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La notte in cui Salvini ha pensato davvero di far saltare il centrodestra

"E se noi della Lega ci astenessimo, i vostri che farebbero?". Il piano letale del Truce, nei conciliaboli con Tajani e Ronzulli. Parte la conta interna per l'imboscata contro il Cav., poi tutto si ricuce. In attesa del Mes

Valerio Valentini

Una notte di trattative parallele, prima del risveglio traumatico. Alle 10 di mattina, l'ipotesi dello strappo: la conta interna in Forza Italia per il voto in dissenso dal Cav. Poi prevale il pensiero del Quirinale. Ma i leader di Lega e FdI esigono lo scalpo di Brunetta e Gelmini

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A un certo punto la rottura era stata perfino pianificata. Quando Matteo Salvini s'è confrontato con Antonio Tajani e Licia Ronzulli, all'alba di giovedì, nel suo studio a Montecitorio, l'ipotesi era sul tavolo. "Se dico ai miei di astenerci, sullo scostamento, voi che fate?". Magari è una provocazione, uno sfogo della rabbia accumulata. Sta di fatto che in quel momento un gruppo di deputati berlusconiani si è visto telefonare da Andrea Mandelli, che tra gli azzurri filoleghisti è uno dei colonnelli, alla Camera, e s'è sentito fare la domanda fatidica: "Sareste pronti a votare in dissenso dal gruppo?". Al che loro hanno sobbalzato, perché mezz'ora prima l'avevano ascoltato dalla viva voce del Cav., l'imperativo categorico: "Votiamo lo scostamento perché le nostre proposte sugli autonomi e le partite Iva sono state accolte dal governo". E quando Antonio Martino, deputato abruzzese che al richiamo del trucismo è invece assai allergico, aveva chiesto se l'ordine di scuderia prescindeva da ciò che avrebbero fatto Lega e Fratelli d'Italia, Silvio Berlusconi era stato netto: "Noi dobbiamo votare a favore, e speriamo che gli alleati ci seguano"

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A un certo punto la rottura era stata perfino pianificata. Quando Matteo Salvini s'è confrontato con Antonio Tajani e Licia Ronzulli, all'alba di giovedì, nel suo studio a Montecitorio, l'ipotesi era sul tavolo. "Se dico ai miei di astenerci, sullo scostamento, voi che fate?". Magari è una provocazione, uno sfogo della rabbia accumulata. Sta di fatto che in quel momento un gruppo di deputati berlusconiani si è visto telefonare da Andrea Mandelli, che tra gli azzurri filoleghisti è uno dei colonnelli, alla Camera, e s'è sentito fare la domanda fatidica: "Sareste pronti a votare in dissenso dal gruppo?". Al che loro hanno sobbalzato, perché mezz'ora prima l'avevano ascoltato dalla viva voce del Cav., l'imperativo categorico: "Votiamo lo scostamento perché le nostre proposte sugli autonomi e le partite Iva sono state accolte dal governo". E quando Antonio Martino, deputato abruzzese che al richiamo del trucismo è invece assai allergico, aveva chiesto se l'ordine di scuderia prescindeva da ciò che avrebbero fatto Lega e Fratelli d'Italia, Silvio Berlusconi era stato netto: "Noi dobbiamo votare a favore, e speriamo che gli alleati ci seguano"

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Le trattative, fino alla vigilia dello scostamento

Li hanno seguiti, poi, certo. Ma non è affatto stato scontato. Perché in effetti, alla vigilia della conta in Aula, l'orientamento condiviso, ancora da confermare, era quello di un'astensione unanime del centrodestra. E allora erano stati altri, sul fronte opposto a quelli di Mandelli e Ronzulli, ad alzare la voce con Mariastella Gelmini, capogruppo alla Camera. "Ma come? Abbiamo ottenuto quello che chiedevamo e ora ci asteniamo?", aveva sbuffato Renata Polverini, che non a caso era tra quanti avrebbero forse valutato di votare a favore dello scostamento anche se dall'alto fosse arrivato l'ordine di soprassedere, visto che lei, riattivando i canali mai chiusi col segretario del Pd Nicola Zingaretti e col deputato Claudio Mancini, la più fedele tra le sentinelle parlamentari di Roberto Gualtieri, aveva ottenuto già da una settimana udienza e comprensione negli alti uffici di Via XX Settembre.  Sembrava perfino che giovedì mattina, il giorno della verità in Aula, dovesse arrivare un intervento in prima persona del Cav.: una dichiarazione, un'intervista che sembrava già pronta, nei rumor di Montecitorio, e che avrebbe dovuto dare piena copertura all'ala dialogante. In ultimo, infine, il ripensamento: "un supplemento di riflessione", si dicevano i deputati forzisti convocati nella tarda serata di mercoledì per una riunione di gruppo che poi sarebbe stata riconvocata, come detto, all'alba dell'indomani.

