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L’inondazione degli annunci ispira non più composta paura ma scomposto conflitto di opinioni

Giuliano Ferrara

Dopo tanti dpcm costruiti come il codice della strada, è arrivato il frazionamento delle responsabilità. I deliri esponenziali e il diritto della gente di non capirci più niente

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In un paese come il nostro, che per Arbasino era un “paese senza” stato e senza molte altre cose, al minimo cedimento del potere centrale, esecutivo, specie in un’emergenza, corrisponde immediatamente lo spaesamento. Ora la ditta del Viagra garantisce un vaccino buono al 90 per cento, ma a parte le borse che gioiscono è escluso se ne possa fruire prima della prossima estate, e l’inverno è lungo. Si ha il diritto di non capirci più niente, l’inondazione degli annunci è scabrosa, plateale, ispira non più la composta paura dello scorso mese di marzo ma lo scomposto conflitto delle opinioni. Le regioni parlano ciascuna la sua lingua, inscriverle in una cartina colorata diseguale allo scopo di abbattere la curva dei contagi e salvare il sistema ospedaliero e di cura riabilita l’uso politico o politicante dei dati sanitari, incrociati con i bisogni economici e sfuggenti a un denominatore comune. Contano di nuovo i consensi percepiti, gli interessi legittimi delle categorie e dei settori che nel richiudere tutto si vedono annientati, alle classi dirigenti territoriali si associano poi l’ordine dei medici, che vuole la chiusura totale uniforme, e cento voci autorevoli che definiscono fuori controllo la situazione, così la paura si moltiplica in sentimenti ondeggianti, uno si isola l’altro socializza, si familiarizza l’idea di una influenza per vecchi e malati, al tempo stesso ci si ritrova sulla scala A del condominio, a scuola per i più piccini, gli effetti della moltiplicazione evidente e esponenziale dei casi, e a ciascuno si avvicina con le notizie da un amico, da un parente, questo mostriciattolo virale che si lascia trattare anche da beffa. 

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In un paese come il nostro, che per Arbasino era un “paese senza” stato e senza molte altre cose, al minimo cedimento del potere centrale, esecutivo, specie in un’emergenza, corrisponde immediatamente lo spaesamento. Ora la ditta del Viagra garantisce un vaccino buono al 90 per cento, ma a parte le borse che gioiscono è escluso se ne possa fruire prima della prossima estate, e l’inverno è lungo. Si ha il diritto di non capirci più niente, l’inondazione degli annunci è scabrosa, plateale, ispira non più la composta paura dello scorso mese di marzo ma lo scomposto conflitto delle opinioni. Le regioni parlano ciascuna la sua lingua, inscriverle in una cartina colorata diseguale allo scopo di abbattere la curva dei contagi e salvare il sistema ospedaliero e di cura riabilita l’uso politico o politicante dei dati sanitari, incrociati con i bisogni economici e sfuggenti a un denominatore comune. Contano di nuovo i consensi percepiti, gli interessi legittimi delle categorie e dei settori che nel richiudere tutto si vedono annientati, alle classi dirigenti territoriali si associano poi l’ordine dei medici, che vuole la chiusura totale uniforme, e cento voci autorevoli che definiscono fuori controllo la situazione, così la paura si moltiplica in sentimenti ondeggianti, uno si isola l’altro socializza, si familiarizza l’idea di una influenza per vecchi e malati, al tempo stesso ci si ritrova sulla scala A del condominio, a scuola per i più piccini, gli effetti della moltiplicazione evidente e esponenziale dei casi, e a ciascuno si avvicina con le notizie da un amico, da un parente, questo mostriciattolo virale che si lascia trattare anche da beffa. 

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In certi momenti si ha nostalgia di quando i filosofi puri asini denunciavano un progetto per eliminare la libertà e il dissenso, perché il loro straparlare di dittatura sanitaria dava adito all’idea che in effetti certe cose importanti fossero decise, decise senza sconti, decise presto, decise per il bene comune più importante del pil o del consenso maggioritario. Ora, dopo tanti dpcm costruiti come il codice della strada, è arrivato il frazionamento delle responsabilità, qui si passa col rosso, qui col giallo, qui col verde, e la mentalità collettiva si ingorga nell’insicurezza e nella rassegnazione, il tricolore che era esposto sui balconi ora lo si brucia, ciascuno vuole essere autonomo, fare da sé, ma fare cosa non si sa, la prerogativa logica e fattuale di una pandemia è che riguarda tutti e tutti più o meno nella stessa misura, con lo stesso grado di rischio. Ieri il rischio era misurato tutti i giorni alla stessa ora da tutti, vissuto da nuclei familiari e persone inchiodati al Bollettino nazionale della disgrazia, ora il riconducimento a uno, alla semplicità delle misure fondata sulla verificabilità e sulla centralizzazione dei dati, tutto questo è in parte compromesso.

 

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E’ appena ovvio che in un momento di crisi vera, quando la capoinfermiera dell’Istituto Sacco tratta il virus che ha sconvolto la sua e tante altre vite come “il male”, male con l’articolo determinativo che assolutizza la piaga della peste virale, quando si rilanciano le immagini di file disperate ai Pronto soccorso e si reimbastisce la tragedia delle terapie intensive, in tale situazione il primo ossigeno di cui si ha bisogno è la capacità di guida come presa in carico, decisione sostitutiva di un diritto individuale: non andrai a Ostia sul Lungomare o in via Caracciolo a Napoli a far baldoria, con la mascherina o senza, perché qualcuno ha deciso altrimenti per te. Senza paternità o maternità non c’è autorità che tenga, non c’è cura dai mali estremi della vita, non c’è criterio di condotta. Gradualità e decentramento sono concupiscenza potenziale, garantiscono desiderio, speranza, libero arbitrio, e anche incoscienza, deresponsabilizzazione, e appunto spaesamento. Certo non sono fatti per indurre comportamenti utili nel delirio dell’Esponenziale.

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