PUBBLICITÁ

"Il Recovery Fund è l'ultimo treno". Parlano i grandi burocrati di Stato

Carmelo Caruso

Chiamati a gestire il Recovery Fund e oggetto di lite fra Giuseppe Conte e Matteo Renzi. Sono i tecnici. Figure criticate ma insostituibili. Parlano Roberto Alesse, Vincenzo Fortunato, Paolo Aquilanti

PUBBLICITÁ

Roma.  Buongiorno signor burocrate. Giuseppe Conte ne chiede cento per commissariare e velocizzare i progetti del Recovery fund. Matteo Renzi, che da sempre li chiama i “frenatori”, non sopporta un’altra “inutile task force” che sostituisce il Parlamento. Non sparate sull’uomo in grigio. Direttori di dipartimento, capi di gabinetto, consulenti giuridici, grand commis. C’è una cavalleria con la stilografica nel taschino che non merita l’accusa di sabotaggio e che è davvero preoccupata. Roberto Alesse, direttore generale della presidenza del Consiglio dei ministri, diciassette anni di amministrazione pubblica, dice che delle tante task force che ci siamo inventate questa è quella che adesso ci serve: “Il Next Generation Eu è l’ultimo treno che passa per evitare il Titanic. Forse non l’abbiamo capito. Siamo chiamati a correre e confrontarci con i governi di tutto il mondo. E’ il momento di litigare?”.  Non sono polverosi, ottusi e antipatici. Paolo Aquilanti, segretario generale a Palazzo Chigi con  Renzi e poi con Paolo Gentiloni, per trent’anni funzionario parlamentare, neppure si offende. Chiamatelo con il suo nome. Burocrate. “Crede di infastidirmi?”
 

ABBONATI PER CONTINUARE A LEGGERE
Se hai già un abbonamento:

Altrimenti


Roma.  Buongiorno signor burocrate. Giuseppe Conte ne chiede cento per commissariare e velocizzare i progetti del Recovery fund. Matteo Renzi, che da sempre li chiama i “frenatori”, non sopporta un’altra “inutile task force” che sostituisce il Parlamento. Non sparate sull’uomo in grigio. Direttori di dipartimento, capi di gabinetto, consulenti giuridici, grand commis. C’è una cavalleria con la stilografica nel taschino che non merita l’accusa di sabotaggio e che è davvero preoccupata. Roberto Alesse, direttore generale della presidenza del Consiglio dei ministri, diciassette anni di amministrazione pubblica, dice che delle tante task force che ci siamo inventate questa è quella che adesso ci serve: “Il Next Generation Eu è l’ultimo treno che passa per evitare il Titanic. Forse non l’abbiamo capito. Siamo chiamati a correre e confrontarci con i governi di tutto il mondo. E’ il momento di litigare?”.  Non sono polverosi, ottusi e antipatici. Paolo Aquilanti, segretario generale a Palazzo Chigi con  Renzi e poi con Paolo Gentiloni, per trent’anni funzionario parlamentare, neppure si offende. Chiamatelo con il suo nome. Burocrate. “Crede di infastidirmi?”
 

PUBBLICITÁ

E infatti, per Aquilanti, “burocrate è una definizione corretta. E’ la letteratura sul burocrate a essere sbagliata”. Non sono i Don Gonzalo di Manzoni e non amministrano l’ufficio circonlocuzione di Charles Dickens, “un apparato che trasuda (ecco che ritorna) inutilità”. Il presidente del Consiglio che sta faticando non poco a far passare l’idea che servano dei manager (ancora burocrati!) deve vedersela con Italia viva che non è tanto irritata per la loro convocazione a palazzo, ma per quella che definisce la tentazione di Conte: indicare i suoi. E significa che Renzi avrebbe altri che vorrebbe e potrebbe suggerire: “Condividiamo le scelte”.