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La notte delle lunghe telefonate

Nel mezzo, una notte di tribolazioni, di rinfacci, di compromessi tentati e poi abortiti. E quelle diplomazie parallele che tanto hanno irritato Matteo Salvini e Giorgia Meloni. Perché, mentre per tutta la serata di mercoledì, fino a notte inoltrata, loro due erano andati avanti a trattare e mediare al telefono col Cav., nel frattempo dal gruppo dei deputati di Forza Italia si teneva un filo diretto con Gualtieri e Dario Franceschini. Era Renato Brunetta il più attivo, su questo fronte: e nel suo sfoggio di zelo, a un certo punto, avrebbe anche propiziato un contatto diretto tra il ministro dell'Economia e Berlusconi stesso. Dettagli non confermati, ma neppure smentiti, che andavano a ingrossare i sospetti e i malumori di Salvini. Che alle 8 di mattina ci pensa davvero, a far saltare il banco, con l'intento di divaricare una volta e per tutte la faglia che attraversa Forza Italia e che ormai divide in modo pressoché irreversibile i "collaborazionisti" dai "parasovranisti" (stando alle reciproche, velenose etichette con cui ciascuna truppa identifica l'altra). Quando Andrea Ruggeri, deputato azzurro, lo incrocia in ascensore, intorno alle 9 e mezza, e gli chiede lumi su come vanno le cose, la risposta è lapidaria: "Male, molto male. Coi vostri che fanno un passo avanti e due indietro, non se ne esce"

 

La tentazione di rompere, poi lo sgarbo a Brunetta e Gelmini

Seguirà ancora un'ora e più di urla e di telefonate infuocate. Tajani e Ronzulli, nel ruolo di chi prova a ricucire, si vedono messi con le spalle al muro. Salvini e Meloni meditano sul da farsi: poi vince in loro la volontà di non passare come quelli che sfasciano il centrodestra, di non fare il gioco del Pd che vuole dividere il fronte delle opposizioni. Anche perché c'è da reclamare un posto al tavolo sulla discussione sulla legge elettorale, e non possono rischiare che quella sedia la occupi solo il Cav. E c'è da pensare alle amministrative del 2021, con le grandi città tutte perse in partenza, con un centrodestra spaccato. E c'è, più in prospettiva, da guardare al gioco grande per il Quirinale che s'aprirà tra un anno. Meglio non rompere. E così decidono di inviare alle agenzie un comunicato firmato da loro due soltanto: "Siamo pronti a votare Sì". Ma lo fanno senza aver smaltito la rabbia. E infatti la conferenza stampa viene organizzata al Senato, come segnale - impercettibile fuori dal Palazzo, ma anche di questo vivono le faide della politica - di estremo smacco verso Brunetta, verso la Gelmini, verso la Polverini, verso insomma quell'ala dialogante di FI che proprio a Montecitorio è più attiva e più numerosa. Quando arrivano al Senato, per le dichiarazioni alla stampa, in Sala Nassirya c'è la capogruppo azzurra Anna Maria Bernini, ad accoglierli. Quasi si scusa col segretario della Lega e la presidente di FdI. "Siete stati dei leader, avete avuto pazienza". "Anche troppa", sbottano loro. Pochi metri più in là, Tajani muguna: "Attendiamoci ritorsioni". Il centrodestra è salvo, ma non è unito. E tra dieci giorni, quando in Aula si voterà sulla riforma del Mes, lo si vedrà una volta di più. 

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