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Zingaretti, Di Maio e Renzi

Il muto, il napoletano e il bomba

La rete che cala sul presidente del Consiglio Conte

Salvatore Merlo

Sono i protagonisti di una manovra per piegare il premier che vuole decidere da solo sui miliardi del Recovery fund. Zingaretti (con il benestare Di Maio) manda avanti il kamikaze Renzi contro Conte

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Il muto, il napoletano e il kamikaze: Zingaretti, Di Maio e Renzi. Il primo non parla, il secondo gioca alle tre carte, il terzo spara a pallettoni coperto dagli altri due: “O Conte cambia sul Recovery o temo ci sia la crisi”. Non un film di Sergio Leone, ma l’intrico di una rete che si vorrebbe far calare su Giuseppe Conte come su un pesce. Tutto un gioco che più sembra politico tanto più invece si avvicina al gioco di scommessa perché, come dicono con una certa assestata saggezza alcuni amici di Sergio Mattarella, “le cose possono anche sfuggire di mano”. Nessuno vuole abbattere il governo, segare il ramo sul quale sta precariamente seduto, ma la storia insegna che gli incidenti capitano. E allora che succede sul proscenio della politica? Ci sono in ballo quei 209 miliardi di euro del Recovery che Conte vorrebbe gestiti da tecnici di sua fiducia e su cui invece i partiti intendono dire la loro. E stamani, sul Mes, si vota una risoluzione che  vede sempre Conte stretto nelle convulsioni grilline. Ma la vera partita contro Conte è il Recovery. Debolissimo, senza truppe, eppure fin qui proprio per questo saldissimo, il presidente del Consiglio ieri ha cercato a tutti i costi in Dario Franceschini un aiuto per liberarsi dalla rete del muto, del napoletano e del kamikaze.

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Il muto, il napoletano e il kamikaze: Zingaretti, Di Maio e Renzi. Il primo non parla, il secondo gioca alle tre carte, il terzo spara a pallettoni coperto dagli altri due: “O Conte cambia sul Recovery o temo ci sia la crisi”. Non un film di Sergio Leone, ma l’intrico di una rete che si vorrebbe far calare su Giuseppe Conte come su un pesce. Tutto un gioco che più sembra politico tanto più invece si avvicina al gioco di scommessa perché, come dicono con una certa assestata saggezza alcuni amici di Sergio Mattarella, “le cose possono anche sfuggire di mano”. Nessuno vuole abbattere il governo, segare il ramo sul quale sta precariamente seduto, ma la storia insegna che gli incidenti capitano. E allora che succede sul proscenio della politica? Ci sono in ballo quei 209 miliardi di euro del Recovery che Conte vorrebbe gestiti da tecnici di sua fiducia e su cui invece i partiti intendono dire la loro. E stamani, sul Mes, si vota una risoluzione che  vede sempre Conte stretto nelle convulsioni grilline. Ma la vera partita contro Conte è il Recovery. Debolissimo, senza truppe, eppure fin qui proprio per questo saldissimo, il presidente del Consiglio ieri ha cercato a tutti i costi in Dario Franceschini un aiuto per liberarsi dalla rete del muto, del napoletano e del kamikaze.

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 Zingaretti, Di Maio e Renzi si sono messi attorno a Giuseppe Conte come piccoli fabbri sull’incudine, sprizzando scintille a colpi di martello per piegarlo. Ciascuno con le sue ragioni, e ciascuno con il suo metodo. Di Zingaretti si pesano soprattutto i silenzi. Difatti lo si chiama al telefono, e lo si sente quasi sorridere dietro la cornetta mentre dice: “Parlo solo di Covid nel Lazio”. Niente politica. Come se non fosse ciò di cui si occupa dalla mattina alla sera. Per lui parla più spesso Goffredo Bettini (ecco cosa dice: “Sento aria di crisi”), lui che pure era stato un impavido sostenitore di Conte. E il fatto è che Zingaretti la pensa all’incirca come Renzi, sul Recovery, e sul ruolo che i partiti e le segreterie devono poter giocare nella gestione di questa valanga di denaro. Solo che il segretario del Pd gioca secondo le sue abitudini e le sue regole. Non a caso a Roma lo chiamano alternativamente “saponetta” o “gatto”, anche se pure  il nuovo nomignolo di “muto” gli sta assai bene.

 

Perché c’è sempre un muto sornione dietro a chi invece le spara grosse, come Renzi, che in questa sceneggiatura è il kamikaze (o il “bomba”). Parla, straparla e minaccia sfracelli. Ma pure si muove in accordo totale con il muto e da tempo se la intende pure con il terzo protagonista della vicenda rossogialla, cioè con Luigi Di Maio. Il quale  – essendo napoletano –  gioca alle tre carte. E infatti con una mano stabilizza Conte, sul Mes, che  oggi non darà problemi (ieri sera già circolava una bozza di risoluzione), mentre con l’altra mano intanto sega le gambe della sedia di Conte.  Anche Di Maio – come il muto e come il kamikaze – su quei 209 miliardi europei avrebbe qualcosa da dire. Poi, ovviamente, dimostrando sempre di più insospettabili doti di furbizia,  Giggino anche sul Recovery gioca una doppia partita. Prestigiatore autodidatta. Se Renzi vince, allora vince anche lui e avrà una forte voce in capitolo sul Recovery. Ma se Renzi venisse alla fine sconfitto, Giggino ha già messo un piedino sui 209 miliardi. Sta scritto a pagina 97 della proposta di decreto sul Recovery: con l’Unione europea ci parlerà  il ministro degli Affari europei ma– ecco il piedino di Giggino – “d’intesa con il ministro degli Esteri”.

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E insomma, comunque vada, lui non perde. Quello che invece teme la sconfitta è Conte, che ieri osservava con preoccupazione lo scoppiettare di Matteo Renzi. Così, quando anche il premier ha avuto la certezza che il senatore fiorentino marciava sui silenzi complici di Zingaretti, si è allarmato al punto da chiedere aiuto a Dario Franceschini. Aiuto cui il ministro e capo delegazione del Pd si è prestato volentieri. Con pubbliche dichiarazioni e mediazioni telefoniche. Franceschini è stabilizzatore per indole, si sa.  Ma i maliziosi sostengono  che voglia conservare questo assetto di governo e di maggioranza  a tutti i costi, Conte compreso, perché sogna a breve la presidenza della Camera (con Roberto Fico spedito sul fronte delle elezioni comunali di Napoli). Un trampolino, ovviamente. Per spiccare il salto del Colle. Ma chissà. Resta il fatto che ieri sera Franceschini s’è vestito da mediatore e  si è frapposto tra Conte e i tre: il muto, il napoletano e il kamikaze. Dei tre avversari di Conte quello che fa il gioco più limpido è il kamikaze. Il quale, per sua natura, potrebbe tuttavia anche finire col farsi saltare in aria sul serio. La domanda è: da solo?

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