuntivo per ogni serie di titoli emessi (come prevedono le attuali “dual limb”). In tal modo, gli stati si rafforzano rispetto ai singoli creditori, e ampliano l’armamentario a propria disposizione in caso di emergenza. Proprio tale vantaggio, particolarmente evidente per chi ha i conti pubblici traballanti, avrebbe reso incomprensibile un orientamento diverso da parte nostra. Avremmo infatti dato la sensazione di voler impostare la nostra posizione negoziale sulle tante partite aperte in Europa con la minaccia di darci fuoco distruggendo così l’intero edificio. Sullo sfondo rimane la linea pandemica del Mes, che ancora una volta è stata accantonata con una formula tale da lasciare aperte tutte le porte. La sostanza, comunque, non può essere disgiunta dalle vie tortuose della politica.

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Da un lato, abbiamo un pezzo della maggioranza – il Pd e Italia viva – che ha scelto di interpretare una linea di tradizionale europeismo. Dall’altro, però, il gruppo più ampio presente in Parlamento – quello del M5s – si è trovato diviso alla conta (anche se in verità i grillini ribelli prima alla Camera e poi al Senato sono stati più frutto di sporadiche testimonianze politiche che di rivolte organizzate). L’epilogo, cioè il voto favorevole temperato da qualche acrobazia lessicale, dimostra che a volte l’interesse personale dei rappresentanti del popolo coincide con quello del paese: dovendo scegliere tra il boccone amaro del Mes e la fine anticipata della legislatura, i grillini hanno preferito schierarsi, non sappiamo con quanta consapevolezza, dalla parte della ragionevolezza. Una dimostrazione, questa, di quanto siano platealmente irrealizzabili le idee che li hanno fatti sbarcare a Roma e di quanto la loro stessa sopravvivenza sia sempre più legata a un doloroso processo di normalizzazione. Chi, più di tutti, ne esce sconfitto è però il centrodestra. Se le frange più estremiste di Lega e Fratelli d’Italia possono quanto meno sventolare la bandiera della coerenza ideologica, i moderati – Forza Italia e pezzi del Carroccio – hanno scelto di sacrificare la propria identità al vano tentativo di dare una spallata ai rossogialli (anche se siamo sicuri che sotto sotto Forza Italia sia felice che sia passata, anche senza i suoi voti, la risoluzione che impegna il presidente del Consiglio a non porre veti sulla riforma del Mes). Con l’eccezione di Renato Brunetta e pochi altri, i parlamentari dell’opposizione hanno seguito il percorso opposto ai grillini: pur di tentare l’assalto a Palazzo Chigi, hanno delegittimato se stessi di fronte ai partner europei e, forse, anche agli elettori.

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