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Il retroscena

Il realismo di Mattarella sul governo impossibile con Forza Italia

Il muro del M5s rende impraticabile l'ingresso degli azzurri. Anche il Pd lo sa, anche se attende che Conte prenda un'iniziativa

Simone Canettieri

Dal capo dello stato messaggi ad "affrontare insieme" il virus, ma anche una convinzione: non ci sono margini per una crisi di governo. E così si punta sull'ipotesi soft: coinvolgere l'opposizione moderata. Prima segnali in Senato

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“Questo virus tende a dividerci, affrontiamo insieme il nemico comune”. L’appello lanciato oggi dal Quirinale – in occasione della 37esima assemblea dell’Anci – non tragga in inganno. Nonostante questo ennesimo messaggio, sul Colle più alto di Roma regna un realismo inscalfibile.

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“Questo virus tende a dividerci, affrontiamo insieme il nemico comune”. L’appello lanciato oggi dal Quirinale – in occasione della 37esima assemblea dell’Anci – non tragga in inganno. Nonostante questo ennesimo messaggio, sul Colle più alto di Roma regna un realismo inscalfibile.

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Il presidente Sergio Mattarella continua infatti ad assistere all’interlocuzione – sulla stampa e non solo – tra Forza Italia e il resto della maggioranza che sostiene Conte con l’occhio dell’arbitro che non interviene e che lascia giocare le squadre.

 

Ma con una convinzione: in questo momento, un rimpasto di governo comporterebbe l’apertura di una crisi e quindi il via alle consultazioni, il giuramento al Quirinale e dunque il ritorno alle Camere per la fiducia al nuovo esecutivo.

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Manovre politiche (e fisiche) che nel mezzo di una pandemia sarebbero mal viste dagli italiani oltre che scomode e pericolose logisticamente.

C’è inoltre il timore che aggiungendo un mattone possa venir giù tutta la casa, è il ragionamento che rimbalza in queste ore. Ecco perché scartata questa ipotesi, ne rimangono due: il sostegno esterno di FI o, più semplicemente, “convergenze e  collaborazione”, come ribadito dal capo dello stato, su punti qualificanti. E comunque in Parlamento.  

 


 

Un auspicio,  certo. Ma niente di più. Anche perché in questa fase Mattarella si limita a osservare e a favorire punti di contatto “per uscire insieme dalla crisi” senza proporre a Conte la soluzione. Quella spetta, come recita la Carta, alle forze di maggioranza e al governo, ripetono in maniera pedissequa dal Quirinale. Dove però non sfugge, seppur in veste di osservatori privilegiati, l’attuale situazione del quadro politico. 

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A sbarrare le porte di un ingresso di Forza Italia nel governo, ammesso che poi gli azzurri lo vogliano sul serio aprendo una frattura insanabile con gli alleati, c’è il muro del M5s. Un muro impossibile da buttare giù.

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Luigi Di Maio, il più pragmatico tra i grillini, parla con tutto lo stato maggiore forzista. E da tempo. Negli ultimi giorni ha anche mandato messaggi in “chiaro” di collaborazione alla parte più moderata dell’opposizione, consapevole però di non potersi spingere, anche volendolo, troppo in avanti. Silvio Berlusconi rimane per il tormentato mondo pentastellato comunque un piatto troppo difficile da digerire, una delle principali ragioni sociali alla base della nascita del vaffa beppegrillista.

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Un tabù, dunque. Tuttora. Soprattutto perché in questa fase post Stati generali c’è sempre l’ala più dura di Di Battista che il ministro degli Esteri deve  evitare di alimentare. E quindi i veti interni e una certa impraticabilità di campo fanno sì che lo spazio di manovra sia più che mai angusto. Al massimo maggioranza e “chi ci sta” possono trovare voti comuni su singoli, seppur importanti, atti. Si è detto della manovra con i doppi relatori (strada sempre più in salita).

 

Si è parlato di una conferenza dei capigruppo congiunta. Si cercano luoghi e corridoi di palazzi dove iniziare a lavorare insieme. In questo senso un segnale, seppur minimo, c’è stato l’altro giorno a Palazzo Madama. Quando,  per la prima volta, in commissione Cultura del Senato maggioranza e opposizione hanno firmato lo stesso emendamento a favore di teatri e spettacolo dal vivo. “Se son rose...”, ha twittato Andrea Cangini, capogruppo di FI, in commissione Cultura, e molto vicino all’ala aperturista di Mara Carfagna. Ma può questa rondinella chiamare la primavera? 

Anche dalle parti del Pd sono pervasi dall’idea che non ci siano le condizioni per allargare il governo, al di là dei desiderata di Goffredo Bettini. Ma, allo stesso tempo, gli uomini di Nicola Zingaretti dopo aver inaugurato pubblicamente un canale di dialogo con Berlusconi (che parte dalla stampa e finisce nel salotto di Barbara D’Urso) sono consapevoli di quanto sia minata la strada del dialogo. Al massimo riforme e manovra, come auspica da sempre anche Dario Franceschini, il primo a cogliere l’occasione dell’ultimo referendum per lanciare l’amo di una legge elettorale condivisa con tutte le forze di maggioranza.

 

“Deve essere Conte comunque a governare questo processo, anche quello più soft”, ripetono dal Nazareno, abbastanza rassegnati a una situazione che difficilmente potrà portare al sogno dei sogni: dividere per sempre l’ala moderata di Silvio Berlusconi da quella sovranista di Giorgia Meloni e Matteo Salvini.

Scenari da cui il capo dello stato si tiene fuori, auspicando “lo stop a polemiche scomposte” e anche, tra le righe, la fine del toto-bis che lo riguarda. Chi lo frequenta dice che “il presidente non è disponibile” a un altro mandato tout court. Nemmeno a tempo. Perché, semplicemente, non lo prevede la Costituzione.

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