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caos nel carroccio

Mediaset, lo sfregio di Salvini al Cav. E intanto la Lega prepara il rimpasto in Lombardia

Al Senato si vota l'emendamento per proteggere Mediaset dalle mire di Vivendi. La Lega è l'unica opporsi. Il cortocircuito col Copasir. Poi la retromarcia: "In Aula ci asteniamo"

Valerio Valentini

Il Capitano prima organizza una scomposta operazione contro il Biscione, poi chiama Berlusconi e si scusa. Segno di un partito nel caos, che venerdì processerà Fontana, Gallera e tutta la giunta del Pirellone

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La telefonata di scuse è arrivata che il fattaccio s’era appena compiuto. “Silvio, ma figurati. Quale segnale di ostilità? E’ solo che avevo dato mandato ai miei di votare sempre conto il governo, e quell’emendamento c’è finito di mezzo”. Tutto chiarito, quindi. Anzi no. Perché l’emendamento in questione, quello presentato dal Pd e appoggiato da tutti, in commissione Affari costituzionali al Senato, fuorché dalla Lega, è uno di quelli che tocca ciò che per il Cav. c’è di più caro: e cioè Mediaset e il suo futuro, la possibilità di respingere la scalata ostile di Vivendi. “Quelli - sospira chi ha avuto modo di sentire il quartier generale di Arcore - sono i fili dell’alta tensione”. E dunque Salvini ora ha un bel dire che s’è trattato di una svista, di un errore. Ma in mattinata, quando nulla sembra preludere all’incidente, Anna Maria Bernini, capogruppo azzurra a Palazzo Madama, avvicina l’omologo leghista Massimiliano Romeo, gli ricorda l’importanza del voto, si premura che sia tutto chiaro. “Tutto a posto”, sorride Romeo.

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La telefonata di scuse è arrivata che il fattaccio s’era appena compiuto. “Silvio, ma figurati. Quale segnale di ostilità? E’ solo che avevo dato mandato ai miei di votare sempre conto il governo, e quell’emendamento c’è finito di mezzo”. Tutto chiarito, quindi. Anzi no. Perché l’emendamento in questione, quello presentato dal Pd e appoggiato da tutti, in commissione Affari costituzionali al Senato, fuorché dalla Lega, è uno di quelli che tocca ciò che per il Cav. c’è di più caro: e cioè Mediaset e il suo futuro, la possibilità di respingere la scalata ostile di Vivendi. “Quelli - sospira chi ha avuto modo di sentire il quartier generale di Arcore - sono i fili dell’alta tensione”. E dunque Salvini ora ha un bel dire che s’è trattato di una svista, di un errore. Ma in mattinata, quando nulla sembra preludere all’incidente, Anna Maria Bernini, capogruppo azzurra a Palazzo Madama, avvicina l’omologo leghista Massimiliano Romeo, gli ricorda l’importanza del voto, si premura che sia tutto chiaro. “Tutto a posto”, sorride Romeo.

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Tutto a posto mica tanto, però. Perché un’oretta più tardi, in commissione Affari costituzionali, prende la parola Ugo Grassi, professore irpino di diritto civile eletto col M5s e passato con la Lega nel dicembre scorso. “Questa proposta non solo è sbagliata, ma rischia perfino di essere incostituzionale”, argomenta, con cipiglio da giurista. Poi il tono si fa stentoreo, sotto lo sguardo compiaciuto di quella vecchia volpe di Roberto Calderoli, e Grassi si rivolge ai suoi ex compagni grillini. E provocatoriamente gli chiede se davvero, votando questo emendamento, vogliono rinnegare del tutto l’antiberlusconismo. Al che Gianluca Perilli, grillino, lo fulmina: “Se c’è qualcuno che qui ha saltato la barricata, questo sei tu”. 

 

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Ne nasce un garbuglio di accuse e insinuazioni, con quelli di Forza Italia che quasi non ci credono: intervengono allora Renato Schifani e Luigi Vitali. “E del resto il senso di questa norma sta racchiuso nei moniti che ci sono giunti dal Copasir sui rischi di scorribande straniere tra le nostre grandi aziende”, incalza Maurizio Gasparri. “Il presidente del Comitato, il leghista Volpi, sventola la bandiera del ‘prima gli italiani’, e voi invece predicate la svendita”. E in effetti, nell’ultima relazione del Copasir, a pagina 33, vengono espresse chiaramente “preoccupazioni in ordine a possibili strategie di penetrazione di operatori stranieri nell’ambito di settori di rilevanza strategica per la sicurezza del paese”, e il primo comparto citato è quello delle “telecomunicazioni”. Il riferimento alle mire di Vincent Bolloré sul Biscione, anche a non volercelo vedere, salta agli occhi comunque. Solo che Salvini ci vede i fantasmi, in quell’emendamento presentato dalla dem Valeria Valente: ci vede la riverenza del governo (di Stefano Patuanelli e Roberto Gualtieri, titolari del dossier, e di Giuseppe Conte) nei confronti del Cav., e alla luce di questa legge i toni concilianti e pacati del leader di FI nei confronti dell’esecutivo nelle recenti interviste. E sentendosi escluso da una trama che gli passa sopra la testa, prova a stracciarla. 

 

Alla fine si vota, e i leghisti sono gli unici a opporsi. Alessandro Morelli, che di editoria e tlc è il responsabile nel Carroccio, in quello stesso momento, di fronte al ministro Gualtieri audito in vigilanza Rai, fa riferimento all’episodio e lo rivendica, per dimostrare come il suo partito sappia opporsi alle manovre che tagliano fuori il Parlamento.  Ma la mossa di Salvini è così sgraziata, lo sgarbo così plateale, che dopo aver mostrato i muscoli, il Capitano deve chinare il capo, a imporre la ritirata. “In Aula, sull’emendamento, ci asteniamo”. 

 

La giornata, d’altronde, per Salvini ha già avuto un’altra pena, e lui è stato per lo più dietro a quella. Perché dalla Lombardia gli arrivano sin dall’alba gli echi della protesta dei suoi parlamentari e dei consiglieri regionali, per non dire di militanti e sindaci. Così, con questa giunta allo sbando, non si può più andare avanti. Il più criticato, bersagliato e ingiuriato da tutti, è il solito Giulio Gallera. Bisogna rimuovere l’assessore al Welfare, bisogna cacciarlo: la richiesta è unanime. “Almeno lui va cambiato”, insistono i lumbàrd, in un guazzabuglio di accuse che travolge un po’ tutti, e che per proprietà transitiva risale per li rami fino ai vertici del Pirellone. Perché, come va ripetendo da qualche giorno Giancarlo Giorgetti, se Gallera è indifendibile, chi lo difende diventa indifendibile. Vale per Attilio Fontana, evidentemente, e non solo per lui. Perché la Lega, tutta, su un eventuale tracollo sanitario della Lombardia si giocherebbe la faccia. E quindi bisogna agire, quanto meno trovare un capro espiatorio. Salvini, che tanto ha tentennato sul rimpasto lombardo, alla fine si convince: venerdì ci sarà un vertice di maggioranza al Pirellone: il minimo che succederà, sarà il processo a Gallera e la sua inevitabile defenestrazione. E potrebbe anche non finire lì.

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