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Così Salvini usa la guerra sul lockdown per puntellare Fontana

Valerio Valentini

Lombardia e pandemia. Le proteste degli assessori in bilico. Il sabotaggio delle mail inviate al governo per temporeggiare. Un governatore che fa la voce grossa per nascondere la sua fragilità politica

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La verità più scarna e più essenziale, in fondo, la dice un notabile leghista col sorriso sotto i baffi: “Incredibilmente, questo caos sta creando solidarietà intorno a Fontana”. E del resto, la sera prima, quella del dpcm annunciato e poi rimandato, poi infine entrato in vigore ma differito di un giorno, mentre ancora al Pirellone ci si interrogava sul da farsi, Davide Caparini, l’assessore regionale al Bilancio, dettava la linea ai suoi colleghi del Carroccio: “Ora ne sentirete di tutti i colori. Vi diranno persino che è colpa di regione Lombardia. Sbattetegli in faccia questa firma: è solo una, quella del ministro Speranza. Ministro del governo Pd e 5 Stelle”.

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La verità più scarna e più essenziale, in fondo, la dice un notabile leghista col sorriso sotto i baffi: “Incredibilmente, questo caos sta creando solidarietà intorno a Fontana”. E del resto, la sera prima, quella del dpcm annunciato e poi rimandato, poi infine entrato in vigore ma differito di un giorno, mentre ancora al Pirellone ci si interrogava sul da farsi, Davide Caparini, l’assessore regionale al Bilancio, dettava la linea ai suoi colleghi del Carroccio: “Ora ne sentirete di tutti i colori. Vi diranno persino che è colpa di regione Lombardia. Sbattetegli in faccia questa firma: è solo una, quella del ministro Speranza. Ministro del governo Pd e 5 Stelle”.

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E non era certo un caso che fosse proprio Caparini (quel Caparini che Luca Zaia, quando deve affermare la supposta superiorità veneta sui cugini lombardi, nomina sempre per dimostrare agilmente la propria tesi: “Con uno così, dove vanno?”), a vestire i panni del motivatore di gruppo, nell’ora in cui tutti, per vari motivi, dentro il Carroccio mostravano sgomento. Perché del resto proprio lui, insieme all’ormai mitologico Giulio Gallera, è stato per settimane sulla graticola di un rimpasto sempre incombente, talvolta perfino imminente nelle tentazioni di Matteo Salvini, prima che la seconda ondata del Covid arrivasse a sconsigliare qualsiasi manovra. E dunque, resistenza. Approfittare di un nemico comune per ricompattare la squadra intorno all’immarcescibile mito della superiorità padana: “Il governo giallorosso ha deciso: la nostra Lombardia è in zona rossa”, concionava mercoledì sera Caparini. “Non hanno ascoltato il nostro presidente Fontana che chiedeva rispetto degli immensi sforzi già fatti e hanno tradito i lombardi che producono un terzo  del pil italiano. Si vergognino!”. 

 

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E così anche Attilio Fontana, per un po’, poteva giocare il ruolo del condottiero impavido: quello che capitola solo davanti all’ineluttabile, che accetta un “lockdown” imposto da Roma solo perché non ha strumenti per impedirlo. E forse non tutti i suoi assessori, non tutti i parlamentari della Lega che ancora ieri mattina si battevano il petto per contestare la scelta del governo (alla Camera ne è nato un parapiglia, tra l’ex viceministro leghista Massimo Garavaglia e la dem milanese Lia Quartapelle), sanno che in realtà quel presunto cuor di leone di Varese, il Fontana che ora fa la voce grossa, in verità ha adottato una tattica assai meno temeraria, per confrontarsi col governo.

 

Da mesi, ormai, quando s’approssima una scadenza importante, alla vigilia dei vertici che preludono a scelte irrevocabili, il presidente della Lombardia attende sempre le dieci, le undici di sera per inviare le comunicazioni richieste da Roma, o per sollecitare certe misure: e quasi sempre le manda a indirizzi sbagliati, scrive all’Istituto superiore di sanità mail indirizzate al ministero della Salute, invia allo staff di Roberto Speranza file richiestigli da Palazzo Chigi, o viceversa. Per poi, all’indomani, lamentare il mancato ascolto delle sue istanze.

 

Certo, a prendere solo certe statistiche,  si direbbe che la protesta di Fontana qualche conforto nei numeri lo trova. “I dati dell’ultima settimana – ci dice Fabrizio Pregliasco, virologo che fa parte del Cts lombardo – segnalano effettivamente un leggero appiattimento della curva, sia nel tasso dei contagi sia nella saturazione delle strutture ospedaliere. E però – subito precisa – queste misure così stringenti  erano senz’altro auspicabili”. E in fondo, a invocarle già da giorni, era lo stesso Vittorio Demicheli, direttore dell’Ats di Milano che proprio il Pirellone ha indicato come delegato regionale nella “cabina di regia” del ministero della Salute. 

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Semmai, quel che Fontana può osservare è la relativa serenità che vivono alcune province lombarde rispetto alla martoriata Milano, a Varese e alla Brianza. Se davvero ritenesse eccessivo il lockdown per l’intera regione, potrebbe chiedere la parziale esenzione almeno per Lodi, Cremona o Bergamo, seguendo peraltro le richieste che gli stessi sindaci di quelle città gli fanno (lunedì scorso, in una riunione coi primi cittadini dei capoluoghi, incalzato sul punto, Fontana s’è rifiutato di condividere con loro alcuni dati che la regione manda al ministero: usando lo stesso atteggiamento di riservatezza che ora contesta a Speranza).

 

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“Bisogna aspettare due settimane per adottare misure di allentamento per determinati territori”, s’è giustificato ieri, come a prendere tempo. Perché nel dpcm incriminato, al comma 2 dell’articolo 3 che di fatto chiude le regioni “rosse”, si legge che “con ordinanza del ministro della Salute, d’intesa con il presidente della regione interessata, può essere prevista, in relazione a specifiche parti del territorio regionale, in ragione dell’andamento del rischio epidemiologico, l’esenzione dell’applicazione delle misure”. Insomma, la possibilità di diversificare le strette, Fontana potrebbe pretenderla anche subito. Ma preferisce prendere tempo, per rimandare una contrattazione con sindaci e associazioni di categoria che potrebbe logorarlo non poco. Perché dietro alle proteste risolute della Lega lombarda, c’è in verità un presidente, e una giunta, fragilissimi. 

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