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Il personaggio

Conte ha perso il tocco

Popolare ma non più popolarissimo, il premier cui prima tutto andava bene ora s’inceppa (come il suo orologio)

Salvatore Merlo

I sondaggi in calo, i dubbi sul lockdown, il timore per il governo, l'inciampo sui vaccini (e sul Mes).  E anche le parole che prima dosava con sapienza, come dpcm, ora gli si rivoltano contro. Il presidente del Consiglio sembra aver perso un po’ della sua fortuna

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Che qualcosa si fosse inceppato era apparso già chiaro domenica quando in conferenza stampa persino il suo bell’orologio da polso – erano le 21 – appariva fermo alle 17, o chissà alle 5 del mattino. Controtempo, o forse fuori dal tempo. Il presidente del Consiglio che aveva fatto della solitudine la sua fortuna, sei mesi fa, quando annunciava il famoso lockdown, adesso teme quella parola alla stregua di una maledizione. E come allora era solo, e anche per questo sfolgorante e benedetto dal gradimento popolare che cercava in lui la sicurezza dopo l’eccitazione  di Salvini, anche oggi è solo. Ma tentenna. Talvolta inciampa. Le chiusure sono impopolari. Il sentimento è cambiato. E allora Giuseppe Conte si trova sopravanzato dai presidenti di regione che offrono e si offrono come modelli nella gestione dell’emergenza, mentre al contrario lui rallenta (anche nei sondaggi). Proprio come la corda del suo cronografo Iwc. Fermo alle 17, o alle 5 del mattino. 

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Che qualcosa si fosse inceppato era apparso già chiaro domenica quando in conferenza stampa persino il suo bell’orologio da polso – erano le 21 – appariva fermo alle 17, o chissà alle 5 del mattino. Controtempo, o forse fuori dal tempo. Il presidente del Consiglio che aveva fatto della solitudine la sua fortuna, sei mesi fa, quando annunciava il famoso lockdown, adesso teme quella parola alla stregua di una maledizione. E come allora era solo, e anche per questo sfolgorante e benedetto dal gradimento popolare che cercava in lui la sicurezza dopo l’eccitazione  di Salvini, anche oggi è solo. Ma tentenna. Talvolta inciampa. Le chiusure sono impopolari. Il sentimento è cambiato. E allora Giuseppe Conte si trova sopravanzato dai presidenti di regione che offrono e si offrono come modelli nella gestione dell’emergenza, mentre al contrario lui rallenta (anche nei sondaggi). Proprio come la corda del suo cronografo Iwc. Fermo alle 17, o alle 5 del mattino. 

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C’è il Giuseppe Conte di prima, quello che centellinava i dpcm e mieteva consensi. E c’è il Conte di poi, che è invece vittima proprio di quelle stesse parole, come dpcm, lockdown e coprifuoco, quelle che un tempo invece utilizzava e dosava con grande destrezza. E fortuna. Nella prima fase il presidente del Consiglio aveva preso decisioni politicamente difficili, ma tecnicamente semplici. Chiudere tutto è in effetti molto facile. E’ una firma su un decreto. Anche per questo, poi, attorno a Conte si è sempre più costruito il mito e il racconto   del “modello italiano”. Suscitando di conseguenza attese enormi. Aspettative salvifiche totali. Così adesso che l’epidemia riprende, come sembra, ecco che i sondaggi,  che Palazzo Chigi non da ora compulsa febbrilmente, segnalano che gli italiani faticano ad accettare l’idea di nuove chiusure. Storcono la bocca a ogni annuncio. A ogni nuovo dpcm. Contestano tutto ciò che prima invece li rassicurava e li portava a cantare sui balconi. E dunque, mentre il presidente del Consiglio continua a ripetere che “stavolta è diverso”, che insomma questa seconda ondata non è uguale alla prima, ecco però che ogni decisione che assomiglia a quelle adottate sei mesi fa suona quasi come una ammissione di colpa alle orecchie. E infatti,  secondo Euromedia Research, il 23,1 per cento degli italiani dà la colpa della nuova emergenza proprio a lui, a Conte. Mentre il 21,3 dà la colpa ai vari ministri competenti, da Speranza a De Micheli. E il 21,1 per cento ritiene che siano responsabili le regioni. Solo il 7,1 per cento dei cittadini se la prende con i sindaci. “Se facciamo un altro lockdown cade il governo”, diceva non a caso l’altro giorno un ministro del M5s, pregando di restare anonimo. E il primo a esserne consapevole è proprio lui,  Conte. In questa fase più che mai attento alle associazioni di categoria, ai gruppi di interesse.  

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Chiudere significherebbe mandare a picco interi settori produttivi, specialmente perché la cascata di denaro pubblico e di sussidi distribuita mesi fa non esiste più. E’ stata spesa. I soldi sono finiti, come ha ammesso lo stesso presidente del Consiglio domenica scorsa. Il destino sembra congiurare ai suoi danni. Non gliene va bene una. Infatti annuncia il vaccino entro Natale, e viene smentito in diretta da Walter Ricciardi, super consulente del ministro Roberto Speranza: il vaccino non sarà disponibile nemmeno entro il 2021. Poi spiega che il Mes non serve, e subito scatena l’ira di Nicola Zingaretti, che lo piega e gli strappa pure la promessa di una verifica di governo. Ed ecco allora che Conte tentenna, si tortura, rallenta. Quasi fino a fermarsi. Proprio come il suo cronografo. Bloccato alle 17 o forse alle 5 del mattino di chissà quale giorno meno sfortunato.

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