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A ciascuno il suo (virus)

Usare la pandemia per dimostrare l’infallibilità delle proprie teorie

Il Covid, la politica e il nuovo palinsesto della normalità. Il nuovo format per resistere alla tristezza pandemica

Claudio Cerasa

In una stagione pandemica, con le ideologie che crollano, con i tabù che si superano, con il pensiero che diventa inevitabilmente flessibile, non c’è teoria che non possa essere validata mostrando cosa dimostrerebbe l’esperienza del virus. Tranne una

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Siamo tutti molto stanchi, siamo tutti molto esausti, siamo tutti desiderosi di tornare a una vita normale e siamo tutti alla ricerca ogni giorno di una qualche notizia che ci faccia credere, almeno per un istante, che la fine dell’incubo non sia così lontana, che la stagione in cui potremo fare a meno di Domenico Arcuri non sia così distante e che quella luce che si intravede al termine del tunnel sia la luce della speranza e non quella della terza ondata che arriva contromano. E così, nella nostra quotidiana ricerca di normalità, siamo diventati tutti campioni del mondo di teorie sui tamponi, siamo diventati tutti esperti mondiali di vaccini, siamo diventati tutti azzurri di Rna, in attesa di tornare a essere fantozzianamente azzurri di sci.

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Siamo tutti molto stanchi, siamo tutti molto esausti, siamo tutti desiderosi di tornare a una vita normale e siamo tutti alla ricerca ogni giorno di una qualche notizia che ci faccia credere, almeno per un istante, che la fine dell’incubo non sia così lontana, che la stagione in cui potremo fare a meno di Domenico Arcuri non sia così distante e che quella luce che si intravede al termine del tunnel sia la luce della speranza e non quella della terza ondata che arriva contromano. E così, nella nostra quotidiana ricerca di normalità, siamo diventati tutti campioni del mondo di teorie sui tamponi, siamo diventati tutti esperti mondiali di vaccini, siamo diventati tutti azzurri di Rna, in attesa di tornare a essere fantozzianamente azzurri di sci.

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In tutto questo non ci siamo però resi conto, noi tutti, di una questione cruciale che fotografa meglio di ogni editoriale il nostro desiderio genuino di tornare a osservare il mondo dimenticandoci della parentesi pandemica. E la nostra pazza, scatenata ma costante ricerca di una nuova normalità è testimoniata da un fenomeno facilmente riscontrabile nel dibattito pubblico quotidiano: la trasformazione di ogni discussione sulla pandemia in un’occasione buona per dimostrare la bontà assoluta delle proprie teorie. Ci avrete fatto caso anche voi.

 

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Ti capita di ascoltare in tv un politico di sinistra e dopo qualche minuto quel politico tenderà a dire che la pandemia non ha fatto altro che dimostrare che il mondo ha bisogno di più stato e dunque di più sinistra (modello Orlando). Ti capita di ascoltare in tv qualche magistrato antimafia molto attivo nei talk-show e dopo qualche minuto quel magistrato tenderà a dire che la pandemia non ha fatto altro che accrescere il potere della mafie (modello Gratteri). Ti capita di ascoltare in tv qualche commentatore neoborbonico e dopo qualche minuto quel commentatore ti dirà che la pandemia non ha fatto altro che dimostrare che il problema dell’Italia è aver sopravvalutato il modello di sviluppo del nord (modello Saviano). Ti capita di ascoltare in tv qualche commentatore amico del governo e dopo qualche minuto quel commentatore ti dirà che la pandemia non ha fatto altro che dimostrare che il problema dell’Italia sono le regioni governate dalla destra (modello Travaglio). Ti capita di ascoltare in tv qualche commentatore antirenziano e dopo qualche minuto quel commentatore ti dirà che la pandemia non ha fatto altro che dimostrare quanto Renzi sia stato decisivo nel rendere l’Italia non pronta ad affrontare la pandemia (modello Belpietro). Ti capita di ascoltare in tv qualche nostalgico del trumpismo e dopo qualche minuto quel commentatore, probabilmente in diretta su Rete 4, ti dirà che la pandemia non ha fatto altro che dimostrare i limiti della globalizzazione e l'inutilità dell’Europa (modello Capezzone). Ti capita di ascoltare in tv qualche sostenitore della globalizzazione e dopo qualche minuto quel globalizzatore ti dirà, con assoluta certezza, che la pandemia non ha fatto altro che dimostrare che il problema dell’Italia è la mancanza di concorrenza (modello Foglio!). E dove ti giri ti giri, in fondo, è tutto così: la-pandemia-dimostra-che. “La pandemia dimostra che l’economia è malata”, ha detto con sicurezza Papa Francesco. “La pandemia dimostra che la crisi climatica non è mai stata trattata come una crisi”, ha affermato con convinzione Greta Thunberg. “La pandemia dimostra che la globalizzazione ha molti limiti”, ha sostenuto con certezza Donald Trump.

 

Può venire da sorridere ma non c’è da biasimare nessuno: cercare una scorciatoia per rendere spiegabile il difficilmente spiegabile è un gesto che offre ristoro, è un atto che ci riconcilia con il mondo, è un atteggiamento che porta ciascuno di noi a pensare per un istante che basta fare questo o basta fare quello per evitare di ritrovarsi un domani nelle stesse condizioni di oggi. E in un certo modo, in una stagione pandemica, con le ideologie che crollano, con i tabù che si superano, con il pensiero che diventa inevitabilmente flessibile, non c’è teoria che non possa essere validata mostrando cosa dimostrerebbe l’esperienza del virus. Nessuna teoria è invalidata del tutto nella stagione del virus dilagante tranne forse una: quella di chi sostiene che per un paese come l’Italia sia più conveniente tifare per l’ostruzionismo di un governo polacco che per l’unità di un governo europeo. E oggi lo possiamo dire con assoluta certezza: la pandemia – ops! – ha dimostrato che il populismo è una boiata pazzesca.

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