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Lo stucchevole minuetto intorno al Campidoglio

Giuliano Ferrara

Candidarsi a sindaco di Roma? Giorgia Meloni non vuole nemmeno sentirne parlare, e lo stesso vale per Zingaretti. E’ vero, il ruolo fa paura, ma i rischi sono la misura del successo, in politica e nella vita pubblica

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Continua a stupirmi il minuetto intorno a Roma, alla carica di sindaco: prima lei, no, grazie, prima lei. Prendiamo Giorgia Meloni. Non vuole sentirne nemmeno parlare. I suoi dicono che candidarsi al Campidoglio, per la segretaria del raggruppamento di destra, sarebbe “un gran favore a Salvini, povero cocco”. Il primato eventuale su un centrodestra eventuale, doppia eventualità, sarebbe nel cursus honorum di Meloni un gradino assai superiore a quello di governare la Capitale. Mi permetto di dubitarne. Giorgia Meloni è piazzata così così per una corsa incerta a quel primato politico-elettorale, la cui data di scadenza è il 2023, salvo cataclismi. Invece Roma è per la primavera prossima, in un tempo politico favorevole a una donna-sindaco che molto probabilmente avrebbe i voti per prevalere e di romanità popolare è intrisa. Lo stesso vale per Nicola Zingaretti, il segretario del Pd. E’ stato commissionato e poi più o meno secretato un sondaggio che lo dà papabile per Roma. Pare non voglia nemmeno saperne. 

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Continua a stupirmi il minuetto intorno a Roma, alla carica di sindaco: prima lei, no, grazie, prima lei. Prendiamo Giorgia Meloni. Non vuole sentirne nemmeno parlare. I suoi dicono che candidarsi al Campidoglio, per la segretaria del raggruppamento di destra, sarebbe “un gran favore a Salvini, povero cocco”. Il primato eventuale su un centrodestra eventuale, doppia eventualità, sarebbe nel cursus honorum di Meloni un gradino assai superiore a quello di governare la Capitale. Mi permetto di dubitarne. Giorgia Meloni è piazzata così così per una corsa incerta a quel primato politico-elettorale, la cui data di scadenza è il 2023, salvo cataclismi. Invece Roma è per la primavera prossima, in un tempo politico favorevole a una donna-sindaco che molto probabilmente avrebbe i voti per prevalere e di romanità popolare è intrisa. Lo stesso vale per Nicola Zingaretti, il segretario del Pd. E’ stato commissionato e poi più o meno secretato un sondaggio che lo dà papabile per Roma. Pare non voglia nemmeno saperne. 

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Della città Zingaretti è un figlio in ogni senso, scuola politica, gavetta di partito, esperienza amministrativa alla Provincia e alla Regione, e ora il Lazio è perfino ben piazzato nella classifica Rt del Covid. Al segretario, che ha dalla sua pragmatismo e ordinaria amministrazione di una politica di governo efficace, nonostante tutto, e di una formula che ha respinto l’assalto della destra ultrà, manca per unanime verdetto il carisma personale, una vera esperienza popolare, una scommessa diretta giocata e vinta. Uno dice: che aspetta a candidarsi a sindaco?

 

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Roma è una tribuna per tutto il paese, e una immensa vetrina. Realizzare qualcosa di sensato dopo Alemanno, Marino e Raggi non risulterebbe impossibile, e ogni buon colpo assestato entrerebbe nella leggenda di una grande città storica, per di più eterna, della quale in tutto il mondo si dà conto con una certa trepidante attesa. E’ per chiunque ci metta le mani, da destra o da sinistra, la classica grande occasione. Riuscire a Roma ha un peso superiore a qualunque impresa ministeriale, alla sequenza di tavoli, negoziati, vertici, dichiarazioni quotidiane alla quale i segretari, Meloni e Zingaretti, sono consegnati dal ruolo in una girandola di politica politicante piuttosto ingrata. Una gigantesca amministrazione, un campo di sperimentazione di idee riformiste, un immenso popolo, i grandi mali d’Italia da sradicare o correggere in una impresa avventurosa e bella, dirimpetto al Papa, per giunta. Alla fine Carlo Calenda sembra averlo capito. E sul ruolo nazionale della postazione di sindaco di una città importante, Renzi ha fatto scuola da quando, presa Firenze contro tutti, poi si prese tutto e governò per tre anni impostando una grande politica nazionale uscita a pezzi dalla crisi del Nazareno. In Francia la sindacatura è una prerogativa tipica delle carriere repubblicane.

 

Vero che Roma fa paura. La possibilità di un fallimento è alta. Rianimare e ordinare una città così sconquassata è arduo. Ma i rischi sono la misura del successo, in politica e nella vita pubblica. Scansarli per il prevedibile e il previsto, ignorare la scintillante esuberanza di un ruolo come il sindaco di Roma, è segno di rinuncia e di rassegnazione più che di astuzia.

 

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