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La polemica

Chiudere Milano?

Carmelo Caruso

L'ipotesi di un lockdown o zona rossa per la città. La vice di Sala, Anna Scavuzzo: "Non sottovalutiamo ma ci diano i dati che motivano la chiusura. Aspettiamo". Piero Bassetti: "Se serve, Milano lo farà"

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Se Milano non può rimanere aperta, non si merita neppure la chiusura per consulenza, la transenna scientifica di Walter Ricciardi, il super esperto del ministro della Sanità che la vorrebbe forse “zona rossa” insieme a Napoli, il freddo e il caldo, la nebbia e il mare, le guglie e il Vesuvio affratellati dal contagio. E’ vero dunque che tra le tristi possibilità c’è l’ isolamento di una grande metropoli, un esperimento di mobilità interrotta  (Milano come Wuhan?), ma non è vero che Milano non accetta, Milano “non si ferma” e che Ricciardi sia adesso  l’antilombardo, il castigatore “verticale”. “E infatti nessuno ce l’ha con lui. E non vogliamo che passi l’idea che Milano non sia pronta ad amputarsi un braccio se solo questo dovesse servire a salvare il corpo. Chiediamo solo di sapere se è la misura più giusta” dice  Anna Scavuzzo, vicesindaco di Milano, una fisica che in mezzo ai numeri si ritrova e che tra i troppi virologi si smarrisce. “Si può anche chiudere Milano ma in base a quali dati? E cosa si intende per chiudere? Lockdown, zona rossa?”.

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Se Milano non può rimanere aperta, non si merita neppure la chiusura per consulenza, la transenna scientifica di Walter Ricciardi, il super esperto del ministro della Sanità che la vorrebbe forse “zona rossa” insieme a Napoli, il freddo e il caldo, la nebbia e il mare, le guglie e il Vesuvio affratellati dal contagio. E’ vero dunque che tra le tristi possibilità c’è l’ isolamento di una grande metropoli, un esperimento di mobilità interrotta  (Milano come Wuhan?), ma non è vero che Milano non accetta, Milano “non si ferma” e che Ricciardi sia adesso  l’antilombardo, il castigatore “verticale”. “E infatti nessuno ce l’ha con lui. E non vogliamo che passi l’idea che Milano non sia pronta ad amputarsi un braccio se solo questo dovesse servire a salvare il corpo. Chiediamo solo di sapere se è la misura più giusta” dice  Anna Scavuzzo, vicesindaco di Milano, una fisica che in mezzo ai numeri si ritrova e che tra i troppi virologi si smarrisce. “Si può anche chiudere Milano ma in base a quali dati? E cosa si intende per chiudere? Lockdown, zona rossa?”.

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Beppe Sala ha chiesto ancora “dieci giorni” perché il giorno è il tempo di questa città. Cinque giornate per provare a liberarsi dagli austriaci, mentre gli “eroi” della sesta sono quelli che avevano previsto tutto, forse anche che bisognava chiudere prima. Piero Bassetti che di anni ne ha 91 e che ancora si muove (“non ho sottovalutato i rischi. Questo significa che non li ho sopravvalutati”) spiega che “Milano saprebbe vivere anche chiusa”. E’ stato presidente della regione Lombardia, deputato ed è senza dubbio il vecchio bastone della città che ha già perso Gillo Dorfles, dunque il gusto. Chi sorride più a Milano?

 

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La vicesindaca racconta che in prefettura ha incontrato un epidemiologo, un virologo, un esperto di terapia intensiva e che tutti erano d’accordo che non erano d’accordo. “Decidiamo ma aiutateci a decidere. E tra una decisione e l’altra attendiamo almeno il tempo di valutare gli effetti”. Tutti lo sanno. Stanno crescendo i contagi. Ma è possibile avere un modello, un indice che fa scattare la chiusura anziché questo speculare su come sarà fare i “cinesi a Milano”? E Ricciardi cosa intendeva: Milano-Milano o Milano città metropolitana che conta oltre 134 comuni? “Sarebbe un inedito. Diciamo che formulata così, la proposta è generica. Ci porteranno le derrate da fuori città? Si obbligheranno i milanesi a rimanere nella loro dimora?”.

 

Sono tutti pensieri che passano nella testa della vicesindaca. In queste ore si ripete che anche Bergamo alla fine venne chiusa. Perché non si può fare a Milano? Chi ha memoria precisa che solo le sciagurate Codogno e Vo’ Euganeo in realtà sono state chiuse in questa  maniera : militari e checkpoint. Gli urbanisti notano ad esempio che ormai c’è una continuità territoriale fra Milano e Bologna e che Milano è naturalmente Brescia e che per arrivare a Torino si attraversa pur sempre la sua stazione centrale. Che facciamo? Bassetti, che da anni pensa che il piano regolatore di una città lo modifichi il passaggio di un treno Frecciarossa e non gli uffici municipali, confessa che lui sarebbe pronto anche a questo sacrificio: “Io farò le cose che vanno fatte. Ma mi sembra che state sbagliando domanda e che chiudere Milano non sia tanto un danno per Milano, ma per Roma, New York. Tutto quello che muove Milano. Le città non si esauriscono nel suo spazio”. E come si vede, a Milano, è tutto più complesso di Roma, perché come suggerisce sempre Bassetti, “ci facciamo domande vecchie. Lo dico io che vecchio lo sono. Non mi preoccupa stare isolato in casa, mi sento più isolato se non ho il mio iPhone. Oggi il vero lockdown è non disporre di rete, di connessione. Si dovrebbe discutere su come ci si muove stando fermi e, qualche volta, andare a vedere se le misure adottate si sono rese efficaci”. Sapete cosa non sopporta Milano? Di passare per superficiale. I dipendenti delle torri Unicredit, Generali, Allianz, da mesi continuano con lo smart working che il dpcm solo adesso ha ripristinato.

 

“Significa che Milano non è stata sorda” dice ancora la vicesindaca. Sa che la sua Milano è finita purtroppo (e nuovamente) contesa dagli isterici e dai rilassati, due partiti, e qui si torna a Bassetti, che sono l’altro guasto pandemico. Sarà ancora questa città ad anticipare tutto? “Non mi preoccupa un altro lockdown. Mi incuriosisce il mondo dopo la fine del mondo. Come cambieranno le relazioni semplici dopo la pandemia? La profilassi come consentirà la mobilità? Ci sono diversi modi per superare la pandemia. O rimanendo cretini o diventando ancora più intelligenti. Non vorrei uscirne migliore ma più intelligente”.
 

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