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I nominati esprimono la qualità di chi li nomina. I casi emblematici di Tiani&Co.

Marco Bentivogli

Questa politica fa rimpiangere addirittura il Pentapartito. Le lottizzazioni venivano almeno giustificate e difese. Non erano il frutto delle fragilità esistenziali di un gruppo dirigente povero di relazioni generative e autentiche

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Sinistra, destra, keynesiani e liberisti, un indicatore vero della propria parola, come diceva il gigantesco Arturo Paoli, è la propria testimonianza. Altrimenti la parola è delegittimata: destra, sinistra, onesti, disonesti, aria fritta. Pensate, era uno che diceva: “Non bisogna fare elemosina ai poveri ma fare in modo che formino la nostra identità”. La primavera e l’autunno sono state stagioni di nomine. Partecipate e posti chiave che con l’emergenza qualificano chi questo governo vuole indicare come elemento di svolta e chi come elemento di semplice discontinuità con il passato. Le vicende Rai, Cdp, Tiani, Cotticelli, Zuccatelli sono emblematiche. Il paese si è accanito con i nominati chiedendone la ghigliottina dopo il pubblico ludibrio. Nessuno ha chiesto a Speranza, Boccia, Emiliano la ratio con cui avevano nominato cotanti “tecnici” esperti di cationi e altre fandonie. Forse per questo continuano a nominare il povero Arcuri. All’inizio non capivo perché Domenico, persona perbene, si prestasse a un simile gioco. Dopo la nomina sulla distribuzione dei vaccini ho capito. Arcuri è il nostro Signor Malaussène dei romanzi di Daniel Pennac. Arcuri è il responsabile della qualità di un magazzino che vende merce di pessima qualità e che lo utilizza come capro espiatorio da licenziare (per finta) davanti ai pochi clienti che si lamentano. Perché costa meno un capro espiatorio che migliorare la qualità del prodotto.

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Sinistra, destra, keynesiani e liberisti, un indicatore vero della propria parola, come diceva il gigantesco Arturo Paoli, è la propria testimonianza. Altrimenti la parola è delegittimata: destra, sinistra, onesti, disonesti, aria fritta. Pensate, era uno che diceva: “Non bisogna fare elemosina ai poveri ma fare in modo che formino la nostra identità”. La primavera e l’autunno sono state stagioni di nomine. Partecipate e posti chiave che con l’emergenza qualificano chi questo governo vuole indicare come elemento di svolta e chi come elemento di semplice discontinuità con il passato. Le vicende Rai, Cdp, Tiani, Cotticelli, Zuccatelli sono emblematiche. Il paese si è accanito con i nominati chiedendone la ghigliottina dopo il pubblico ludibrio. Nessuno ha chiesto a Speranza, Boccia, Emiliano la ratio con cui avevano nominato cotanti “tecnici” esperti di cationi e altre fandonie. Forse per questo continuano a nominare il povero Arcuri. All’inizio non capivo perché Domenico, persona perbene, si prestasse a un simile gioco. Dopo la nomina sulla distribuzione dei vaccini ho capito. Arcuri è il nostro Signor Malaussène dei romanzi di Daniel Pennac. Arcuri è il responsabile della qualità di un magazzino che vende merce di pessima qualità e che lo utilizza come capro espiatorio da licenziare (per finta) davanti ai pochi clienti che si lamentano. Perché costa meno un capro espiatorio che migliorare la qualità del prodotto.

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Il problema è che la cattiva politica si vede proprio dalle nomine. Siamo passati dalla stagione delle Authority, per definizione autorità indipendenti, a nomine di individui che nel cv hanno scritto (non è uno scherzo) di essere stati compagni di classe, non ad Harvard, ma del liceo di Pomigliano di un ministro in carica. Siamo un paese che si scatena contro la meritocrazia, la chiamiamo meritorietà per non essere assimilati all’ennesima “fine del neoliberalismo”. In realtà è sbagliato immaginare che il merito coincida col titolo di istruzione, ma esso dovrebbe fare riferimento almeno all’istruzione o a un minimo di esperienza: nessuno dei due vuol dire avere buoni amici in posti chiave, spesso essi stessi miracolati dalla notte della politica. La cifra del gruppo dirigente si vede dalla filiazione. Nel nostro paese ha rischiato di diventare capo dei Carabinieri uno che dice: “Non so se sono stato drogato”. Oppure si mette alla guida di InnovaPuglia uno che è stato vicequestore e spaccia i cationi emanati da un talismano come soluzione al contagio e alle pandemie. Se il movimento anticasta per eccellenza, quando arriva al potere, sistema in posti chiave fidanzate, compagni di banco, amici è troppo facile prendersela con i “nominati”; e se il partito della sinistra cui diamo il voto non si comporta diversamente il problema è endemico.

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Governatori che utilizzano le nomine per il loro consenso in campagna elettorale, fatte con la pesca a strascico populista e che con disinvoltura si nascondono dopo le prime evidenze dell’immondizia che hanno ammassato per raccogliere voti. Ministri che senza imbarazzo alcuno conferiscono incarichi strategici a compagni di partito. Insomma, una volta valeva la ragion di parte e di partito, oggi con la “caporalizzazione” dei partiti il livello si è abbassato sotto limite. Caporali che conoscono innovatori a un aperitivo e gli affidano l’innovazione di un paese. Costruiscono personaggi su copertine dei rotocalchi, chiamano gli amici in Rai e i giornalisti amici per sponsorizzarli. E poi si scagliano contro la meritocrazia, perché se neanche in questo vale la loro discrezionalità, che cosa ci stanno a fare? Questa politica fa rimpiangere addirittura il Pentapartito. Le lottizzazioni venivano almeno giustificate e difese. Non erano il frutto delle fragilità esistenziali di un gruppo dirigente povero di relazioni generative e autentiche. Quarantenni che funzionano più in una coreografia di Muccino che alla guida di un grande paese come l’Italia.

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