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Non tirate sul tecnico

Enrico Giovannini: "Sul Recovery temo si ripeta quanto accaduto con Colao"

Carmelo Caruso

"Il Next Geration Eu è un cubo di Rubik. Evitare il tiro al piccione sui tecnici. Coinvolgere le regioni e il Cipess". Parla Enrico Giovannini, ex ministro del lavoro e presidente Istat

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Roma. Un gigantesco cubo di Rubik, un dibattito pubblico viziato che in questi mesi si è solamente soffermato sul denaro, sulle cifre, sulla necessità di spendere ma mai su come spendere. “E dunque temo il tiro al piccione nei confronti degli esperti che dovranno definire i progetti, così come è avvenuto con la commissione Colao, di cui pure io ho fatto parte. Un tiro al bersaglio verso  quelle strutture che saranno chiamate a decidere e valutare le proposte del Next Generation Eu”. Dice che il Recovery fund “non esiste” e che dobbiamo imparare a chiamarlo con il suo vero nome (Next Generation Ue) per ricordare che sono fondi destinati alle nuove generazioni e che Recovery and resilience facilty è uno strumento creato dall’Europa anche per prepararsi ai prossimi choc. “Il senso è questo: la prossima volta non dovete chiederci soldi”. Lo spiega in questa conversazione con il Foglio, Enrico Giovannini, ex ministro del Lavoro, già presidente dell’Istat, portavoce dell’ASviS, docente. Era un possibile premier.

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Roma. Un gigantesco cubo di Rubik, un dibattito pubblico viziato che in questi mesi si è solamente soffermato sul denaro, sulle cifre, sulla necessità di spendere ma mai su come spendere. “E dunque temo il tiro al piccione nei confronti degli esperti che dovranno definire i progetti, così come è avvenuto con la commissione Colao, di cui pure io ho fatto parte. Un tiro al bersaglio verso  quelle strutture che saranno chiamate a decidere e valutare le proposte del Next Generation Eu”. Dice che il Recovery fund “non esiste” e che dobbiamo imparare a chiamarlo con il suo vero nome (Next Generation Ue) per ricordare che sono fondi destinati alle nuove generazioni e che Recovery and resilience facilty è uno strumento creato dall’Europa anche per prepararsi ai prossimi choc. “Il senso è questo: la prossima volta non dovete chiederci soldi”. Lo spiega in questa conversazione con il Foglio, Enrico Giovannini, ex ministro del Lavoro, già presidente dell’Istat, portavoce dell’ASviS, docente. Era un possibile premier.

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C’è una letteratura che si sta sviluppando intorno ai 209 miliardi di euro che arriveranno in Italia. Si parla di “piramide” con al centro il premier, i ministri dell’Economia, e dello Sviluppo economico, di un corpo di specialisti composto da un direttore generale e di una task force da 300 funzionari per vigilare. “Ed è la prova di quella che io chiamo una distorsione cognitiva. Sta passando l’idea che quei fondi servano a recuperare qualche decimale di pil. Non è così”. Questa volta non si può fare all’italiana. Si vuole dire che spendere non basterà. Sarà necessario stabilire come, quando, perché e se la spesa avrà degli impatti significativi. “Vanno attivati progetti e riforme. E questi si preparano secondo le linee guida europee estremamente dettagliate. Ci sono domande che non possono essere evase. I 209 miliardi si sposeranno con gli altri 70 miliardi di fondi strutturali?”. Cosa cambia in questo caso? Risponde: “Cambia la governance, il coordinamento. Mi chiedo come si possa ragionare di qualcosa di tanto complesso quando si indicano le cose con il nome sbagliato”.

 

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Spiega Giovannini: “Se dobbiamo trasformare la nazione in senso ecologico, non dobbiamo forse ridiscutere la normativa sul mercato elettrico? E ancora. Se quel denaro ci permetterà di trasformare il sistema dei trasporti, come sarà possibile farlo se non si modifica il mercato dei trasporti? Tutto deve tenersi”. Sta indicando chiaramente un pericolo che non è solo semantico, ma di sostanza. “In un primo momento si è parlato dei progetti, ora di chi gestisce i progetti, ma non si parla di chi accompagna le riforme che devono sostenere i progetti di spesa”.

 

Per le riforme che chiede l’Europa sono perfino poche le risorse. Facciamo i conti. “77 miliardi per la transizione ecologica. 40 miliardi per la trasformazione digitale. Il 57 per cento dei 209 miliardi si concentrano su due settori di una complessità enorme. L’opinione pubblica non si sta concentrando su come farlo”. Servirebbe un coinvolgimento ampio, speciale che purtroppo sta mancando. Giovannini: “Sono trasformazioni che richiedono il coinvolgimento dei privati, della società civile. Qui si va perfino oltre quello che il governo da solo può decidere. Se dobbiamo, come dobbiamo, tagliare i gas inquinanti serve moltiplicare per tre o quattro l’attuale ampiezza degli impianti eolici e fotovoltaici. Ci sono competenze regionali che vanno rispettate. Cosa si fa con loro? Non si coinvolgono? E se non si coinvolgono cosa accadrà?”.

 

Accadrà, lo pensa Giovannini, che finirà per ripetersi lo scontro fra stato e regioni, il conflitto della competenza. “Le regioni impugneranno le decisioni. Al di là dell’architettura, della piramide che si può immaginare, ci sono poi i rapporti con le regioni e le città. Per questo lo chiamo un cubo di Rubik di una complessità mostruosa e noi ci arriviamo sprovvisti di una struttura adeguata, una struttura che come in altri paesi ha la missione di pensare al futuro”.

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Una notizia. Due anni fa, durante il governo Conte I, Giovannini si era rivolto al governo gialloverde. Gli suggeriva di far nascere un istituto che si occupasse di studiare il futuro e della programmazione strategica. Cosa le venne risposto? “Che non era un tema interessante”. E’ chiaro che con un istituto simile, gestire le risorse del Next Generation Ue sarebbe stato più semplice. L’Inghilterra, la Francia, Singapore se ne sono dotate. Non sono state più brave. Sanno solo ascoltare meglio. Di programmazione strategica ne ha parlato Ursula von der Leyen tanto da affidare a uno dei suoi vice questo compito. Anche la parola resilienza qui è una pulcinellata mentre dovrebbe essere qualcosa di serissimo.

 

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Ripete Giovannini: “La resilienza è il nuovo compasso delle politiche europee. Noi non sappiamo dove andare e sembriamo smarriti. Non c’è vento a favore per quel marinaio che non sa in quale porto dover andare”. Veniamo alla piramide. “E’ un problema serio. Se il piano riguarda solo i 209 miliardi la piramide può essere adatta, ma se riguarda anche gli altri 70 miliardi, la struttura potrebbe essere diversa”. Serve un vertice politico? “Serve e non può che essere l’intero Consiglio dei ministri o il Ciae, ma segnalo che dal 1° gennaio 2021 il Cipe diventerà Cipess. Le due ‘s’ stanno per sviluppo sostenibile. Un organo ci sarebbe”. Dice Giovannini che abbiamo passato mesi a lamentarci che “il governo è in ritardo” e non abbiamo speso del tempo a ragionare sull’Italia del 2030. “Il ritardo culturale c’è ma chiama in causa l’Italia come sua intera classe dirigente”.

 

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