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La battaglia per le cure territoriali

Filippo Anelli, il Maurizio Landini dell'Ordine dei Medici

Da tempo paladino della categoria sui giornali, ora difende i medici di famiglia (per lui non devono andare a curare i pazienti Covid a casa). Il Tar gli dà ragione, la regione Lazio ricorre

Marianna Rizzini

Allo scoppio della pandemia chiedeva più mascherine e tamponi per i medici in prima linea. A fine ottobre, intervistato dal Corriere, ha invocato meno "spettacolarizzazione" dei temi da parte dei colleghi in tv. Poi ha invocato il lockdown generale, definendo il suo "lo sfogo" di un "uomo preoccupato"

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Si chiama Filippo Anelli, è presidente della Federazione nazionale dell'ordine dei Medici, ma potrebbe anche chiamarsi Maurizio Landini, di professione sindacalista, tanto la veemenza di categoria s'è fatta, in Anelli, ultimamente, quasi quasi categoria dello spirito (come quando, qualche giorno fa, intervistato sul Corriere della Sera, ha definito la sua prece a favore di un lockdown generalizzato come “sfogo” di un uomo “spaventato e preoccupato”). E lui, Anelli, in origine medico di famiglia in zona Bari, si è fatto da tempo portatore dell'istanza collettiva “non chiamate i medici di famiglia a curare a casa i malati Covid”, con il corollario “il Covid non ha mandato in lockdown le altre patologie, e i medici di medicina generale devono poter curare nel migliore dei modi tutti i loro pazienti”.

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Si chiama Filippo Anelli, è presidente della Federazione nazionale dell'ordine dei Medici, ma potrebbe anche chiamarsi Maurizio Landini, di professione sindacalista, tanto la veemenza di categoria s'è fatta, in Anelli, ultimamente, quasi quasi categoria dello spirito (come quando, qualche giorno fa, intervistato sul Corriere della Sera, ha definito la sua prece a favore di un lockdown generalizzato come “sfogo” di un uomo “spaventato e preoccupato”). E lui, Anelli, in origine medico di famiglia in zona Bari, si è fatto da tempo portatore dell'istanza collettiva “non chiamate i medici di famiglia a curare a casa i malati Covid”, con il corollario “il Covid non ha mandato in lockdown le altre patologie, e i medici di medicina generale devono poter curare nel migliore dei modi tutti i loro pazienti”.

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Fatto sta che oggi la storia, la sorte, la Nemesi o tutte e tre insieme le sfumature del fato e della realtà gli hanno dato ragione, sotto forma di sentenza del Tar del Lazio, il tribunale che ha accolto parzialmente il ricorso presentato dal Sindacato dei medici italiani (Smi) contro alcuni provvedimenti della Regione Lazio (ora pronta a ricorrere). La funzione di assistenza a domicilio spetta alle unità speciali (Usca), per non distogliere i medici di famiglia dai compiti di assistenza ordinaria ai malati non Covid, è stata la motivazione della sentenza a cui Anelli ha tributato “piena condivisione”, ché per lui l'affidamento ai medici di medicina generale del compito di assistenza ai malati Covid risulta “in contrasto con la normativa emergenziale”.

  

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E se le Usca non ci sono? Colpa delle Regioni, dice Anelli, nella veste di paladino della categoria. In primavera, quando la pandemia sferrava i prima colpi, difendeva invece la prima linea dei colleghi con parole accorate: “Ma quali eroi, servono mascherine, guanti, visiere, tamponi da fare ogni cinque giorni a chi lavora in ospedale. Quello che ancora non si è capito è che se non si proteggono i medici non si proteggono i cittadini”. E se i futuri ricorrenti contro il Tar del Lazio, oggi, obiettano che la sentenza del Tar non tiene conto “dell'evoluzione del ruolo dei medici di famiglia nel contrasto alla pandemia”, Anelli, già da tempo, nella veste para-sindacale, sottolinea quella che nelle sue parole pareva la trave nell'occhio altrui, e parla di “…ritardo abnorme nel rinnovo dell’organizzazione dei servizi territoriali” e di “abbandono” dei medici di famiglia, “lasciati a se stessi…a gestire nuovi strumenti di intervento come i tamponi senza l’ausilio degli infermieri”. E ora chi aveva invocato, contro i medici di famiglia, il giuramento di Ippocrate, rifacendosi, per contrasto, alle immagini dei medici in prima linea in ospedale (come dire: aiutiamoli, andate a curare i pazienti Covid a casa), deve arrendersi comunque alla linea giudiziaria.

  

Poi c'è il lato mediatico, a questo punto non eludibile. Ed è qui che Anelli, già specializzato in Reumatologia e Farmacologia clinica, con scelta per la medicina porta a porta, ha messo a frutto l'esperienza di comunicazione diretta con il cittadino maturata negli anni in cui, a Bari, raccoglieva in un volume le campagne di comunicazione dall'Ordine dei medici locale, con l'idea di applicare alla Sanità il linguaggio pubblicitario, per colmare il vuoto di comprensione tra dottore e potenziale paziente. Fatto sta che il presidente Fnomceo, il 31 ottobre, intervistato dal Corriere della Sera, si scagliava contro la “spettacolarizzazione”: “Se in tv i medici dicono una cosa e il suo contrario, lo spettatore non capisce perché deve fare i sacrifici. Chi sta perdendo di più accoglie le tesi negazioniste. E poi c’è il problema dei posti in ospedale per le altre malattie”. Meno tv e più corsie, ribadiva. Per poi in qualche modo spettacolarizzare (drammatizzando) lui stesso, il 9 novembre, anche se su carta stampata, sempre sul Corriere: la gente non ha capito il senso delle regioni a colori (“non vuol dire poter fare il proprio comodo”). E aggiungeva che le sue non erano critiche ma, appunto, “sfoghi”, e il Landini che era in lui tornava a galla: “Non posso non denunciare il fatto che in molte regioni medici specialisti vengano utilizzati come internisti per coprire gli organici dei reparti Covid”, e che “in Piemonte i medici devono svolgere anche mansioni da infermieri per mancanza di personale”. E pensare che non si era ancora materializzato il responso Tar.

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