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Una richiesta per Speranza

Meglio ridurre i parametri del piano di monitoraggio Covid

Rivedere gli indicatori di rischio. Anche nel Cts si discute di semplificare il meccanismo, e la cosa non dispiace a Conte

Marianna Rizzini

Il dilemma dei ventuno. Meglio 5? Puntare solo su terapie intensive e ricoveri? La questione dei dati: valutare quelli del giorno prima? La richiesta di riduzione intanto è già partita (vedi cabina di regia)

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Ventuno parametri per salvarsi, ventuno parametri per impazzire, ventuno parametri che diventano, via via, come i “21 grammi” del film di Alejandro González Iñárritu, quelli che misurano il peso dell’anima, solo che qui in ballo ci sono il peso e l’incisività della risposta al virus. E insomma sono giorni che i ventuno indicatori del rischio Covid, messi a punto dall’Iss e introdotti con un decreto del ministero della Salute a fine aprile, sono al centro del dibattito nel governo, nella cabina di regia e nel Cts, nell’improvviso, scomodo ruolo di capro espiatorio. E così, nei giorni scorsi, dalla cabina di regia e da alcuni membri del Cts è partita, in via informale, la richiesta di “aggiornare” l’algoritmo di quello che è stato descritto dal premier come “bussola” per il piano d’azione a zone differenziate.

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Ventuno parametri per salvarsi, ventuno parametri per impazzire, ventuno parametri che diventano, via via, come i “21 grammi” del film di Alejandro González Iñárritu, quelli che misurano il peso dell’anima, solo che qui in ballo ci sono il peso e l’incisività della risposta al virus. E insomma sono giorni che i ventuno indicatori del rischio Covid, messi a punto dall’Iss e introdotti con un decreto del ministero della Salute a fine aprile, sono al centro del dibattito nel governo, nella cabina di regia e nel Cts, nell’improvviso, scomodo ruolo di capro espiatorio. E così, nei giorni scorsi, dalla cabina di regia e da alcuni membri del Cts è partita, in via informale, la richiesta di “aggiornare” l’algoritmo di quello che è stato descritto dal premier come “bussola” per il piano d’azione a zone differenziate.

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La criticità del sistema “a ventuno parametri” è emersa anche per via del problema collaterale: i dati devono essere inviati dalle regioni. E sono dati che, spalmandosi su così tanti indicatori, e non essendo sempre raccolti uniformemente e accuratamente, rischiano di rallentare la macchina della risposta all’emergenza. Al ministro della Salute Roberto Speranza è stata dunque fatta pervenire in via riservata una richiesta di aggiornamento, modifica e alleggerimento di un meccanismo che, racconta un esperto, “con il passare dei mesi, e con il riaggravarsi della situazione, rischia di far venire il mal di testa anche a noi, pur essendo accuratissimo”. Il punto infatti non è né la validità scientifica né la precisione del metodo, quanto i problemi operativi che può creare sul campo. Se si vogliono riscontrare informazioni utili al momento di emergenza presente, è dunque il concetto espresso nella richiesta informale, si proceda a sfrondare, perché ventuno parametri, in questa situazione, possono creare – questo il sentire di alcuni esperti – un vero “delirio”. Non solo: la richiesta di semplificare, affidandosi soltanto ad alcuni indicatori di rischio imprescindibili, dicono negli ambienti governativi, è in sintonia anche con l’orientamento del premier Giuseppe Conte, a volte perplesso di fronte a qualche eccessiva complessità. Altro rilievo, quello del ritardo dei dati rispetto al reale (finora si riferiscono a una settimana prima). Per decidere quale zona è rossa e quale no e a che punto si è bisognerebbe quindi fornire, dicono i critici, “dati dei ricoveri e delle terapie intensive più recenti, meglio se risalenti al giorno prima”. Anche dal Cts è giunto a un certo punto il consiglio: meglio “rivedere” alla luce della situazione epidemiologica, e puntare su un numero minore di criteri ma con dati aggiornati, per poter agire con aderenza alla situazione. Nella cabina di regia, intanto, si ragiona su una riduzione a cinque o sei parametri. E però c’è anche un problema a monte: i dati che arrivano, quanto sono affidabili? Sempre l’Iss ha messo a punto un sistema di controllo dei dati in arrivo dalle regioni. Ma per quanto il controllo sia accurato, e per quanto il sistema sia sofisticato, e per quanto i criteri siano interconnessi, anche se non tutti equivalenti nella gerarchia di gravità, è ormai opinione non isolata, anche tra i ministri, che un “tagliando” al meccanismo sia urgentissimo. E le regioni? Il sottosegretario alla Salute Sandra Zampa è convinta che “andrebbe fatto”, dice al Foglio, “anche se certamente non adesso, un ripensamento dell’equilibrio-poteri tra centro e regioni, attraverso una riforma del Titolo V della Costituzione”. 

 

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Ma oggi i 21 parametri ancora guidano la decisione sui “passaggi di colore” dei vari territori, nella loro divisione in sottoinsiemi: quelli che indicano la capacità di monitoraggio, quelli che indicano la capacità di accertamento diagnostico, l’indagine e la gestione dei contatti, e  quelli che indicano la tenuta dei servizi sanitari. Tra i primi figurano il numero dei casi sintomatici, tra i secondi la percentuale di tamponi positivi. E proprio sui tamponi si è aperto un altro dubbio: le regioni devono calcolare anche gli antigenici o soltanto i molecolari? E però, nella babele di indicatori, a un certo punto ieri lampeggiava una piccola luce, nei colloqui governo-esperti: la crescita dei contagi c’è (da cui le ulteriori restrizioni), ma non è più “esponenziale”.

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