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Risoluzione e liberazione

Due passi nel mistero Conte

Il governo che nessuno vuole più fa ancora comodo a molti, anche all’opposizione, e il voto sul Mes (“la nostra Brexit”) è lì a ricordarci qual è il vero punto di forza del premier: trasformare l’inerzia in uno scudo contro gli antieuropeisti. Un’indagine

Claudio Cerasa

L’inerzia della politica, oggi, ci dice che il governo Conte non lo vuole nessuno. Ma ci dice anche che il governo Conte fa ancora comodo a molti, anche ai suoi avversari, alcuni dei quali detestano Conte in una misura non inferiore a quanto detestino Salvini

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Il giorno prima viene descritto come un leader indeciso, il giorno dopo viene accusato di prendere troppe decisioni. Il giorno prima viene descritto come un premier in bilico, il giorno dopo riceve voti persino dalle opposizioni. Il giorno prima viene descritto come un leader impotente, il giorno dopo viene accusato di volere per sé i pieni poteri. Il giorno prima viene descritto come un leader impopolare, il giorno dopo gli avversari scoprono quanto sia impopolare pensare di impallinarlo.

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Il giorno prima viene descritto come un leader indeciso, il giorno dopo viene accusato di prendere troppe decisioni. Il giorno prima viene descritto come un premier in bilico, il giorno dopo riceve voti persino dalle opposizioni. Il giorno prima viene descritto come un leader impotente, il giorno dopo viene accusato di volere per sé i pieni poteri. Il giorno prima viene descritto come un leader impopolare, il giorno dopo gli avversari scoprono quanto sia impopolare pensare di impallinarlo.

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Sono passati novecentoventuno giorni dalla mattina in cui Giuseppe Conte ha giurato per la prima volta come presidente del Consiglio e a quasi mille giorni dalla prima fiducia accordatagli dal presidente della Repubblica prima ancora che dal Parlamento la traiettoria dell’undicesimo capo di governo più longevo della storia della nostra Repubblica è appesa a un mistero politico spiegabile forse più con un’immagine della fisica che con la categoria del retroscenismo: l’inerzia.

 

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In fisica, il principio di inerzia, che poi non è altro che la prima legge di Newton, afferma che un corpo permane nel suo stato di quiete o di moto rettilineo uniforme a meno che non intervenga una forza esterna a modificare tale stato. Sostituite alle parole “un corpo” la parola “Conte” e avrete una fotografia piuttosto veritiera non solo della politica italiana ma anche di un mistero chiamato Giuseppe Conte. Non c’è partito politico, sia tra quelli che si trovano al governo sia tra quelli che si trovano all’opposizione, che non detesti il presidente del Consiglio, e che in qualche modo non faccia sapere in giro di essere pronto a far qualsiasi cosa pur di sbarazzarsi di lui. Ma allo stesso tempo non c’è partito politico, sia tra quelli che si trovano al governo sia tra quelli che si trovano all’opposizione, che un secondo dopo aver immaginato cosa potrebbe accadere nel caso in cui dovesse davvero cadere Conte faccia di tutto, nel suo piccolo, per evitare che si realizzi lo scenario tanto desiderato.

 

Il M5s farebbe di tutto per non avere più Conte tra i piedi (e lo stesso vale per il partito di Renzi) ma poi capisce che tra avere ancora Conte tra i piedi e non avere più i piedi in Parlamento meglio avere un Conte tra i piedi e anche qualche piede in Parlamento. Il Pd farebbe di tutto per non avere più Conte tra i piedi, ma poi capisce che tra avere ancora Conte tra i piedi e rischiare di far saltare i nervi al M5s regalando il Quirinale a Salvini e Meloni (what a Mes!) è preferibile tenersi Conte e non far saltare i nervi agli alleati. Berlusconi farebbe di tutto per non avere più Conte tra i piedi (e lo stesso vale per Meloni) ma poi anche lui capisce che tra avere ancora Conte tra i piedi e regalare il paese a Matteo Salvini meglio avere ancora un Conte tra i piedi e aspettare di veder logorato il salvinismo provando magari ad avere un ruolo, lui e non Salvini, nella scelta del prossimo presidente della Repubblica.

