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il premier accerchiato

I capigruppo di maggioranza a Conte: agire subito per fermare i contagi

Valerio Valentini

Pd, Iv (e M5s) mettono il premier sotto processo: “Non si può più aspettare” 

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Più che l’azione, gli hanno rimproverato la narrazione. “Perché se tu dici che le cose vanno bene, presidente, io mi preoccupo doppiamente”, l’ha fulminato Graziano Delrio, col tono di chi all’ottimismo della propaganda preferisce il pessimismo della ragione. E d’altronde, che la gravità della situazione non possa essere minimizzata, lo sa anche Giuseppe Conte. E la litania dei numeri, quel bollettino che ogni pomeriggio scandisce il progredire del contagio, sta lì a sconsigliare qualsiasi rilassatezza. Ancora oggi i positivi sono stati 25 mila a fronte di 200 mila tamponi: 3 mila infetti in più rispetto a martedì, 125 nuovi ricoveri in terapia intensiva. A questi ritmi, la scadenza di metà novembre che a Palazzo Chigi volevano darsi per valutare gli effetti del dpcm del 25 ottobre, pare già lontanissima.

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Più che l’azione, gli hanno rimproverato la narrazione. “Perché se tu dici che le cose vanno bene, presidente, io mi preoccupo doppiamente”, l’ha fulminato Graziano Delrio, col tono di chi all’ottimismo della propaganda preferisce il pessimismo della ragione. E d’altronde, che la gravità della situazione non possa essere minimizzata, lo sa anche Giuseppe Conte. E la litania dei numeri, quel bollettino che ogni pomeriggio scandisce il progredire del contagio, sta lì a sconsigliare qualsiasi rilassatezza. Ancora oggi i positivi sono stati 25 mila a fronte di 200 mila tamponi: 3 mila infetti in più rispetto a martedì, 125 nuovi ricoveri in terapia intensiva. A questi ritmi, la scadenza di metà novembre che a Palazzo Chigi volevano darsi per valutare gli effetti del dpcm del 25 ottobre, pare già lontanissima.

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Eppure il premier c’ha provato anche martedì sera, a seguire lo stesso canovaccio. E così, al vertice coi capigruppo di maggioranza convocato su Zoom, s’è presentato con l’aria baldanzosa di chi vuole dar mostra di tenere in mano il corso scomposto degli eventi. Le sferzate di Maria Elena Boschi, quelle le aveva messe in conto. E infatti subito la capogruppo di Iv alla Camera ha denunciato la scarsa condivisione dei dati epidemiologici alla base delle ultime strette su ristoranti e palestre, ha liquidato come “grottesche” le rassicurazioni del premier che prometteva di inoltrare un opuscolo del ministero della Salute sul tema. La sorpresa del premier, però, è arrivata subito dopo. Quando s’è accorto, cioè, che le perplessità non erano solo dei renziani. Ma che anche il dem Delrio era critico, che addirittura il capogruppo dei Leu Federico Fornaro, difensore strenuo del governo e maestro nello smussare gli angoli, ribadiva il pericolo di una forbice tra la percezione e la realtà. Perché il paese non è più quello che a marzo cantava dai balconi, perché non si può continuare a ripetere che tutto è andato bene, che la drôle de guerre estiva trascorsa nella sospensione tra un’ondata e l’altra sia stata gestita magistralmente, come anche il commissario Domenico Arcuri si ostina a rivendicare. Quando perfino il grillino Davide Crippa ha contestato i ritardi nei tamponi e il caos sui trasporti, allora la sicumera di maniera del premier s’è frantumata. E certo, Conte ha pure lui le sue ragioni. Perché coinvolgere tutti, condividere ogni scelta coi capigruppo che in verità potrebbero essere aggiornati dai rispettivi capi delegazione, implica un rallentamento della macchina decisionale. Ma è proprio la lentezza, spesso, a essergli rimproverata. Perfino nel confronto politico.

 

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“Ti avevamo chiesto da tempo un tavolo di verifica su vari temi, dal Mes alla giustizia”, ha ribadito la Boschi. “Ma lo stesso Renzi aveva detto di attendere che si concludessero gli Stati generali del M5s”, ha risposto Conte. “Se ora lo vogliamo anticipare, io non ho nulla in contrario”. E poi, di nuovo, la corrispondenza tra dati scientifici e dpcm: facile a dirsi. Ma quando, venerdì scorso, il premier ha chiesto ai tecnici dell’Istituto superiore di sanità se l’indice Rt potesse essere utilizzato come discrimine per determinare restrizioni più severe in determinate regioni, s’è visto rispondere che no, quel solo numero non basta, perché bisogna tenere conto di altri ventuno parametri. Ma non è appunto l’affanno nel gestire una situazione complicata, a essere contestata. Semmai ciò che snerva sia Speranza sia Nicola Zingaretti è quella sorta di rimozione coatta del dramma, tutta recitata, che regola la comunicazione di Palazzo Chigi. Perché, insomma, se la gravità della situazione fosse stata presentata per quel che è, forse si sarebbe potuto imporre qualche divieto in più senza innescare gli atti d’angoscia e d’isteria che hanno portato alle proteste di piazza. “Perché se mi si dice che per ridurre il contagio alle 18 deve scattare un coprifuoco, io lo capisco”, si sfoga Matteo Renzi coi suoi parlamentari. “Se mi si prova a convincere che i ristoranti sono sani a pranzo e d’incanto si trasformano in focolai nel tardo pomeriggio, io non ci sto”. E insomma perfino la notizia che, nelle speranze di Conte, avrebbe dovuto stemperare le critiche interne alla sua maggioranza, e cioè il varo imminente di un semi lockdown anche da parte di Macron, ha indotto a una diversa, più impietosa comparazione: e cioè che in Francia lo stato fa lo stato, hanno insistito Boschi e Delrio, mentre qui si pensa di demandare ai sindaci il compito di isolare non delle piccole comunità, ma metropoli come Napoli e Milano. La Merkel, in Germania, il suo ritorno a una parziale chiusura generalizzata l’ha annunciato con tono grave e risoluto. “Ma a Berlino i capi della comunicazione della cancelliera evidentemente non pensano che varare delle strette significasse intestarsi un fallimento”.

 

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