 

Non è altro che la solita chimera, la speranza nascosta di esprimere il tecnico d’area e dunque di orientarne le decisioni. E sono sempre illusioni perdute. Vincenzo Fortunato che addirittura è stato burocrate, ma super (“anche se è corretto dire che sono un grand commis. Capo di gabinetto di nomina politica”) racconta che buona parte della sua carriera si è rivelata un catalogo di “no”. “Ho passato i miei anni a spiegare ai ministri cosa si poteva fare e cosa non si doveva. A convincerli che l’amministrazione merita rispetto”. E’ per questa ragione che è fuggito? “Diciamo che fuori si sta meglio”. Oggi è tornato avvocato. Suo il ruolo di capo dell’ufficio legislativo, capo di gabinetto con la destra, con la sinistra. Perfino tecnico dei tecnici: “In pratica 19 anni. Ho lavorato con i ministri Fantozzi, Visco, Tremonti, Grillo, Siniscalco, con Berlusconi durante l’interim, e poi Monti”. E per Fortunato non è una novità e non è uno scandalo che un premier si avvalga di esterni, come intende fare Conte, nella fase di progettualità perché “è vero che un’idea originale poche volte è uscita dalla burocrazia. Il loro compito è un altro”. Non significa esautorarla tanto più per quel che riguarda il Next Generation Eu. Il contrario. “Voglio dire che è giusta una struttura esterna che fornisce idee, ma poi quelle idee devono essere sottoposte a uno studio di fattibilità. E lo fanno i burocrati di stato. E’ la fase esecutiva che deve essere affidata ai ministeri, al Consiglio dei ministri. Diciamolo chiaramente. Sarebbe una follia, un errore blu, pensare di spendere 209 miliardi di euro senza avvalersi, di tutta, e sottolineo tutta, la struttura. Il mio catalogo è questo: ministri capaci, staff adeguati, capi di gabinetto fedeli e credibili quando devono interagire con l’amministrazione”.

PUBBLICITÁ

 

Alesse, che tra le molte funzioni ha ricoperto l’incarico di capo di gabinetto della presidenza della Camera dei deputati nella XVI legislatura e poi presidente dell’Autorità di garanzia per gli scioperi dal 2011 al 2016, spiega che “è impensabile poter prescindere dal sapere d’ufficio come direbbe Max Weber”. Selezionati per concorso e non per “intuitu personae”. In Francia sono rispettati mentre qui, ricorda Aquilanti, è quasi una disgrazia. “Una mia  compagna di classe mi ha guardato dicendomi malinconicamente “so che sei diventato un burocrate”.

 

Ma sul serio la politica può fare a meno di loro? E sono troppi cento o  troppo pochi? Infrastrutture digitali, rivoluzione verde. Istruzione. Sono tre dei sei punti del Recovery. Non occorrono forse (anche) architetti, ingegneri? Fortunato è dell’opinione che bisognerebbe mobilitare le strutture periferiche. Aquilanti aggiunge che servono “competenze integrate”. Alesse, e qui, si fa uno scarto, invita a stupire: “Una grande ventata liberale. Ecco cosa ci darebbe slancio. Sul burocrate si riversa un diluvio di cattive norme e di vario livello. Il burocrate si protegge. E’ giusto ridurre i processi decisionali. E se fosse questa la grande occasione per farlo?”. E torniamo così alle cabine di regia che sono adesso il pomo del malumore. Come si mettono d’accordo i politici su come impiegare i tecnici? Che rompicapo.

 

PUBBLICITÁ

Dice Aquilanti che è giusto che un premier scelga i suoi collaboratori. Lei avrebbe lavorato anche con Conte? “E perché non avrei dovuto?”. E’ sempre andata così. “Si sono sempre formate strutture di ausilio e temporanee che hanno accompagnato il potere pubblico. Al di là del colore”. E fa l’esempio di Gaetano Azzariti che collaborò sia con il regime fascista che con Palmiro Togliatti. E’ una bella digressione e non è da cavoli a merenda. Aquilanti ha scritto da poco un libro magnifico. E’ “Il caso Bontempelli” ed è edito da Sellerio, un saggio che è un po’ un romanzo e un romanzo che è un mezzo saggio. Come si vede, i burocrati sono anche uomini di immaginazione. “Direi di sì”. Pensa che, malgrado tutto, la politica si metterà d’accordo e che le incomprensioni su chi fa cosa, “sono fisiologiche. Ogni partito manifesta una preferenza. Si troverà un modo”. La buona notizia è che con i burocrati non c’è mai andata male. Fortunato: “Ciampi e Draghi. Che fortuna”. Dalle scartoffie a garante della Carta. Si nasce burocrati ma chissà come si finisce.

PUBBLICITÁ

 

Di più su questi argomenti:
PUBBLICITÁ