 

L’inerzia della politica, oggi, ci dice che il governo Conte non lo vuole nessuno. Ma ci dice anche che il governo Conte fa ancora comodo a molti, anche ai suoi avversari, alcuni dei quali detestano Conte in una misura non inferiore a quanto detestino Salvini. E se vogliamo fare un passo in avanti, avvicinandoci all’appuntamento di oggi, con il voto sul Mes, l’inerzia della politica ci dice anche di più: questo avvocato venuto dal nulla, che alle spalle si ritrova più partiti che lo vorrebbero pugnalare che partiti che lo vorrebbero proteggere, alla fine dei conti, ancora oggi, al momento è l’unico punto di equilibrio esistente tra l’europeismo necessario e quello possibile e per questa ragione la risoluzione che verrà portata oggi in Aula relativa alla ratifica del trattato che comprende la riforma del Mes rappresenta qualcosa di più di un passaggio tecnico ma rappresenta l’essenza stessa di questa maggioranza. Una maggioranza che nella combinazione dei colori resta profondamente sbagliata (e profondamente inefficiente, profondamente imperfetta, profondamente lontana dal governo dei sogni) ma che nella sostanza delle cose continua a dimostrare di essere nata per una causa giusta: tenere lontano dal governo del paese i peggiori istinti antieuropeisti.

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Si potrà obiettare, giustamente, che votare a favore di una risoluzione ovvia, che impegna il governo a non porre il voto su una riforma senza ombre condivisa da tutti i paesi dell’Eurozona, non è sufficiente per stappare champagne europeisti, specie se poi lo stesso governo che appoggia la riforma del Mes si rifiuta di usare quella parte della riforma del Mes che potrebbe aiutare l’Italia oggi a rafforzare con tempismo il suo sistema sanitario. Ma di fronte a questa obiezione occorre allargare la nostra inquadratura provando a tornare al punto di partenza di questa legislatura: un Parlamento dominato da due forze antieuropeiste (Lega e M5s) che nel corso dei mesi riesce a far sì che una delle due forze antieuropeiste (il M5s) rinneghi progressivamente parte del proprio passato antieuropeista per evitare di consegnare l’Italia ad altre forze antieuropeiste.

 

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Quando si osservano i governi più per quello che dovrebbero essere (i nostri sogni) che per quello che potevano essere (la nostra realtà) succede che la nostra memoria rimuova passaggi come questi: “Nel tentativo di fronteggiare la crisi si è disposta la creazione del Meccanismo europeo di stabilità (Mes), le cui decisioni ultime possono esser fatte risalire ad accordi presi nelle istituzioni che compongono il consesso denominato correntemente Troika: Commissione europea, Banca centrale europea e Fondo monetario internazionale. Il Movimento 5 stelle si impegnerà alla liquidazione del Mes (Fondo salva stati), liberando in tal modo gli stati dalla necessità di adeguarsi alle rigorose condizionalità imposte attraverso decisioni prese in contrasto con i principi democratici dagli organismi sovranazionali che formano la cosiddetta Troika”. Le parole che avete letto tra virgolette sono quelle contenute nel programma di governo presentato nel 2018 dal M5s in campagna elettorale. Due anni e mezzo dopo, il M5s, pur di non far cadere un premier che detesta, si trova impegnato, in un giorno giustamente definito dal deputato del Pd Filippo Sensi come “la nostra Brexit”, a convincere da giorni i suoi parlamentari a votare sì al non smantellamento del Mes. Ieri, nel suo delizioso corsivo pubblicato su Rep., Michele Serra ha confessato, “con estrema timidezza e trepidante esitazione”, “di aver apprezzato le intenzioni del governo sull’uso del Recovery... Oddio l’ho detto: che vergogna!”. Dovesse vincere anche oggi, in Parlamento, il fronte europeista, nel giorno della nostra piccola Brexit, siamo pronti anche a noi a vergognarci, con una mini di champagne europeista ben nascosta nel nostro taschino.

 

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