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Governare il populismo

Il voto americano ricorda anche all'Europa che il trumpismo non è un virus passeggero

I risultati americani e gli effetti fuori dall'America. L’altra seconda ondata, politica, che l’Europa non può sottovalutare

Claudio Cerasa

L’Europa si presenta solida all’appuntamento con la possibile ondata di ritorno del trumpismo ma vi sono alcuni elementi di fragilità che nel futuro prossimo potrebbero rendere il nostro continente permeabile a una recrudescenza del trumpismo europeo. Dal virus all'assedio alle democrazie liberali. Appunti per orientarsi

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Per tutti coloro che hanno a cuore il rispetto della società aperta, la tutela della democrazia liberale, la guerra contro il complottismo, la passione per la globalizzazione, la devozione per l’atlantismo, il disprezzo per la xenofobia e la dedizione per quello che è stato a lungo il sogno americano, la sola prospettiva che sia possibile una sconfitta di Donald Trump è una prospettiva  da sogno, pur maturando in uno scenario elettorale da incubo all’interno del quale non si è purtroppo visto il mega calcio nel sedere che ogni antitrumpiano che si rispetti si augurava di vedere nella giornata di ieri.

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Per tutti coloro che hanno a cuore il rispetto della società aperta, la tutela della democrazia liberale, la guerra contro il complottismo, la passione per la globalizzazione, la devozione per l’atlantismo, il disprezzo per la xenofobia e la dedizione per quello che è stato a lungo il sogno americano, la sola prospettiva che sia possibile una sconfitta di Donald Trump è una prospettiva  da sogno, pur maturando in uno scenario elettorale da incubo all’interno del quale non si è purtroppo visto il mega calcio nel sedere che ogni antitrumpiano che si rispetti si augurava di vedere nella giornata di ieri.

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Nelle prossime ore il futuro dell’America sarà ovviamente più chiaro. Ma nell’attesa di poter capire con certezza qual è la dimensione del risultato ottenuto da Trump c’è un grande tema da mettere a fuoco che si accompagna al voto americano e che riguarda una questione che tocca il continente nel quale ci troviamo. E il tema è grosso modo sintetizzabile così: il voto americano ha dimostrato che il virus del trumpismo era tutto tranne che un malessere passeggero e alla luce di questa considerazione occorre non essere eccessivamente ottimisti sulla possibilità che nei prossimi anni l’ondata di ritorno del trumpismo possa risparmiare l’Europa. I quattro anni di trumpismo non hanno fatto bene all’America ma hanno avuto l’effetto paradossale di far bene all’Europa. E mentre Trump, in Europa, ha cercato in tutti i modi di creare zizzania e di incoraggiare ogni possibile rivolta antisistema, l’Europa, durante gli anni di isolazionismo americano, è riuscita a crescere, a maturare, a farsi forza, a fare progressi, ad accelerare il suo processo di integrazione e a diventare per molte ragioni il nuovo punto di riferimento del mondo libero.

 

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Nei quattro anni appena trascorsi, inoltre, il trumpismo, al di là del risultato delle elezioni americane, ha moltiplicato i suoi consensi negli Stati Uniti (nel 2016 a votare Trump furono poco meno di 63 milioni di persone, ieri sera a scrutinio ancora aperto i voti ottenuti da Trump erano più di 68 milioni) ma non ha creato un proselitismo all’altezza del trumpismo. E in questi anni non c'è stato un solo tentativo di replicare il modello Trump nel nostro continente che abbia portato i suoi frutti: il modello Matteo Salvini è in crisi da tempo, Marine Le Pen fatica a reinventarsi, il metodo Nigel Farage è diventato una barzelletta, la traiettoria di Geert Wilders si è persa lungo la strada e i molti esperimenti bannoniani immaginati in Europa dal primo teorico del trumpismo si sono infranti regolarmente di fronte al principio di realtà (e persino la scuola sovranista che Steve Bannon, oggi agli arresti per frode, ha tentato di far nascere in Italia si trova al centro di una contesa giudiziaria con il ministro dei Beni culturali).

 

L’Europa si presenta dunque solida all’appuntamento con la possibile ondata di ritorno del trumpismo ma vi sono alcuni elementi di fragilità che nel futuro prossimo potrebbero rendere il nostro continente permeabile a una recrudescenza del trumpismo europeo. C’entra la leadership esemplare ma sotto assedio di Emmanuel Macron (virus e terrorismo). C’entra la possibile fine dell’esperienza politica di Angela Merkel (in Germania si vota il prossimo anno, Merkel al momento non è candidata e successori all’altezza non se ne vedono). C’entra il tentativo da parte della Russia di soffiare sul fuoco di ogni forma di nazionalismo europeo (chiedere ai catalani). C’entra lo sforzo progressivo fatto dalla Cina di permeare a colpi di memorandum di intesa nel tessuto economico dell’Europa (chiedere al M5s).

 

E c’entra infine anche la capacità dell’Europa di riuscire a dimostrare, come ha ricordato sabato scorso Paolo Gentiloni alla Festa del Foglio, che il formidabile mix tra welfare state, trasparenza, libertà di informazione, fiducia nella comunità scientifica e tutela delle libertà individuali messo in mostra durante la prima ondata possa essere nella gestione della seconda ondata non meno efficiente rispetto a modelli imposti dai paesi autoritari. Il voto americano ci ricorda che il trumpismo – che nel peggiore dei casi perderà avendo ottenuto la sconfitta con più voti di sempre della storia americana – non è un virus passeggero e anche per questo la classe dirigente europea più che contare i voti di Biden avrebbe il dovere di chiedersi cosa fare per evitare che l’assedio all’Europa possa dare al trumpismo l’occasione di trovare in Europa lo spazio che non ha trovato negli ultimi quattro anni. Mai come oggi: Make Europe Great Again. 

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