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Superati i 30 mila contagi

Scienza, pandemia e virus: elogio del dubbio

Il guaio della guerra tra i virologi non è il narcisismo ma la ricerca impossibile di certezze che non ci sono. Come adattarsi a un mondo che cambia

Claudio Cerasa

Mettere la nostra conoscenza al servizio di un mondo che cambia è forse la chiave vera per provare a capire in che modo anche la politica può tentare di governare la stagione dell’incertezza. Ai politici, oggi, non si chiede di dominare il virus, ma di fare tutto ciò che è in loro potere per non farsi trovare troppo impreparati e non restare ostaggio dei propri dogmi

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Quando ti ritrovi ad affrontare ogni giorno prospettive da incubo, notizie scoraggianti e aggiornamenti deprimenti, come capita spesso purtroppo quando ci si trova all’interno di una pandemia, cercare risposte semplici a problemi complessi è un atteggiamento naturale, quasi fisiologico, di chiunque sia alla disperata ricerca di un punto di arrivo, di un appiglio a cui aggrapparsi e di una piccola luce da cui ripartire. Vivere la pandemia come una stagione senza tempo porta anche le menti più razionali a cercare disperatamente quello che in una pandemia difficilmente si può trovare, ovverosia una qualche certezza su quando tutto questo finirà. Ma se si ha la pazienza di ragionare per un istante attorno a questo tema, come ha fatto ieri splendidamente sulla Stampa Mattia Feltri, si capirà facilmente che uno degli spettacoli mediatici meno edificanti di questi mesi, la lotta nel fango tra virologi, non ha a che fare solo con un tema di ego dei soggetti in questione bensì con un tema ben più importante più centrale e più difficile da accettare: l’assenza di una verità.

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Quando ti ritrovi ad affrontare ogni giorno prospettive da incubo, notizie scoraggianti e aggiornamenti deprimenti, come capita spesso purtroppo quando ci si trova all’interno di una pandemia, cercare risposte semplici a problemi complessi è un atteggiamento naturale, quasi fisiologico, di chiunque sia alla disperata ricerca di un punto di arrivo, di un appiglio a cui aggrapparsi e di una piccola luce da cui ripartire. Vivere la pandemia come una stagione senza tempo porta anche le menti più razionali a cercare disperatamente quello che in una pandemia difficilmente si può trovare, ovverosia una qualche certezza su quando tutto questo finirà. Ma se si ha la pazienza di ragionare per un istante attorno a questo tema, come ha fatto ieri splendidamente sulla Stampa Mattia Feltri, si capirà facilmente che uno degli spettacoli mediatici meno edificanti di questi mesi, la lotta nel fango tra virologi, non ha a che fare solo con un tema di ego dei soggetti in questione bensì con un tema ben più importante più centrale e più difficile da accettare: l’assenza di una verità.

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Karl Lauterbach, tedesco, esponente dell’Spd, membro del Bundestag dal 2005, in un articolo che abbiamo già citato, pubblicato qualche giorno fa sul Guardian, ha sostenuto che tra i segreti del modello tedesco, nella gestione della pandemia, vi sia un approccio sincero scelto su questo tema da parte della classe dirigente politica e scientifica: “Di fronte a un virus come questo, l'incertezza e il dubbio non sono una vergogna per gli scienziati e per i politici, ma la vera vergogna, semmai, è mostrare fiducia eccessiva nei confronti delle proprie convinzioni”. Il dubbio, già.

 

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Ma in che senso? Qualche giorno fa, a Padova, in una delle università più importanti d’Italia, è andato in scena un duello accademico a distanza tra il virologo Andrea Crisanti e il professor Giorgio Palù. La tesi di Crisanti è che, seguendo la curva dei contagi, un lockdown sia purtroppo ormai inevitabile (e probabilmente così sarà). La tesi di Palù è che, nonostante l’impietosa curva dei contagi, il lockdown sia solo frutto di una politica isterica. Il duello ha portato diversi accademici a schierarsi con l’uno o con l’altro professore e tra i luminari dell’ateneo è intervenuto anche un docente molto famoso, di nome Fulvio Ursini, che a Padova è ordinario di Chimica biologica, oltre a essere decano del dipartimento di Medicina molecolare. Ursini ha scelto prima di difendere la posizione di Crisanti per poi concentrarsi su un tema più importante: la necessità da parte anche degli scienziati di accettare il fatto che rivendicare il dubbio e l’incertezza sia l’unico modo per comunicare in modo onesto con i cittadini. Raggiungiamo Ursini al telefono e proviamo a ragionare con lui. “Vedete se uno scienziato non ha dubbi è qualsiasi cosa tranne che uno scienziato. La scienza, nel bene e nel male, funziona così. Funziona a tentativi. Il dubbio e l’errore fanno parte di un processo evolutivo. E la scienza apodittica, se mi permettete, è semplicemente una autocontraddizione. La scienza è piena di incertezze per così dire epistemiche: gira intorno all’ignoto e si avvicina alla verità attraverso discussioni ed esperimenti. Spesso ci si aspetta che la scienza sia come una  raccolta monolitica di tutte le risposte giuste. E spesso gli stessi scienziati pensano che dubitare significhi sbagliare. Eppure, se ci pensate, è tutto il contrario: per fidarsi della scienza non occorre forzare quel che non si sa, ma occorre fare qualcosa di più sofisticato e di più sincero. In altre parole: dobbiamo accettare di sapere di non sapere. E dobbiamo accettare il fatto che l'unico modo per governare scientificamente questa fase è mettere la nostra conoscenza al servizio di un mondo che cambia”. Mettere la nostra conoscenza al servizio di un mondo che cambia, come dice Ursini, è forse la chiave vera per provare a capire in che modo anche la politica può tentare di governare la stagione dell’incertezza. Ai politici, oggi, non si chiede di dominare il virus. Non si chiede di fermare uno tsunami quando questo si presenta sulla nostra riva. Ma si chiede semplicemente di fare tutto ciò che è in loro potere  per non farsi trovare troppo impreparati, per non farsi trovare disorganizzati, per non restare ostaggio dei propri dogmi e per adattarsi al mondo che cambia. Il modello Merkel, in fondo, è tutto qui. 

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