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l'agenda del nazareno

Il vertice di Zingaretti coi ministri del Pd: "Se saltano le riforme, qui salta tutto"

Gualtieri desolato sul Mes: "Qui parliamo della riforma, non dei prestiti sanitari, ma nel M5s non sentono ragioni". Alla fine si opta per un passaggio in commissione venerdì, per evitare la conta in Aula. Che comunque arriverà prima del Consiglio europeo del 10 dicembre

Valerio Valentini

Il segretario chiama a raccolta gli uomini di governo del partito, li invita a stare all'erta. A inizio dicembre il vertice della verità. La strettoia del Mes in cui Conte s'è infilato è il preludio di un rimpasto a gennaio che al Nazareno ora non dispiace

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Certe volte è proprio in bocca agli uomini pacati, che i toni ultimativi risuonano con maggiore forza. E così, quando Nicola Zingaretti, martedì pomeriggio, ha spiegato che “un chiarimento ci dovrà essere per forza, perché la sospensione del tavolo delle riforme implica la rottura del patto politico su cui è nato questo governo”, i ministri e i sottosegretari del Pd, riuniti in videoconferenza, hanno sobbalzato. Non perché fosse una novità di per sé, l’impuntatura del segretario: già da giorni, al Nazareno, ribadiscono che spetta a Giuseppe Conte ricucire gli sbreghi nella tela rossogialla. Ma detto così, come un annuncio di quel che dovrà avvenire, la frase di Zingaretti è sembrata un richiamo alla mobilitazione generale. A stare all’erta, insomma.

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Certe volte è proprio in bocca agli uomini pacati, che i toni ultimativi risuonano con maggiore forza. E così, quando Nicola Zingaretti, martedì pomeriggio, ha spiegato che “un chiarimento ci dovrà essere per forza, perché la sospensione del tavolo delle riforme implica la rottura del patto politico su cui è nato questo governo”, i ministri e i sottosegretari del Pd, riuniti in videoconferenza, hanno sobbalzato. Non perché fosse una novità di per sé, l’impuntatura del segretario: già da giorni, al Nazareno, ribadiscono che spetta a Giuseppe Conte ricucire gli sbreghi nella tela rossogialla. Ma detto così, come un annuncio di quel che dovrà avvenire, la frase di Zingaretti è sembrata un richiamo alla mobilitazione generale. A stare all’erta, insomma.

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Né potrebbe essere altrimenti. Perché l’incontro d’inizio novembre che aveva radunato a Palazzo Chigi tutti i leader della maggioranza era stato un buon punto di partenza. “Ma nei 15 giorni successivi – ha insisto Zingaretti – s’è fermato tutto, certo non per causa nostra, e non si può non prenderne atto”. E così la riunione che doveva servire a elaborare la strategia di rilancio dell’azione dell’esecutivo s’è trasformata in una rapida condivisione di malumori e di sfoghi, fino a comprendere che a dover essere cambiate sono talmente tante cose, nel programma, che pare impossibile farlo senza che si cambi pure chi quel programma sarebbe chiamato ad attuarlo. E infatti se Andrea Orlando diceva che il tavolo programmatico non aveva ancora prodotto grosse tensioni, “anche perché siamo ancora alle manifestazioni di buone intenzioni”, subito dopo interveniva il ministro degli Affari europei. 

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E mentre Enzo Amendola metteva in guardia contro le possibili tentazioni accentratrici di Palazzo Chigi sul controllo dei programmi del Recovery plan, ecco che toccava al titolare dell’Economia, Roberto Gualtieri, raccontare l’impossibilità di condurre a ragione la cocciutaggine del M5s: “Perché io l’ho spiegato in tutti i modi che ciò di cui si discuterà all’Ecofin il 30 novembre non è l’attivazione del Mes sanitario, ma l’approvazione di una riforma del Mes che tra l’altro riduce le famigerate condizionalità”. Ma quelli niente, non ci sentono. “Dicono solo che, a dover votare su un qualsiasi aspetto del Mes, i loro gruppi andrebbero in subbuglio”. Al che Graziano Delrio e Andrea Marcucci, che con le isterie del grillismo hanno a che fare ogni giorno, nelle trincee di Camera e Senato, sono sbottati, recitando un rosario di lamentazioni desolante. “Se ci chiedi di indicare i punti dove ci sono i problemi, segretario, facciamo prima a dirti che i problemi sono ovunque”, ha sbuffato Delrio. “Ma vanno risolti in un confronto tra leader”, gli ha fatto eco Marcucci.

 

E così Zingaretti, di fronte al rumoreggiare collettivo – stemperato solo dai silenzi di Dario Franceschini, sconsolato pure lui ma stretto nei panni del capo delegazione e garante del patto col M5s – non poteva che allargare le braccia. E forse neppure se ne dispiaceva, se è vero che dai canali del Nazareno da qualche giorno s’è dismesso ogni zelo nello smentire indiscrezioni su possibili scossoni, sulle insofferenze crescenti della segreteria, e addirittura s’è iniziato a diffondere, tra gli altri, anche il verbo di quel Goffredo Bettini che è tornato a indicare la strada. Verso il rimpasto, appunto. Da fare non subito, certo, magari dopo l’approvazione della legge di Bilancio. Insomma a gennaio.

 

Ma a quell’epilogo bisognerà arrivarci con una sceneggiatura adeguata, col suo climax di prammatica. E così “nella prima settimana di dicembre” ci dovrà essere un nuovo vertice coi leader di maggioranza, per sciogliere la matassa di incomprensioni e furbizie che di giorno in giorno lievita. E poi, il nove dicembre, il voto in Aula sulla riforma del Mes. Perché alla fine Gualtieri, in vista dell’Ecofin di lunedì, scanserà l’insidia della conta riferendo venerdì solo alle commissioni competenti. Ma prima del Consiglio europeo di metà mese, Conte alle Camere dovrà presentarsi, e sul varo della riforma del Mes il voto dovrà pur esserci, e la strettoia sarà ostica davvero. E allora, quel che resta di dicembre, fino a Capodanno, potrebbe diventare una semplice attesa obbligata dalla sessione di bilancio prima del compiersi degli eventi. 

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